L’amore è un’emozione complessa. Si tratta di un’esperienza umana da tutti vissuta e a lungo studiata, ma della quale sappiamo ancora poco.
Nessuno infatti conosce le ragioni profonde per le quali ci innamoriamo di una determinata persona piuttosto che di un’altra. Tuttavia l’interesse suscitato da questo argomento ha generato un crescente numero di ricerche che ci permettono di raccontare alcune delle sue principali caratteristiche.
L’amore accompagna l’essere umano dall’alba dei tempi e accomuna tra loro tutte le culture. Per esempio l’antropologa Helen Fisher studiando 166 società ha trovato prove di amore romantico (inteso come la forma di amore euforica e che lascia senza fiato) in ben 147 di esse.
All’amore sono state dedicate opere d’arte di tutti i tipi: poesie, leggende, romanzi, film, quadri, canzoni. In nome di questo sentimento si sono compiuti gesti eclatanti, alcuni di indubitabile bellezza, in altri casi invece si sono realizzate azioni meschine e perfino crimini efferati.
In amore vi è grande variabilità individuale: se alcuni di noi si innamorano spesso, per altri questa sensazione può sopraggiungere più raramente. Tuttavia l’amore è un’esperienza radicata a fondo, perché l’essere umano è predisposto alla ricerca di affetti stabili e alla creazione di legami di attaccamento significativi.
Dal punto di vista evoluzionistico, infatti, un forte legame nella coppia era funzionale per la sopravvivenza della prole. I piccoli della nostra specie nascono impreparati ad affrontare il mondo e necessitano per lungo tempo di attenzioni e cure costanti.
I primi esseri umani nella savana avevano bisogno di una struttura familiare stabile che potesse garantire da un lato le cure necessarie per la sopravvivenza dei figli e dall’altro il procacciamento del cibo.
Secondo gli antropologi i sentimenti di amore e tenerezza servivano dunque a garantire un legame stabile. Anche se oggi la vita è molto diversa da quella dei nostri antenati, millenni di evoluzione e selezione naturale ci avrebbero predisposti alla ricerca dell’amore.
Ma cosa vuol dire innamorarsi? Cosa succede al nostro cervello quando sperimentiamo queste emozioni?
Durante l’innamoramento assistiamo all’attivazione di alcuni circuiti cerebrali tra i quali in particolare quelli legati alla ricompensa e alla motivazione. Allo stesso tempo si produce una diminuzione dell’attività delle aree connesse con il giudizio critico e l’esperienza di emozioni negative quali stress mentale e fisiologico.
Le prime fasi di una relazione sono tipicamente caratterizzate da alti livelli dei neurotrasmettitori dopamina, noradrenalina, feniltilamina. Questo cocktail di sostanze in circolo nel nostro sistema nervoso produce un effetto di euforia e si possono esperire stati simili all’esaltazione tipica delle anfetamine.
In particolare la dopamina è un neurotrasmettitore rilasciato dall’ipotalamo, associato al desiderio e all’apprendimento delle azioni con conseguenze piacevoli. Si tratta di un pattern di attivazione che condividiamo con molte specie animali e che facilita gli apprendimenti di tipo associativo. Non a caso a si tratta del neurotrasmettitore maggiormente associato allo sviluppo delle dipendenze.
Quando ci innamoriamo la vista o il pensiero della persona amata o la percezione di stimoli che ce la ricordino (per esempio una fotografia o un profumo), attivano i centri cerebrali del piacere. Proprio come nelle dipendenze anche in amore andiamo incontro ad una progressiva assuefazione e col proseguire di una relazione assistiamo a un progressivo e crescente bisogno di avere accanto la persona amata.
Superata la fase acuta dell’innamoramento, nel cervello aumenta la produzione di ossitocina e di vasopressina, ormoni che contribuiscono alla creazione e al mantenimento di una relazione stabile, stimolando sentimenti di tenerezza.
L’ossitocina, definita spesso come l’ormone dell’amore, svolge un ruolo fondamentale nel potenziare l’attaccamento tra i partner e rinforza la memoria dei ricordi emotivi positivi contribuendo all’instaurarsi di una identità di coppia.
