Settantacinque anni. Tanti ne compie nel 2021 la National Basket Association (NBA), che inaugura il 19 ottobre la sua nuova stagione. Se la lega nordamericana è arrivata a essere il campionato più seguito al mondo lo si deve anche un dirigente di origine italiana, Daniel Biasone. Classe 1909, nel 1923 Danny, insieme alla sua famiglia, formata da papà Leo e mamma Bambina, emigra da Miglianico, in Abruzzo, negli Stati Uniti. I Biasone si stabiliscono a Rochester, sulla costa orientale, dove già vivono alcuni parenti e dove Leo nel 1913 aveva già vissuto.
Nello Stato di New York Biasone si diploma alla Blodgett Vocational High School nella vicina Syracuse e inizia la sua carriera da imprenditore. Nel 1941 compra un bowling, che gestirà fino alla morte. Danny ha un grande fiuto per gli affari e una passione per il basket, tanto che nel 1946 è lui a staccare un assegno da 1000 dollari per iscrivere una nuova franchigia i Syracuse Nationals, alla National Basketball League (NBL), una delle leghe professionistiche allora in attività. È una delle antenate dell’odierna NBA, in cui i Nationals entreranno insieme alle altre squadre della NBL nel 1949. Sarà subito una squadra di vertice, anche perché Biasone ha messo sotto contratto un geniale dirigente come Leo Ferris, un allenatore-giocatore moderno come Al Cervi e ha scelto un campione come Dolph Schayes. Il suo capolavoro Danny però non l’ha ancora fatto. Il ragazzo cresciuto vicino a Chieti prima di essere un appassionato è un imprenditore. E si è accorto che la pallacanestro così come è rischia di perdere spettatori, interessi e sponsor, a favore del basket universitario.
A penalizzare lo spettacolo è secondo molti, compreso lo stesso Biasone, il regolamento che per esempio non impone un limite di tempo per concludere un’azione. Il risultato sono partite con punteggi bassissimi, come il 19-18 tra i Fort Wayne Pistons e i Minneapolis Lakers del 22 novembre 1950, il punteggio più basso nella storia della NBA. Una situazione potenzialmente letale, a cui Biasone, il capo degli osservatori Emil Barboni dei Nationals e il General Manager Leo Ferris tentano di trovare un rimedio nella primavera del 1954.
Lo fanno all’Eastwood Sports Centre, il bowling e il caffè del proprietario della franchigia dello Stato di New York. Studiando le statistiche dell’anno precedente i tre deducono che la soluzione sia aumentare fino a 60-120 i tiri a partita. Più canestri, più spettacolo. Non è solo un’ipotesi per salvare il Gioco, ma anche per favorire i Nationals, uno degli attacchi più veloci della neonata NBA. Il resto sono numeri, la grande passione di Ferris, che calcola a partire dai 48 minuti, la durata di una partita, il tempo necessario per ogni azione dividendolo per 120. Sono 24 secondi. Ci sono poi da convincere i vertici della NBA. Per farlo il 10 agosto 1954 viene organizzata una partita al Blodgett Vocational High School, nella palestra della scuola dove Biasone si era diplomato. Ci sono tutti a partire da Maurice Podoloff il commissioner della lega, a Red Auerbach, il mitico allenatore dei Boston Celtics. In campo arbitrati da Al Cervi, una serie di stelle del basket collegiale e dei Syracuse Nationals.
A parte lo smarrimento iniziale, soprattutto dei giocatori, tutti capiscono che quell’innovazione regolamentare ha potenziale. La NBA la introduce dalla stagione che sarebbe cominciata nell’autunno 1954. I punteggi si alzeranno, come aumenterà lo spettacolo e nel 1955 a vincere saranno proprio i Syracuse Nationals, con in campo anche Earl Lloyd, il primo afroamericano a scendere in campo nella NBA e anche il primo a vincere l’anello di campione. Nel 1956 il limite, ma di 30 secondi, sarà adottato anche dalla FIBA. Biasone nel 1963 venderà la franchigia che si trasferirà nello stesso anno a Philadelphia cambiando la denominazione in “76ers”. Danny continuerà a fare l’imprenditore fino alla sua morte nel 1992. Otto anni dopo, nel 2000, verrà inserito nella Hall of Fame della NBA, lì dove non c’è ancora Leo Ferris, l’altro uomo con la passione per i calcoli che ha (co)inventato la regola che ha salvato la NBA.