Questo approfondimento è stato realizzato con il contributo di Sofia Brizio, traduttrice disabile che si occupa di giornalismo.
Rassegnati è la rubrica settimanale che seleziona un fatto degli ultimi giorni per provare a mostrare com’è stato riportato dalla stampa italiana. Tra strategie comunicative ed errori, viene svelato il filtro che copre ogni notizia. Oggi parliamo della cerimonia di apertura delle Paralimpiadi di Tokyo 2020 e del relativo commento telegiornalistico.
Martedì 24 agosto alle ore 13.00 italiane sono iniziati i Giochi paralimpici. La cerimonia si è svolta nello stadio nazionale di Tokyo e ha coinvolto solo una parte delle 4mila atlete e atleti provenienti da 163 Paesi che parteciperanno alle competizioni. Alcuni Stati, infatti, hanno inviato una delegazione ristretta alla parata per evitare i rischi dovuti al Covid.
In ogni caso la cerimonia di apertura è stata un momento di festa molto importante per il movimento paralimpico. Dall’alto contenuto simbolico, concentrato nel motto We have wings, è stata trasmessa in Italia su Rai 2 e, a differenza delle Olimpiadi appena terminate, era disponibile anche in streaming online. Com’è stata narrata questa cerimonia dal commento telegiornalistico?
A pochi minuti dall’inizio l’apertura delle Paralimpiadi viene ritratta in questo modo: «Siamo al luna park dello sport. Benvenuti in quello che è il regno del paradosso perché qui vedremo una persona che muove solo la testa essere un campione paralimpico. Vedremo una ragazza ipovedente, che non vede le corsie, correre più veloce delle ragazze che ci vedono. Vedremo un arciere che non ha le braccia tirare e centrare il bersaglio da 70 metri».
L’intento della telecronaca è mostrare il grande livello dello sport paralimpico. La scelta del termine “paradosso”, però, rimanda a ciò che sta al di fuori della norma, che è inammissibile e in contrasto con l’esperienza comune. “Luna park” richiama sì un momento di festa, ma anche l’esposizione dei partecipanti come fenomeni da baraccone. Una scelta terminologica che vuole sottolineare l’importanza del movimento paralimpico e di questo evento sportivo, ma che si concentra molto sulla sua straordinarietà più che sulla sua forza e qualità sportiva.
La cerimonia procede e il servizio telegiornalistico ricorda che Tokyo ospita per la seconda volta le Paralimpiadi, dopo l’edizione del 1964. Si cita inoltre il ruolo di Antonio Maglio, «padre del paralimpismo non solo italiano», che ha portato i Giochi in Italia nel 1960 dopo le prime competizioni organizzate da Ludwig Guttmann, fondatore del movimento.
Si passa poi al tema della cerimonia di Tokyo 2020. Il tema dell’aria e del volo viene riassunto nel motto We have wings, «metafora […] di quello che anche grazie a certi strumenti, anche importanti, tutti quanti possiamo raggiungere. Anche le persone con disabilità». La performance di danza che lo introduce, infatti, rappresenta il ricorso alla tecnologia e agli strumenti tramite cui implementare e sviluppare il potenziale umano. Rai 2 commenta con «servono anche degli ausili e non c’è da vergognarsi», ricordando lo stigma che colpisce le persone disabili.
Viene inoltre legata questa esaltazione della tecnologia al contesto in cui si svolgono le Paralimpiadi con una facile generalizzazione della cultura giapponese: «È bello che siamo qui in Giappone a celebrare tutto questo perché il Giappone è un po’ il regno dove l’imperfezione diventa un attributo».
La cerimonia prosegue con la formazione del simbolo delle Paralimpiadi: tre agitos rosso, verde e azzurro, i colori più usati nelle bandiere a livello globale. È una rappresentazione grafica del movimento e del cambiamento continuo (agitos deriva infatti dal latino agito, muovere/muoversi).
Una volta composto il logo, inizia la parata. A partire dalla squadra dei rifugiati fino a quella giapponese, Paese dopo Paese le delegazioni entrano nello stadio, guidate dai propri portabandiera. Spesso Rai 2 sceglie di far seguire ai nomi degli atleti e delle atlete la rispettiva disabilità prima ancora della disciplina sportiva in cui sono impegnati. Inoltre, come è accaduto anche durante le Olimpiadi, le sportive presenti vengono indicate solo con il nome (e non con l’appellativo completo che comprende anche il cognome) e chiamate “ragazze”, scelta che sminuisce la loro professionalità.
