A cura di Federico Di Matteo
In un paese sottosviluppato non bere l’acqua. In un paese sviluppato non respirare l’aria
(J. Raban)
È una domenica piovosa, e il tuo appartamento semivuoto suggerisce di fare un salto all’Ikea, ma il blocco del traffico imposto dal Comune rovina i tuoi piani e inizi a pentirti di guidare ancora un pandino senza marmitta.
Ma perché alcune automobili sono “più green” di altre?
Siamo tutti consci che la benzina inquini, così come il metano, il carbone, il gasolio, il legno, e chiudo qui una lunga e noiosa lista. Quello che li accomuna è la presenza di atomi di Carbonio e Idrogeno, i due elementi utili per bruciare.
Durante una Reazione di Combustione questi atomi si legano con l’Ossigeno formando rispettivamente CO2 e H2O, generando così tanto calore da rendere incandescenti i gas circostanti, alias il fuoco.
Fin qui tutto bene: otteniamo acqua, fondamentale per la vita, e anidride carbonica, che non è propriamente inquinante ma gioca “solo” un ruolo come gas serra. Fin qui tutto bene perché è una reazione ideale, che non avverrà mai.
In primis, l’esempio considerava solo Ossigeno puro, che “purtroppo” è presente nell’aria miscelato con varie sostanze, tra cui l’Azoto (N) che alle alte temperature della fiamma (siamo sui 2400°C) forma l’Ossido di Azoto (NOx), uno dei più pericolosi nemici ambientali. In modo analogo i combustibili fossili non sono formati solo da Carbonio e Idrogeno, ma anche da Zolfo (S) o polveri, che vengono rilasciati in atmosfera. Tutte queste impurità sono oltretutto da ostacolo alla reazione, che non sempre riesce a concludersi, fermandosi a prodotti intermedi come il letale monossido di carbonio (CO).
Può sembrare scontato che combustibili diversi impattino sull’ambiente in modo diverso, meno scontato è invece che l’uso dello stesso combustibile possa generare diverse quantità di inquinanti; sono vari infatti i fattori che ne influenzano il processo. Un metodo semplice per abbatterli è ridurre la temperatura (come detto alcuni inquinanti si formano solo in ambienti molto caldi), aggiungendo più aria del necessario e/o eseguire due combustioni in successione in modo da eliminare i prodotti parziali. Un filtro può infine bloccare le polveri.
Il più efficace, nonché più comune, sistema di abbattimento è l’utilizzo di convertitori catalitici allo scarico dei fumi (nelle automobili si trovano sulla marmitta), nient’altro che cilindri composti tipicamente da platino o palladio; svolgono due funzioni fondamentali: completano la combustione, eliminando i tossici prodotti intermedi come il monossido di carbonio, e scindono gli NO2 in più naturali Azoto e Ossigeno.
Mentre grazie allo sviluppo tecnologico è ormai possibile avere un impatto inquinante tendente allo zero, di contro siamo ben lontani dall’abbattere le emissioni di CO2: la sua cattura dagli scarichi industriali è oggetto di ricerca da qualche anno.
Il combustibile fossile viene scomposto tramite gassificazione in Idrogeno e Anidride Carbonica; il primo bruciando produce solo acqua, il secondo viene invece filtrato.
Dapprima si puntò sul Carbon Capture and Storage (CSS), ovvero sull’iniettare nei giacimenti petroliferi l’anidride carbonica catturata, che simultaneamente favorisce la fuoriuscita del greggio. Per quanto aiuti a combattere i cambiamenti climatici, non è una gestione efficiente dei rifiuti quella di “sotterrarli”, in particolare se utilizzati per estrarre combustibili fossili.
Più sensato è il successivo Carbon Capture and Utilization (CSU), ovvero il riutilizzo funzionale del gas nei processi industriali (alimentare, chimico, etc..), creando un’economia circolare che non porti a ulteriori emissioni.
Questi processi sono molto costosi a livello energetico (almeno attualmente), e utilizzare a sua volta la stessa energia per catturare un effetto indesiderato derivato dalla sua produzione può sembrare insensato. L’unica soluzione percorribile sembrava fosse ridurlo alla fonte, e in coincidenza col Protocollo di Kyoto (Qui spiegato nel dettaglio) venne creato l’Emission Trading System (ETS), un sistema che, basato sulla logica del “Chi inquina paga”, tendeva a disincentivare economicamente le aziende a utilizzare combustibili fossili. (A questo indirizzo potrete trovarne un approfondimento a cura del mio collega Begnozzi)
Questo sistema, per quanto aiutò a raggiungere gli obiettivi imposti dal Protocollo, non ebbe un grande impatto; sia perché i dazi erano troppo bassi per convincere le aziende a una svolta green (che spesso sarebbe costata di più), sia perché coinvolse solo gli stati europei e bastò quindi, banalmente, delocalizzare le fabbriche. Si comprese la necessità di allettare gli imprenditori non con dazi ma con guadagni, offrendo politiche di incentivi economici a chi avesse utilizzato fonti di energia pulite. Per quanto possa sembrare un mero trucco psicologico, la politica, unita a una crescente consapevolezza comune sul tema, funzionò portando a un calo (seppur lieve) delle emissioni climalteranti nelle regioni europee.
Mentre l’inquinamento può essere realmente fermato, quella contro il cambiamento climatico è una battaglia ancora lunga. Non bisogna però dimenticarsi che la cattura della CO2 è un processo già attuato dalle piante durante la fotosintesi: avere riguardo per le foreste, evitando che brucino o vengano sfruttate, può rivelarsi una delle armi più utili e paradossalmente naturali alla nostra causa.