Siamo in America, sono ancora gli anni ’50 del ‘900 e una giovane donna di origini lituane dà il via a una lunga carriera da studiosa. È infatti il 1956 quando viene pubblicata Prehistory of Eastern Europe, la prima grande opera comprensiva degli studi di Marija Gimbutas. Si tratta di una conquista importante visto che, come ricorda la studiosa stessa, negli anni ’40, quando approda per la prima volta negli States, l’ambiente accademico della Harvard University si presenta ancora fortemente chiuso alle donne. È la sua conoscenza delle lingue slave, baltiche e anche del russo che le permette di lavorare come traduttrice su importanti testi archeologici. Da qui l’avvio della sua carriera in questo campo.
Memorie lituane
Facciamo però un passo indietro. Prima del grande lancio in ambiente americano, Marija Gimbutas vive l’estremo disagio di un’Europa distrutta dalla guerra. I suoi studi, che la conducono alla stesura di una tesi di dottorato negli anni Quaranta, sono concentrati prevalentemente sulle antichità storiche e la tradizione folklorica della sua terra natia: la Lituania. Archeologia e folklore rappresentano il marchio di fabbrica negli studi di Gimbutas. Attraverso l’attenta analisi di simboli e credenze popolari, l’archeologa darà vita a importanti interpretazioni in ambito archeologico, soprattutto nella lettura di segni e simboli preistorici.
L’opera iniziale di Marija Gimbutas rappresenta un’azione importante volta a preservare quella memoria popolare che, a causa del dominio russo di fine Ottocento, era sopravvissuta di nascosto attraverso la trasmissione orale. Gimbutas nasce nel 1921 a Vilnius, nella Lituania meridionale. Ha la fortuna di ereditare dai genitori l’amore per lo studio, per la conoscenza e il fatto di provenire da una famiglia borghese le permette di approfondire diversi campi di interesse: dalle lingue straniere, alla musica e alla storia.
Gli studi di archeologia iniziano proprio qui, a Vilnius, dove segue corsi di preistoria, folklore, linguistica, adottando fin da subito un approccio multidisciplinare. Gli anni ’40 segnano le prime pubblicazioni legate al passato archeologico della Lituania. L’interesse dell’archeologa coinvolge una fitta foresta di simboli con cui Gimbutas cerca di spiegare l’antico modo di concepire la vita e la morte in un senso rituale. La sua tesi di dottorato, pubblicata nel 1946, parla proprio di questo: sepolture nella Lituania preistorica. Scritta in lituano e tradotta dall’autrice in tedesco durante la fuga a Tübingen a causa della pressione sovietica.
All’origine della civiltà
Le ricerche dell’archeologa rappresentarono una scoperta e un’innovazione rispetto agli studi fino ad allora riconosciuti. Gimbutas creò una mappatura dei principali siti neolitici di quella che la studiosa chiama Europa antica, nel cuore dei Balcani, tra Turchia e Vicino Oriente. Qua, spiega, uomini e donne non conoscevano la guerra e vivevano seguendo gli antichi cicli della Terra, concepita come Donna e come Dea. Per la prima volta centinaia di reperti raffiguranti figure femminili trovavano un’interpretazione nuova: Marija Gimbutas ne riconobbe infatti immagini di una Dea venerata in diverse civiltà per un’epoca lunghissima.
Prima di allora nessun archeologo aveva avanzato un’ipotesi così approfondita e suggestiva. Da qui Gimbutas riuscì a ricostruire un tipo di civiltà ginocentrico, cioè centrato sulla donna. Sono tante le culture che Marija Gimbutas identifica e che ritiene essere società rette da un sistema pacifico, fondato sul rispetto e culto della natura, che in un’intervista l’archeologa continua a definire Mother Earth.
L’arrivo dei kurgan
Come spiega Gimbutas, guerra e patriarcato giunsero intorno al V millennio a.C. con l’arrivo in Europa di popoli dall’area caucasica. Si tratta di popolazioni che veicolano una cultura diversa, quella indoeuropea, e che diedero inizio a un’era nuova, fatta di conflitti, di nuove divinità, di un nuovo alfabeto e nuovi miti. Il nome kurgan deriva dal principale monumento funerario di queste popolazioni: il tumulo.
L’arrivo dei kurgan segnerebbe una rottura con il passato neolitico e matriarcale, caratterizzato dal culto della terra e delle acque, introducendo un nuovo pantheon prevalentemente celeste e maschile. Ecco che compare Perkûnas: dio della folgore.
Signs out of Time
Il documentario Signs out of Time diretto da Donna Read in occasione del decimo anniversario dalla morte dell’archeologa (1994) è un riassunto suggestivo dell’importante lavoro svolto da Marija Gimbutas nella ricerca delle origini sociali e cultuali dell’Europa antica. All’interno raccoglie importanti interviste, come quella a Colin Renfrew, noto archeologo che condivise con Gimbutas lo scavo a Sitagroi (1968-1970) e in seguito divenne il suo più grande contestatore. Non manca la voce della stessa Gimbutas, che esprime tutto l’entusiasmo di una vita trascorsa a studiare le viscere della terra, alla ricerca di un antico modo di vivere, così vicino alla natura che lei imparò ad amare fin da piccola.
I canti agresti delle donne lituane ispirarono il suo modo di vedere e concepire l’antichità e creano un senso di tempo sospeso durante l’intero documentario. Le immagini e le melodie evocano tempi antichi. Viene così illustrato un catalogo di statuette femminili, mentre la voce di Gimbutas, insieme a quella di numerosi esperti, accompagna l’intero filmato.
Marija Gimbutas ottiene la cattedra di Archeologia Europea alla UCLA in California e qui rimane fino al 1989. Insegna contemporaneamente Culture Baltiche e Slave e Studi Indoeuropei. Inoltre, diviene curatrice del Museo di Archeologia del Mondo Antico e di Storia Culturale all’interno dell’Università. Dopo una vita intera dedicata ai suoi studi, muore a Los Angeles il 2 febbraio 1994.
Riferimenti bibliografici
- M. GIMBUTAS, Il linguaggio della Dea, Venexia, Roma, 2008
- A. RIBOLDI, Al cuore dell’Europa. Una rilettura dell’opera di Marjia Gimbutas, Mimesis, Milano, 2015