Un decennio, il secondo del terzo millennio, sta per concludersi. Senza troppi giri di parole, a livello sportivo – ma il discorso è ampliabile ad altri ambiti – è stata la peggior decade per i colori azzurri. Le nostre rappresentative nazionali non hanno brillato in questi anni ’10, anzi possiamo serenamente affermare che per lo sport italiano quello ormai arrivato al traguardo sia stato un decennio con più scuri che chiari, più grigio che azzurro.
Niente potrà mai togliere “il cielo azzurro sopra Berlino” con Cannavaro che alza la coppa all’Olympiastadion dal nostro immaginario nazionale, il punto più alto dello sport italiano nel nuovo millennio. L’istantanea che però rappresenta il decennio azzurro successivo è amara: i nostri calciatori distesi disperati sul prato di San Siro al fischio finale di Italia-Svezia, la gara che ha sancito la mancata qualificazione della nostra nazionale ai mondiali, a sessant’anni dalla prima e ultima volta.
Quel 13 novembre 2017 è stato il punto di non ritorno del pallone nostrano, il culmine di una parabola discendente che ha dato i primi inquietanti segnali già ad avvio decennio. In quel disastroso mondiale 2010 sudafricano, con la nazionale del rientrante Marcello Lippi che paga lo scotto della “maledizione dei campioni del mondo“, non passando un girone ridicolo con Nuova Zelanda, Paraguay e Slovacchia. Un’onta bissata quattro anni dopo con il nostro Natalazo, all’Arena das Dunas Uruguay batte Italia 1 a 0 e gli azzurri escono nuovamente al girone del mondiale brasiliano. E dire che due anni prima l’Italia di Prandelli aveva sfiorato l’impresa agli Europei in Polonia e Ucraina. Dopo la notte magica di Mario Balotelli che a Varsavia demolisce la Germania, in finale a Kiev ci attende la Spagna. È la più grossa debacle in una finale per gli azzurri, con le parole di Iker Casillas “Ref, rispetto per l’Italia” che ancora risuonano nelle orecchie. La rassegna continentale continua a mancare dall’edizione casalinga del 1968.
A livello di club poi l’ultimo successo internazionale di un’italiana è la Champions League vinta dall’Inter a Madrid il 22 maggio 2010 – a cui ha fatto seguito il mondiale per club il 18 dicembre 2010 in Giappone. Le italiane hanno perso due finali di Champions – nel 2015 e 2017 con la Juventus – e non sono andate oltre la semifinale in Europa League – dove manca una finalista nostrana dalla vittoria del Parma nel 1999, in quella che ancora si chiamava Coppa UEFA. Mettiamoci anche che la Serie A ha perso appeal, anche a causa del monopolio dei bianconeri che hanno vinto otto – tra l’altro consecutivi – di dieci campionati, e il quadro è tutt’altro che esaltante per un paese di “60 milioni di allenatori”.
L’Italia è un paese che respira calcio, ma per aver un riscontro concreto delle difficoltà sportive nazionali bisognerebbe dare un’occhiata al medagliere olimpico italiano nella storia. Il nostro record è stato raggiunto nell’Olimpiade casalinga di Roma 1960, dove la squadra azzurra collezionò 36 medaglie, arrivando al terzo posto nella classifica generale. Dopo la parentesi dei quinti posti ai giochi boicottati di Mosca e Los Angeles degli anni ’80, le Olimpiadi di Atlanta nel 1996 hanno portato gli azzurri di nuovo all’apice con 35 medaglie. Da lì una discesa lenta ma inesorabile delle nostre delegazioni, fino alle 28 medaglie delle ultime due rassegne di Londra e Pechino. Un risultato apparentemente neanche malvagio, peccato che rispetto al 1960 il numero delle medaglie olimpiche sia più che raddoppiato: a Roma erano 150, a Rio sono state 305.
La concorrenza nel mondo è aumentata e questo inficia il nostro medagliere. Questo decennio è stato all’insegna del “doping di stato” russo e soprattutto dell’ascesa della Cina che dal 2008 è a tutti gli effetti diventata una superpotenza sportiva. Le nazioni africane hanno cominciato a inserirsi prepotentemente nelle discipline atletiche; mentre la potenza egemone del mondo dello scorso fino allo scorso decennio, gli Stati Uniti, continuano a investire. Il nostro sistema sportivo è messo sotto pressione: da decenni si parla di riformare il Coni ed anche il governo giallorosso ha provato a riorganizzare il Comitato olimpico nazionale – un tentativo che è naufragato insieme col governo del cambiamento. Il modello del “dilettantismo di stato” – che permette di inquadrare gli sportivi dentro i corpi militari o delle forze dell’ordine – continua a generare polemiche e richieste di cambiamento ma, di fatto, si mantiene pressoché intatto in un paese che non è in grado di permettersi un “sistema professionistico diffuso”, salvo le eccezioni degli sport maschili e ancor meno femminili più praticati.
