Se la tradizione Hollywoodiana ha immortalato le gesta e le tensioni Iran-USA a seguito dell’occupazione dell’ambasciata nel 1979, l’interesse statunitense per l’area è da far risalire a qualche decennio prima. Omettendo la sintesi della secolare storia della Persia, che mutò nome in Iran nel 1935 per decisione dello Scià, è il periodo successivo alla Seconda guerra mondiale che ha incluso nel Medio Oriente “americano” la questione persiana. Durante il Grande Gioco il regno del Pavone (storico nome usato dalla Persia a partire dalla dinastia afsharide 1736-1802, a seguito dell’Invasione e saccheggio dell’India) era stato diviso in due sfere di influenza, inglese e russa, per il controllo dell’area con l’accordo anglo-russo del 1907. Il caso volle che nella parte britannica fosse scoperto il petrolio, da quel momento in avanti Londra cercò di fare della Persia un protettorato. Nel 1941 fu occupato dagli anglo-sovietici in chiave antitedesca, per sfruttare le immense risorse energetiche. Al termine della guerra fu ristabilito il trono dello Scià, nella speranza di mantenere uno stato satellite e fedele all’occidente, contro l’avanzata sovietica in Medio Oriente.
Per i rapporti Iran-USA l’anno della svolta fu il 1953, a Washington era appena stato eletto Presidente Eisenhower (1953-1961) che, nell’intento di fermare l’avanzata sovietica nel mondo sulla scia della dottrina Truman, fece partire l’ordine di rovesciare il governo di Mohammad Mossaddeq, che nel 1951 aveva nazionalizzato le più importanti industrie iraniane. La nazionalizzazione della compagnia petrolifera Anglo-Iranian Oil Company aveva causato uno scontro tra l’Iran e il governo britannico, che subito agì imponendo un embargo economico. Questa politica nazionalista ebbe una forte ricaduta positiva sulla popolazione iraniana, che per la prima volta si sentiva padrona del proprio destino.
Appena fu formalizzato l’atto, i britannici chiesero aiuto agli USA per intervenire nell’area e destituire il governo Mossaddeq, ma il Presidente Truman (1945-1953) rifiutò in quanto la sua America era beneficiaria degli accordi di nazionalizzazione. Il governo di Londra, che aveva visto il ritorno al numero 10 di Downing Street di Wiston Churchill, reagì duramente inasprendo l’embargo verso l’Iran. Si ebbe il blocco della produzione nello stabilimento di Abadan, un importante centro di estrazione con massiccia presenza di tecnici inglesi. La questione arrivò fino alla corte internazionale dell’Aja. Mentre le diplomazie cercavano di ricucire lo strappo, il fronte interno iraniano era in fermento: il partito comunista iraniano del Tudeh, da sempre ostile al nazionalismo di Mossaddeq, nel 1952 iniziò ad appoggiare la sua politica nella speranza poi di instaurare un governo comunista. Fu questa mossa che mobilitò Dipartimento di Stato americano (equivalente al nostro Ministero degli Esteri). Fu lo spauracchio del comunismo a convincere all’azione lo scettico Eisenhower: prese corpo così l’operazione Ajax.
La trattativa con lo Scià fu lunga, ma egli fu convinto della bontà dell’azione anglo-americana. Mossaddeq venne destituito attraverso un colpo di stato militare, lasciando nei ricordi degli iraniani l’onta del sopruso straniero. Mossaddeq, figlio d’una principessa qājār e d’un alto funzionario delle Finanze, dopo gli studi all’estero – dove si era rifugiato giovanissimo per sfuggire alle persecuzioni dello Scià – e una folgorante carriera politica, aveva un forte seguito per la sua appassionata opposizione all’intervento straniero: era considerato l’architetto della nazionalizzazione dell’industria iraniana. Nella visione del Primo Ministro iraniano il processo di estrazione e distribuzione del petrolio doveva essere gestito fifty-fifty con i britannici, che avevano il controllo tecnologico sugli impianti. Ad accompagnare l’azione militare vi fu una massiccia campagna di propaganda per indurre la popolazione a destituire il Primo Ministro, che venne arrestato e processato per tradimento su ordine dello Scià. Da quel momento l’Iran sarebbe stata governata da un regime autocratico, forma di governo non nuova sull’altopiano iranico, supportato dagli USA.
Il supporto statunitense non era solo formale, infatti furono assegnate allo Scià enormi quantità di denaro e ingenti forniture militari. Nei primi anni sessanta nel Paese si susseguirono delle riforme tese a migliorare la vita degli iraniani: riforme economiche, sociali e amministrative che presero il nome di Rivoluzione Bianca dello Scià. Questi tentativi di miglioramento della società iraniana incontrarono numerose opposizioni, soprattutto da parte del clero. Veniva rimproverato allo Scià la dilagante corruzione e il massiccio impiego di tecnici stranieri che relegavano gli iraniani a posizione subordinate. Tra queste voci di proteste emerse quella dell’Ayatollah Khomeini che nel giugno 1963 pronunciò un discorso di denuncia verso lo Scià, provocando così la dura reazione governativa che culminò nel suo arresto e nella successiva espulsione dal paese, avvenuta a fine novembre del 1964.