Ossessioni d’amore
Quando ci innamoriamo ci muoviamo in una dimensione nuova, il baricentro della nostra vita cambia e ruota intorno all’idealizzazione della persona desiderata.
Possiamo sorprenderci a fantasticare su questa persona anche in situazioni nelle quali sarebbe più appropriato essere concentrati su quello che stiamo facendo per esempio mentre siamo alla guida o sul posto di lavoro.
La pervasività delle fantasie degli innamorati ricorda i pensieri ricorrenti tipici del disturbo ossessivo compulsivo, una condizione che affligge circa l’1,2% della popolazione. Si tratta di un malessere estremamente pervasivo che si caratterizza per la presenza di ossessioni (pensieri impulsi e immagini ricorrenti vissuti come intrusivi e che provocano ansia e disagio marcati), compulsioni (comportamenti ripetitivi o azioni mentali messi in atto al fine di ridurre la sensazione di ansia) o di entrambe.
Partendo da questa somiglianza la Dottoressa Marazziti presso l’Università degli studi di Pisa (1999) decise di analizzare se alla base di questa similutudine potesse esservi una somiglianza nei livelli dei diversi neurotrasmettitori a livello cerebrale
In particolare lo studio evidenziò come sia le persone affette da disturbo ossessivo compulsivo sia le persone infatuate tendano ad avere livelli di serotonina più bassi rispetto alla popolazione generale e che nelle persone innamorate questo effetto tendeva a diminuire nel corso di alcuni mesi (analogamente alle loro fantasie d’amore)
I bassi livelli di serotonina possono parzialmente spiegare l’inappetenza tipica dell’amore. Si tratta infatti di un neurotrasmettitore implicato nella regolazione dell’appetito.
Inoltre trattandosi di un neurotrasmettitore coinvolto nella regolazione del tono dell’umore la riduzione dei livelli di serotonina ci aiuta a comprendere perché, se da un lato si prova un’intensa euforia, dall’altro è possibile cadere in preda all’ansia e alla tristezza ai primi segnali di rifiuto.
L’amore a prima vista
L’idea di due sconosciuti che al primo sguardo provano un senso di appartenenza reciproca è l’emblema del romanticismo. E’ piuttosto frequente sentire una coppia descrivere la nascita della propria storia d’amore come determinata da un’attrazione repentina e travolgente, ma è davvero possibile innamorarsi a prima vista?
Ci si domanda infatti se non sia la mente degli innamorati ad attuare una modificazione cognitiva dei ricordi relativi alle prime impressioni nei confronti del partner.
Recenti studi sembrano però supportare l’esistenza del colpo di fulmine e ci forniscono a riguardo interessanti spunti di riflessione. In una ricerca condotta nei Paesi Bassi nel 2017 (Zsok, Haucke, De Wit e Barelds) e’ stato chiesto a circa quattrocento persone di incontrare una serie di individui e rispondere immediatamente ad un sondaggio sulle prime impressioni. Tra le domande veniva richiesto di stimare se si stesse provando un innamoramento a prima vista nei confronti delle persone incontrate e quale fosse il grado di attrazione sessuale provato.
I risultati hanno evidenziato come effettivamente le persone riportino di provare emozioni simili all’innamoramento anche subito dopo aver incontrato qualcuno, smentendo parzialmente l’ipotesi che si tratti di una modificazione cognitiva dei propri ricordi.
E’ interessante come lo studio di Zsok e colleghi abbia evidenziato una maggiore probabilità di infatuazione a prima vista negli uomini che nelle donne. Una possibile spiegazione è che le donne siano maggiormente selettive nella scelta del partner. Infatti le conseguenze di una relazione (per esempio la maternità) hanno comportato nella storia dell’essere umano un maggiore rischio per la donna nel caso della scelta di un partner sbagliato.
Sembra inoltre che l’amore a prima vista sia principalmente unilaterale e alcuni studiosi postulano che probabilmente la forte passione di uno dei due partner sia un elemento importante per il progressivo coinvolgimento emotivo dell’altro.