Quando si discute una scelta di politica economica – aumentiamo l’IVA? Spendiamo di più per Alitalia? Introduciamo una tassa sugli imballaggi di plastica? – sembrerebbe una buona idea analizzare a priori i possibili impatti derivanti dalla scelta, prevedere cosa succederà e agire di conseguenza.
Già, prevedere. Siamo bombardati quotidianamente da previsioni economiche – cosa farà la Borsa, quanto crescerà il PIL, come cambierà il mercato del lavoro – e da un profluvio di numeri. Ma come si fa a prevedere il futuro?
Il contributo che da solo ha inciso di più sull’arte (non chiamiamola scienza) della previsione economica è un paper pubblicato nel 1976 da Robert E. Lucas, professore americano dell’Università di Chicago, premio Nobel per l’Economia nel 1995 e figura centrale nell’evoluzione del pensiero macroeconomico (cioè quello che studia i sistemi economici nel loro complesso).
Nel mare magnum della sua produzione, un paper in particolare ha radicalmente cambiato il modo in cui gli economisti approcciavano il tema delle previsioni. Se in meglio o in peggio, ai posteri l’ardua sentenza.
In Econometric Policy Evaluation: a critique Lucas sostiene una tesi relativamente semplice, passata alla storia come La Critica di Lucas: basare un modello macroeconomico su dati passati dipendenti dal contesto porta a inferire previsioni errate, in quanto le scelte di politica economica cambiano la struttura del modello, che quindi non è più utilizzabile per fare previsioni.
Un esempio – volutamente esagerato – può essere utile. Diciamo che vogliamo capire cosa succede se nazionalizziamo l’ILVA. Per farlo utilizziamo i dati della vecchia IRI, il famigerato colosso dell’industria statale italiana, vediamo cosa succedeva quando aumentavano gli investimenti e cose simili, e riapplichiamo quei risultati all’ILVA. Va da sé che la cosa non ha senso: il contesto economico mondiale è cambiato e quello che valeva negli anni ’80 difficilmente vale ancora oggi.
La Critica di Lucas, ovviamente, non si rivolge ad un gruppo di macroeconomisti talmente ottusi da non realizzare che quarant’anni di storia cambiano i contesti, ma si pone in antitesi a chi, per costruire modelli e fare previsioni economiche, si limitava a proiettare nel futuro i soli dati macroeconomici (PIL, occupazione, tassi di interesse, …).
Secondo la Critica di Lucas, quindi, si rende necessario trovare un sistema diverso per modellizzare l’economia, partendo da qualcosa che non cambi nel tempo e non dipenda dal contesto economico, storico, politico e sociale. Si, ma cosa?
Per Lucas, e per tutto il filone di pensiero che prende il nome di Nuova Macroeconomia Classica (bell’ossimoro, vero?), l’elemento che non cambia mai nel tempo è rappresentato dalle scelte e dai comportamenti dei soggetti economici: singoli individui che puntano a massimizzare il proprio benessere, e singole imprese che puntano a massimizzare il proprio profitto.
Una volta modellizzato tutto questo, sotto forma di grafici e sistemi di equazioni, tutto il resto deriva in modo automatico, perché un sistema economico è visto come nient’altro che la somma di un certo numero di individui e di un certo numero di imprese.
È stata quindi trovata la chiave di volta per sistematizzare il pensiero economico?
La risposta è NO. Le cosiddette microfondazioni della macroeconomia – per le quali un sistema economico (macro-economia) è costruito come corollario a partire dalle scelte dei singoli soggetti (micro-economia) – sono basate su un insieme di ipotesi a priori sul comportamento umano, cosa difficile – o impossibile – da esprimere sotto forma di equazione.
Vediamo in rapida successione alcuni esempi: si suppone che le scelte del singolo individuo siano stabili nel tempo – ma nel mondo reale c’è da augurarsi che la preferenza di una persona tra un bicchiere di latte e un bicchiere di vino cambi a seconda che siano le otto del mattino o le otto di sera; si ipotizza che i gusti diversi degli individui siano aggregabili e sintetizzabili nella forma di un agente rappresentativo, una sorta di individuo medio utilizzato per rappresentare le scelte di tutti gli individui (il che porta all’ipotesi ancor più astratta per cui N individui diversi fanno complessivamente le stesse scelte di N individui medi tutti uguali).
Ma l’ipotesi più forte, che è alla base di tutta la costruzione macroeconomica neoclassica, è che queste caratterstiche siano identificate con la perfetta razionalità, e quindi gli esseri umani siano considerati perfettamente razionali.
Questa ipotesi enorme, messa in discussione negli anni ma mai completamente abbandonata, ha fatto da pilastro per filoni di ricerca che hanno dominato il pensiero economico per decenni e che tuttora spadroneggiano nei corsi di laurea di economia (i cui programmi sono fermi agli anni ’90, se va bene).
Econometric Policy Evaluation: a critique è stato citato più di 9.000 volte, ha spalancato il campo alle microfondazioni e alla costruzione di tutti i modelli più in voga nel mondo economico, e ha fatto credere al mondo che sia possibile adattare all’homo sapiens la “perfetta razionalità” dell’homo œconomicus. Chissà se Lucas pensava di cambiare il mondo, nel 1976.