Rai 2 dedica uno spazio consistente alla riflessione sul linguaggio e sul significato di disabilità. Subito dopo aver citato Simone Biles e il suo parziale ritiro dalle Olimpiadi, viene detto: «Quando si parla di disabilità, non c’è solo la disabilità fisica a rappresentare un problema. Ci sono anche persone che non sono disabili ma una disabilità ce l’hanno, dovuta magari ad altri fattori», confondendo la disabilità con la salute mentale.
Subito dopo, però, si dà una definizione della prima che sottolinea la centralità del contesto in cui si vive. «La disabilità dipende dall’ambiente e non dalla persona. Non è una caratteristica della persona, è l’ambiente che ci rende disabili […] perché la società non è costruita per chi ha delle difficoltà». In questo senso è la società a rendere una persona disabile o ad accentuarne la disabilità.
Quali termini allora usare? I commentatori Rai si esprimono anche su questo, invitando il pubblico a prestare attenzione alle abitudini linguistiche spesso inconsapevoli. «Quando si parla, quando si scrive, bisogna concentrarsi sulla persona e non sulla sua condizione […]. Ecco allora aboliamo tutti quei termini come disabile, handicappato, diversamente abile, portatore di handicap […]. Puntiamo sulla persona: persona con disabilità, se serve usare la condizione. E togliamo anche quel normodotato, perché chi è normale? E soprattutto una persona normale spesso è una persona un po’ noiosa. Noi non vogliamo persone noiose. E quindi persona con disabilità e persona senza disabilità»
Le espressioni scelte da Rai 2 non sono, però, universalmente accettate da chi si occupa di disabilità. Spiega Sofia Brizio: «Mettere sullo stesso piano il termine disabile e termini come handicappato o portatore di handicap è problematico per una questione identitaria. Il termine “disabile” infatti è un calco dell’inglese “disabled” (letteralmente “disabilitato”) ed è rivendicato da molti attivisti e membri della comunità disabile che non solo sono orgogliosi della propria identità, ma puntano anche a sottolineare come la disabilità sia una condizione sociale, prima ancora che fisica o intellettiva/relazionale, causata dall’abilismo (ossia la discriminazione nei confronti delle persone disabili.
Il termine handicappato o portatore di handicap, che purtroppo viene talvolta ancora usato in Italia anche in contesti istituzionali, è invece considerato offensivo. È in qualche modo apprezzabile il tentativo da parte dei commentatori di far capire l’accezione negativa del termine “normodotato” (a cui è da preferire il termine “non disabile”), ma il commento sulle persone normali noiose risulta comunque fastidioso perché mantiene il divario “noi (non disabili) – loro (disabili)”».
I commentatori invitano comunque ad approfondire la storia delle atlete e degli atleti apparsi durante la cerimonia e che gareggeranno all’interno dei Giochi. Come Wui Yago, ballerina tredicenne e protagonista della performance che occupa la parte finale della trasmissione. Si tratta di uno spettacolo che unisce diversi generi musicali e di danza per esaltare la molteplicità di corpi e di disabilità presenti nelle Paralimpiadi. Yago è al centro della performance, rappresentando un piccolo aeroplano che teme di non riuscire a volare perché ha un’unica ala.
In conclusione, il commento telegiornalistico che ha accompagnato la cerimonia di apertura delle Paralimpiadi mostra come l’attenzione dei media verso la disabilità e un appropriato uso del linguaggio sia aumentato. Un maggiore coinvolgimento delle persone direttamente interessate può aumentare ancora di più la consapevolezza dell’emittente televisiva e del pubblico in questo campo. «La rappresentazione mediatica ha in molti casi un effetto sulla vita quotidiana delle persone disabili – afferma Sofia Brizio – su come la disabilità viene percepita dal pubblico e quindi anche sui progressi che vengono fatti in materia di accessibilità, perciò è importante continuare a diffondere informazioni usando il linguaggio e i punti di vista più inclusivi possibile».