La mancata affermazione dei tentativi di riforme interne fece esplodere il malcontento che culminò nell’ assassinio del Primo Ministro Hassan Ali Mansur. In quegli anni la repressione si inasprì: il servizio di sicurezza interno, il SAVAK, compì numerosi arresti che si spinsero fino alla tortura. Nei primi anni settanta, nacquero primi movimenti armati di sinistra che attaccarono sia il governo che interessi stranieri. Queste azioni diedero mano libera al SAVAK nella repressione: furono uccisi e torturati centinaia di prigionieri politici; la repressione alimentò le denunce del clero che si era raccolto in sostegno attorno alla guida spirituale in esilio.
Il legame con il mondo occidentale si manifestò, ancora una volta, quando lo Scià si rifiutò di aderire all’embargo dei paesi arabi a seguito della guerra del Kippur dell’ottobre 1973.
Spesso la politica diplomatica degli stati viene fraintesa, si cerca di vedere dei comportamenti lineari e coerenti, ma le ragioni geopolitiche relegano alle sfumature di grigio il raggiungimento di obiettivi strategici di uno stato. L’Iran autocratico dello Scià non aveva nulla di diverso rispetto alle mire di egemonia regionale dell’odierna Repubblica islamica. Infatti Washington iniziò a carpire questi sintomi all’indomani dell’accordo di Algeri del 1975, dove gli acerrimi nemici confinanti, Iran-Iraq, raggiunsero un accordo su dispute territoriali, senza chiedere l’intercessione di nessun alleato occidentale, USA in primis. Contemporaneamente lo Scià rivendicava un Oceano Indiano libero da stranieri, pretese che indispettirono ulteriormente gli analisti del Dipartimento di Stato americano. La prima azione concreta volta a contenere le mire di espansione iraniane fu la richiesta statunitense ai sauditi di aumentare la produzione di greggio, pratica in voga fino ai nostri giorni. L’Iran per gli USA rappresentava un argine al crescente panarabismo e influenza sovietica nella regione, ma allo stesso tempo una minaccia alla stabilità dell’area.
Poi nel 1979 scoppiò la rivoluzione. I rapporti tra i due Paesi presero strade sempre più divergenti. La crisi degli ostaggi presso l’ambasciata, che tenne l’America con il fiato sospeso dal novembre 1979 al 1981, conferì un valore emotivo al rapporto tra i due stati. Gli anni ottanta videro in campo guerre di spie a colpi di rapimenti e omicidi mirati.
L’intersezione tra le priorità americane e iraniane ha spesso visto i due antagonisti “cooperare” dalla guerra a Saddam Hussein, alla guerra al Califfato, ma sempre per raggiungere fini diversi e in contrasto.
Come accennato, l’area ha diversi scontri in atto che possono essere visti su più livelli:
- Interno all’ISLAM tra sunniti e Sciiti;
- Questione Israelo-Palestinese;
- Affermazione di una o più potenze regionali: Turchia-Egitto-Iran;
- Accesso e controllo delle risorse energetiche del Medio -Oriente: USA-Russia-Cina-India;
- Il controllo dei flussi commerciali attraverso il canale di Suez, non solo petrolio;
- Questione curda e di altre minoranze (arabi-baluci-azzeri).
“Perché se è vero che la Repubblica Islamica è l’attore che più può intralciare gli interessi americani in Medio Oriente, rovesciando la prospettiva è altrettanto vero che gli Stati Uniti sono il principale ostacolo che l’Iran deve superare per affermarsi nella regione”.
Gli ultimi eventi internazionali sembrano aver ridimensionato Teheran, ma essere fuori dai riflettori non significa non lavorare per l’affermazione regionale, soprattutto se alla schiera di avversari si fa avanti il vecchio rivale ottomano.
COME FUNZIONA LA REPUBBLICA ISLAMICA DELL’IRAN
Essendo una repubblica ha un parlamento elettivo di 290 membri con funzioni consultive. Le leggi devono essere sottoposte al Consiglio dei guardiani che supervisiona anche la scelta dei candidati parlamentari. Il consiglio è composto da 12 membri (sei nominati dal Leader supremo e sei dall’ordine giudiziario). La composizione del consiglio dei guardiani deve essere approvata dal parlamento. Qualora vi siano dissidi tra parlamento e consiglio entra in gioco il Consiglio dell’interesse nazionale o Consiglio del discernimento. Il Consiglio di discernimento è composto da 38 membri nominati dalla Guida suprema cui spettano compiti di mediazione e di coniglio della Guida suprema o Leader supremo, il vero vertice della struttura iraniana, ultima istanza per ogni decisione, egli è anche presidente del Consiglio Supremo per la sicurezza nazionale.
Presidente della Repubblica: rappresenta la seconda carica più autorevole dell’istituzione iraniana, viene eletto ogni quattro anni tramite suffragio universale diretto a doppio turno per un numero illimitato di mandati, ma non più di due consecutivi. Vi è infine un’ Assemblea degli esperti composta da ottantasei chierici eletti per otto anni, che nomina la guida suprema; i candidati dell’assemblea sono sottoposti all’approvazione del consiglio dei guardiani.
L’articolazione e la complessità dello stato iraniano serve a garantire un potere assoluto, ma allo stesso tempo vigile su eventuali rivolgimenti istituzionali.