È molto pacata Lady Hale, al secolo Brenda Marjorie Hale, baronessa di Richmond, decisamente british nel leggere il verdetto della Corte Suprema inglese sul caso del rinvio dei lavori del Parlamento il 24 settembre scorso.
Golfino nero e un’unica spilla a forma di ragno sulla spalla destra, la presidentessa della Suprema Corte scandisce una un verdetto inatteso, tranchant e tombale sul progetto politico di Boris Johnson. L’azione di coinvolgimento di Sua Maestà la regina Elisabetta nella Brexit messa in opera dal primo ministro è illegale. Il premier aveva chiesto e ottenuto la chiusura dei lavori parlamentari dai primi giorni di settembre fino al 14 ottobre, onde evitare ulteriori ritardi sull’attuazione di una Brexit che si prospetta sempre più hard, senza accordi bilaterali con l’Unione Europea.
La storica sentenza mette in imbarazzo anche la Regina Elisabetta, che formalmente non poteva andare contro la decisione del primo ministro, avallata anche dall’High Court, l’Alta corte inglese, lo scorso 6 settembre.
Eppure, la sentenza della presidentessa della Corte Suprema è chiara: «È impossibile per noi concludere, grazie alle evidenze che ci sono state poste che vi fosse una qualsiasi ragione per consigliare la Regina sul rinvio dei lavori parlamentari per cinque settimane […] ne segue che la decisione fosse illegale».
Lady Hale non è nuova a compiere gesti eclatanti in assoluta semplicità: di origini umili, è stata la prima donna a entrare nella Corte suprema inglese e la prima a esserne eletta presidente. Dal 1984 è entrata a far parte della Law Commission, l’organo predisposto alla legislazione inglese, promuovendo importanti riforme per la famiglia, la cura dei bambini e l’abuso domestico.
Nel 2004 diventa la prima donna a essere nominata Law Lord (non esiste un equivalente femminile del titolo) entrando alla Camera Alta come giudice supremo. È in questa occasione che crea il suo motto “omnia feminae aequissimae”: le donne sono uguali a tutto. Un’affermazione che vuole essere una crociata contro le disuguaglianze del sistema inglese non solo per quanto riguarda la questione di genere ma anche quella razziale, elemento cardine del femminismo intersezionale, di cui non sappiamo quanto sia a conoscenza Lady Hale.
Non solo ha denunciato il fatto che tutti i suoi colleghi si incontrassero in club esclusivi per soli uomini in cui discutevano degli affari lavorativi, ma ha anche combattuto per l’integrazione di giudici e avvocati di ogni etnia: «La legge, le professioni legali e le Corti – spiega – ci sono per servire l’intera popolazione, non solo una piccola sezione di quest’ultima: dovrebbe quindi essere il riflesso della popolazione per quanto possibile».
Famosa anche per le spille con cui ama decorarsi è stata rivoluzionaria anche per piccoli gesti e affermazioni: sorridere per la foto da Law Lord e contrastare l’utilizzo delle parrucche nelle corti inglesi come strumento per omologare un’idea di potere lontano dalla modernità del 21° secolo.
Ma non è stata l’unica donna in campo a ostacolare l’azione di Johnson.
Il merito è anche di Gina Nadira Miller, avvocata e attivista inglese. Nel 2016 ha posto le basi per la causa “Miller v Secretary of State for Exiting the European Union” che contestava l’autorità del governo inglese in merito alla Brexit senza approvazione del parlamento. A settembre 2019 è tornata nuovamente alla carica, avviando una causa contro il rinvio del parlamento inglese che ha portato la questione davanti prima all’High Court e successivamente alla Corte Suprema. A partire da queste sue campagne venne ricoperta da valanghe di insulti a sfondo sia sessuale sia razzista, avendo origini indiane e della Guyana. Accuse da cui si è difesa con la strada della legalità e senza tirarsi indietro.
Il combinato disposto tra i risvolti legali e la riapertura del Parlamento hanno riportato di corsa Boris Johnson a Westminster, dove in un accesissimo discorso ha invitato il parlamento a sfiduciarlo oppure a lasciarlo proseguire verso la Brexit entro il 31 ottobre, che comunque, a detta sua si farà.
E nonostante, come già titola il Telegraph, del genere delle attrici e degli attori in campo non dovrebbe interessarci niente, il giudice (o la giudica) Hale e l’avvocata Miller sono riuscite a ridisegnare lo sconcertante stereotipo della “donna forte” che riesce a far carriera nel solco tracciato dagli uomini che detengono il potere. Con forme e stili che non potrebbero essere più differenti, queste donne seguono un nuovo percorso, onorando il motto di Lady Hale “omnia feminae aequissimae”. Ogni donna è uguale a tutto e ogni donna deve poter tutto.