Nel 2015 l’autoproclamato Stato Islamico occupa Palmira. È l’inizio della fine. Uno dei siti più grandiosi del Vicino Oriente viene distrutto, monumento dopo monumento. Ricordo dopo ricordo. Nel 1980 era stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Il lavoro di archeologi, tra cui quello della Missione Archeologica Italo-Siriana (Pal.M.A.I.S.) che coinvolge l’Università degli Studi di Milano, frutto di dure campagne di scavo, si sgretola sotto gli esplosivi. Chi ancora aveva cercato di far rivivere le antiche rovine, proteggendole fino alla fine, si vede togliere ogni speranza, financo la vita. È quello che succede a Khaled al-Asaad, decapitato dai jihadisti il 18 agosto 2015. Crolla così Palmira, la Sposa del Deserto.
De Syria Dea
Il territorio siriano ha però molto da raccontare. Un passato ricco di storia che si intreccia con quella dell’Occidente: prima sotto l’influenza ellenistica, poi sotto quella romana e latina.
Il cuore siriano si mostra soprattutto nella religione locale che più di altre risente direttamente del sostrato mesopotamico. All’apice del pantheon il dio Bel, di cui nel 32 d.C. venne eretto un magnifico tempio, andato distrutto nel 2015. Segue Atargatis dea della guerra e dell’amore, ma anche della fecondità. È proprio a lei e al suo culto celebrato a Hierapolis che nel II sec d.C., Luciano di Samosata, esponente siriano della seconda sofistica, dedica un intero trattato. La festa della dea cadeva a metà agosto, quando a Roma si celebravano le feriae Augusti, in onore dei lavori agricoli. Nei rilievi siriani la dea compare spesso seduta in trono, affiancata da leoni, simboli di potere universale. Indossa il polos (copricapo sacro) che nelle raffigurazioni più tarde assume l’aspetto di una torre. Così Atargatis diventa “dea della città”. Potere, animali selvaggi e ciclo naturale evocano l’immagine dell’antica dea mediterranea: la Potnia Theròn, Signora degli Animali e del cosmo.
Atargatis è soprattutto dea-pesce. Come scriveva Marija Gimbutas, il pesce è una delle epifanie della Dea neolitica. Da qui il profondo legame con le acque, i cicli lunari, ma soprattutto con le donne. Le assomiglia un’altra dea del pantheon siriano: Allat, celebrata in un tempio a Palmira, difeso dalla statua di un gigantesco leone.
Donne a Palmira
I contesti funerari palmireni hanno restituito una lunga tradizione epigrafica e ritrattisitica. Oggi i ritratti di defunti di Palmira sono oggetto di studio e interesse e mostrano il volto delle antiche èlite siriane. Palmira, d’altra parte, fu una delle principali città orientali dell’Impero, sita su una delle più importanti vie carovaniere che collegava l’Eufrate fino alla località di Hit. Era una via del lusso, che conduceva merce pregiata come pietre, spezie, perle, tessuti e manufatti cinesi, verso il Mediterraneo. La grande ricchezza di uomini e donne di Palmira emerge anche nei loro ritratti e nelle dediche funerarie.
Le donne palmirene, in particolare, ostentano con fierezza la propria discendenza aristocratica, sfoggiando copricapi elaborati e un’infinità di gioielli. A differenza degli uomini, mostrano una spiccata aderenza alla cultura locale e fanno sfoggio di abiti tipici orientali. Ma ciò che attira l’attenzione è la presenza di attributi ricorrenti: il fuso e la conocchia. Si tratta di elementi utilizzati nella pratica della tessitura: attività pertinente delle donne d’alto rango, regine e principesse, ma soprattutto delle dee.
La stessa Atargatis compare talvolta con i due attributi. Anche le chiavi diventano emblema di femminilità, simbolo della porta di casa, ma anche della porta di un mondo ultraterreno. Non solo indicatori di status, bensì segni della partecipazione femminile alla vita rituale della città.
Senza veli
Delle donne di Palmira poco si conosce. Come sottolinea Cynthia Finlayson, la storia delle donne orientali spesso è stata tramandata dagli uomini e così diventa difficile scoprire cosa succedeva nell’ambito privato femminile. Il fanatismo iconoclasta di cristiani e islamici ha poi contribuito a occultare i pochi resti e documenti iconografici relativi alla vita rituale in cui erano comprese le donne. Le donne completamente velate che compaiono nelle cerimonie pubbliche sono le stesse che nel privato mostrano con orgoglio il proprio viso e il proprio potere, eliminando tra loro e lo spettatore ogni barriera. Due modi di apparire molto diversi e contrastanti.