Il nostro sport ha pagato una profonda riconversione dovuta alla fine del periodo d’oro degli anni ’90. Sono venuti meno le medie imprese che finanziavano lo sport italiano elevandolo a livello globale, stanno sparendo i distretti sportivi che fornivano centri d’eccellenza in grado di formare atleti competitivi nelle varie discipline olimpiche. Dopo un grosso declino in termini numerici, l’Italia sta però ricominciando ad organizzare grandi eventi sportivi. Le Olimpiadi sono sempre uno spartiacque: dopo le due rinunce olimpiche da parte di Roma per il 2020 e 2024, l’assegnazione a Milano e Cortina della kermesse 2026 sembra aver segnato un’inversione di tendenza. Un trend in crescita con l’ottenimento dei Mondiali 2021 di sci, la Ryder Cup di golf e gli Atp di Torino del tennis. I grandi eventi sportivi stanno tornando a svolgersi nel nostro paese, il che rappresenta un’occasione per una massiccia e necessaria operazione di ristrutturazione di molti impianti sportivi. Con rarissime eccezioni, i nostri stadi sono ancora fermi al mondiale di calcio di Italia ’90. L’edilizia sportiva nel nostro paese sta andando a rilento in termini di investimenti rispetto ad altri paesi.
Analizzando a volo d’aquila i risultati delle varie federazioni sportive italiane, si trova la conferma di una tendenza tutt’altro che entusiasmante.
Nella storia, prima che calciofili gli italiani sono stati ciclo amatori ma adesso il ciclismo sembra non appassionare più le nostre nuove generazioni. Con la nazionale non abbiamo vinto nessuna rassegna mondiale e solamente un europeo su pista con Elia Viviani. A livello di singoli, non abbiamo ottenuto risultati trionfali, Nibali a parte. È senza ombra di dubbio stato il decennio dello “squalo dello Stretto” che è entrato nel club dei 7 corridori in grado di aver vinto la “tripla corona” – Giro, Tour e Vuelta – entrando nella storia insieme ad Anquetil, Merckx, Hinault, Contador, Froome e il grande Felice Gimondi che nel 2019 ci ha lasciato per entrare definitivamente nella storia. Per il ciclismo italiano gli anni Dieci sono stati complicati, il fatto che non ci siano più team italiani nel World Tour lo conferma. Senza contare Nibali e – altro grande che ci ha lasciato, prematuramente – Michele scaproni, vincitore del Giro 2011 per la squalifica di Contador, solamente Aru è stato in grado di vincere un grande giro. E anche nelle classiche abbiamo raccolto poco, con Bettiol che quest’anno ha vinto il Fiandre e i Lombardia e la Sanremo del solito Nibali.
Nessun maggior dolore che ricordarsi del anni ’90 mentre il basket italiano langue. Gli anni Dieci avrebbero dovuto sancire il definitivo rilancio della nostra pallacanestro che si accingeva a mandare quattro italiani in NBA. E invece Gallinari, Datome, Belinelli e Bargnani non sono riusciti a farci andare oltre un 10º posto ai mondiali, un 5º agli europei e, cosa peggiore, a farci qualificare alle Olimpiadi. La nostra crisi cestistica è aggravata dal fatto che l’ultima partecipazione di un club italiano ad una final four di Eurolega risale al 2011: la Mens Sana Siena che nel frattempo è fallita e ora gioca in Promozione.
Questo decennio ha poi messo in evidenza la crisi della nostra atletica, che all’ultima Olimpiade di Rio non è riuscita – per la prima volta nella storia – ad ottenere alcuna medaglia. Gli anni Dieci sembrano poi aver tarpato le ali alla crescita della palla ovale in Italia: gli azzurri del rugby non vincono una partita al Sei nazioni dal 2015 e continuano a non riuscire a superare il girone al mondiale. Anche il mondo dei motori non sembra più sorridere ai nostri colori: i piloti italiani sono quasi spartiti dai circuiti di Formula 1 – dove un ferrarista non vince un mondiale dal 2007 – mentre la Spagna ci ha scalzato dal trono del MotoGP. Un esempio lampante della nostra crisi sportiva è la mancanza di medaglie d’oro della squadra azzurra ai mondiali di scherma di Budapest, disciplina che per anni abbiamo quasi monopolizzato.
A rendere meno scuro il quadro contribuiscono dei fattori di resistenza e di rinascita del nostro sport. Continuiamo a mietere successi grazie alla pallanuoto – con il Settebello che è la squadra azzurra più vincente di sempre tra gli sport olimpici – e alla pallavolo che dopo un periodo complicato è tornata ad ottenere medaglie olimpiche. Settebello e Setterosa, Italvolley maschile e femminile: pallanuoto e pallavolo sono due sport che in Italia non conoscono distinzioni di genere, in termini di risultati e di appeal dei campionati.
Il colore che più di tutti rende il decennio sportivo azzurro meno grigio è il rosa. In questi anni ci siamo potuti godere una serie di atlete straordinarie: in vasca con la “divina” Federica Pellegrini e i tuffi di Tania Cagnotto; sulle piste da sci con Federica Brignone e Sofia Goggia; in pedana con le nostre selezioni di ginnaste e di schermitrici; nei circuiti di tennis con Flavia Pennetta e Francesca Schiavone. E, finalmente, anche sui campi di calcio con la nostra nazionale che al mondiale francese ha eguagliato il miglior piazzamento, raggiungendo i quarti di finale, entusiasmando un paese e ponendo le basi per un cambio di mentalità.
Passare da Tavecchio a Barbara Bonansea è una straordinaria vittoria per lo sport italiano.