Regine del Deserto: Julia Domna
Il potere femminile in Siria riecheggia nelle biografie storiche di donne eccezionali. Giulia Domna, moglie di Settimio Severo imperatore di Roma, e Zenobia che guidò Palmira contro l’Impero romano cercando di affermare il proprio potere.
Giulia Domna nacque nella città siriana di Emesa. Discentente di una famiglia di beduini del deserto e sacerdoti di El-Gabal: dio del sole da cui prenderà nome il futuro imperatore Elagabalo, della famiglia dei Severi. Giulia nacque intorno al 170 d.C. e il suo nome originario doveva essere meret, cioè “signora” e “padrona”. Con lei ebbe inizio una “dinastia di donne” formata dalle sue parenti più strette che ricoprirono cariche importanti: Giulia Mamea, Giulia Soemia e Giulia Mesa. Giulia Domna fu introdotta fin da piccola allo studio in lingua greca, ricevette un’educazione retorica e letteraria. Non a caso Emesa era ricordata come una città intellettualmente vivace. L’ambizione e la cultura di Giulia Domna la portò a unirsi a un giovane ufficiale romano di origini libiche che, nel 193 d.C., sarebbe stato proclamato dalle truppe imperator: Settimio Severo.
Nel periodo di governo, Giulia Domna si circondò di intellettuali, venendo financo soprannominata l’imperatrice filosofa. Galeno fu uno dei più importanti medici e intellettuali di II sec d.C. a operare nella casa imperiale. La donna giocò probabilmente un ruolo politico essenziale, forse adombrando la stessa figura di Settimio. Nel fornice dell’Arco degli Argentari a Roma, Giulia è raffigurata insieme al marito. Il tratto rigido e frontale mostra però una caratteristica inusuale: la donna è rappresentata di dimensioni maggiori rispetto allo stesso Imperatore di Roma. Dettaglio non trascurabile dato che la dimensione è un chiaro indice di status.
Regina del deserto: Zenobia
Ancor più intrigante è la vita di Zenobia. Moglie di Odenato, principe di Palmira, ne ereditò tutti i poteri alla morte di lui tra il 267-268 d.C. facendo le veci del figlio Vaballato. Odenato si era distinto sotto il governo di Gallieno per aver condotto a buon fine le trattative con il regno sasanide, profonda minaccia per i romani a Oriente. Aveva dunque agito in nome di Roma e della romanità e gli furono riconosciuti grandi onori. Nel 262 d.C. fu nominato “re dei re”, mentre Zenobia diventava “despoina”, carica eminente. Tant’è che nell’Historia Augusta la donna viene ricordata come principale artefice della sconfitta del re sasanide Shapur I.
Fonti classiche e arabe (al-Zabba di Ibn al-Athir) restituiscono l’immagine di una donna volitiva, austera, coraggiosa e forte, dai tratti quasi mascolini, ma estremamente bella e astuta. Di Zenobia viene esaltata l’abilità militare e guerriera, la prestanza fisica e il fatto che condividesse gli stessi spazi degli uomini senza sottomissione. Di Zenobia, come di Giulia Domna, si tramanda la cultura e la conoscenza del greco e del latino. L’azione di Zenobia segnò la storia dell’Oriente e di Roma. Ella arrivò a minacciare lo stesso potere centrale, rafforzando la propria immagine e quella del figlio Vaballato che divenne, in sostanza, un Imperatore d’Oriente, raffigurato sulle monete locali insieme al coevo Aureliano. Zenobia mirava infatti a divenire unica imperatrice di Roma e per farlo permise al figlio di autoproclamarsi Augusto. Quando nel 272 d.C. Palmira venne presa dall’Imperatore Aureliano, Zenobia rappresentava una minaccia e le fonti storiche tacciono sulla sua reale fine: forse prigioniera di Roma, forse morta dopo la conquista della città o forse ancora vissuta come nobile a Tivoli.
Dee e donne siriane oggi
La presa di Palmira da parte dell’ISIS ha significato anche la fine di un’antica realtà. La statua di Allat è stata preda della furia misogina e iconoclasta, così come i resti di una grande città. Restano le macerie, segno dei tempi. Anche i ritratti delle donne palmirene sono stati oggetto di distruzione. Così rimane la memoria a raccontare un passato grande fatto di principi, di dei, ma anche di principesse e guerriere del deserto.
Fonti bibliografiche
- A. MAGNANI, Giulia Domna. Imperatrice Filosofa, Jaca Book, 2008, Milano
- M. T. GRASSI, Palmira. Storie straordinarie dell’antica metropoli d’Oriente, ETS, 2017, Milano