A cura di Sara Bonafede
Dalla tradizione contadina alle viscere della catena produttiva della carne: un viaggio nel mondo nascosto delle frattaglie.
Cuore, fegato, intestino, reni.
Agli organi più nobili del corpo rivolgiamo il nostro pensiero solo quando avvertiamo la loro presenza. Il cuore sede della nostra anima, il cervello dove vaga il nostro pensiero, lo stomaco che si riempie di farfalle o gorgoglia quando si ha fame.
Questi organi “nobili” nell’uomo, sono conosciuti con il termine di frattaglie quando provengono dagli animali.
Le frattaglie sono state per secoli una parte fondamentale del bagaglio gastronomico popolare e contadino, meno costose e scartate dalle classi più alte.
A oggi difficilmente rientrano nelle nostre abitudini alimentari, se non in qualche gita in osteria alla ricerca di sapori particolari.
Eppure le frattaglie sono ricche di alimenti nutritivi più rari da trovare nella carne che siamo abituati a consumare, proprio per le loro differenti caratteristiche.
Il fegato è ricchissimo di ferro e calcio, ad alto contenuto di proteine e povero di grassi,così come il cuore, alimento magro e dal contenuto altissimo di fosforo e potassio. Il cervello, da consumare saltuariamente per l’alto contenuto di grassi, è però fonte importante di vitamine C e B12.
Le frattaglie sono conosciute come quinto quarto. La macellazione dell’animale prevede infatti la divisione della carcassa in quattro quarti, dai quali si ottengono diversi sotto-tagli.
Sotto la definizione di quinto quarto rientra dunque tutto ciò che non è “carne” vera e propria, le interiora, la coda, la testa, le zampe, milza, polmoni e rognone, persino i testicoli.
Nelle ultime settimane, mi è capitato diverse volte di mangiare, a cena da amici o al ristorante, cuore, fegato, trippa e addirittura testicoli di toro. Una coincidenza insolita che mi ha portato a riflettere sul perché queste pietanze non raggiungano più le nostre tavole.
Da piatto contadino per eccellenza (del maiale non si butta via niente), le frattaglie hanno smesso di essere consumate con il Dopo Guerra e l’avanzare del boom economico. L’aumento della ricchezza ha portato sulle nostre tavole le cosiddette carni pregiate, a scapito delle altre.
Del resto, la catena produttiva del settore alimentare si è allungata sempre di più. Da un rapporto diretto con la terra e gli animali, fatto di coltivazione, allevamento e autoconsumo, siamo arrivati a una carne pronta, bella e imbustata al supermercato.
Figure locali come il macellaio hanno perso il loro ruolo di intermediario vicino sia alla produzione che alla vendita.
Sangue, organi, sporco, tutto ciò ci ricollega ad uno stato primitivo al quale non ci piace associarci, oltre che ad un’idea di cibo troppo umile. Ci siamo e ci hanno disabituati a tutto ciò che ci ricorda la provenienza animale della carne.
All’aspetto antropologico si uniscono fattori economici ed ambientali. Un bovino adulto pesa in media 500 kg e le sue interiora ne costituiscono circa il 10%. Questo significa 50 kg di carne ad animale, da moltiplicare per le circa un miliardo e mezzo di mucche che vivono sul nostro pianeta. Si tratta di 75 milioni di kg di carne commestibile.
Possibile che non se ne veda in giro, se non in qualche ristorante particolare o in un angolo dei supermercati?
Le informazioni su dove finiscono le frattaglie sono scarse.
In parte vengono sotterrate nei campi agricoli per concimare le piante. Spesso, però, questi scarti vengono tritati, cotti e infine usati come ingredienti per alimentare… altri animali. Non si tratta solamente del pet food, nel quale ci sono scarti di produzione, ma del mangime destinato agli allevamenti intensivi.
Il fatto che degli erbivori – tra gli animali d’allevamento infatti solo il maiale è onnivoro – vengano cibati della loro stessa carne, non è soltanto un’idea raccapricciante, ma costituisce anche un pericolo.
Gli impatti sulla salute dell’animale possono essere devastanti, portando a malformazioni, mutazioni ed epidemie.
Inoltre, può provocare la trasmissione di batteri sempre più resistenti agli antibiotici utilizzati negli allevamenti stessi.
È oggi noto l’altissimo impatto ambientale degli allevamenti intensivi per via della quantità di acqua utilizzata e delle emissioni provocate dagli animali stessi.
Per ogni kg di carne di maiale e pollame si produce una quota variabile che va dai 3,2 ai 4,6 kg di anidride carbonica (CO2), per ogni kg di filetto di manzo fino a 60 kg di CO2. Non solo, ma per produrre un kg di carne di pollo sono necessari circa 4.300 litri di acqua, circa 6.000 per un kg di carne di maiale e 15.500 litri per un kg di carne bovina.
A fronte di una produzione tanto dispendiosa in termini di sostenibilità, è impensabile che il 10% di carne edibile venga sprecata.
Le ragioni addotte a giustificazioni sono la rapida deperibilità delle interiora e la concentrazione di sostanze chimiche quali antibiotici negli organi interni.
Le frattaglie vanno infatti consumate fresche, possibile solo rivolgendosi direttamente all’allevatore o al macellaio.
Negli allevamenti intensivi non può essere garantita la freschezza del prodotto per via delle numerose fasi intermedie prima della vendita. Del resto, non risulterebbero economicamente convenienti il trasporto e la refrigerazione.
Le frattaglie risentono inoltre della presenza di antibiotici o ormoni somministrati all’animale. I controlli e le regolamentazioni in merito sono molto severi e ne rendono quasi impossibile la vendita.
Attualmente il mercato del quinto quarto è quindi molto scarso, tanto che i prezzi sono molto più bassi rispetto alla carne pregiata.
In macelleria il fegato costa in media 6 €/kg, così la trippa, 4 €/kg il piede di porco, 5 €/kg i rognoni e così via, mentre i prezzi della carne standard al supermercato vanno dagli 8 €/kg per il petto di pollo fino a 30 €/kg per il filetto di vitello.
Per poter consumare le frattaglie conviene quindi rivolgersi a un macellaio, non affidandosi alla grande distribuzione.
Questo garantisce una maggior qualità del prodotto che va di pari passo con la reintroduzione delle frattaglie nei ristoranti.
Anche grandi chef stellati, in primis Massimo Bottura ed i fratelli Damini, stanno incentivando il movimento di valorizzazione delle frattaglie.
Ecco perché, oggi, mangiare frattaglie è un atto inconsueto e quasi rivoluzionario, che ci ricorda le nostre origini e ci riconnette con il mondo contadino e naturale dal quale, volenti o nolenti, continuiamo a dipendere, nonostante la nostra presa di distanza.
Farle tornare nelle nostre abitudini alimentari assume quindi lo scopo di riappropriazione di una risorsa, il tentativo di avvicinare nuovamente la tavola all’allevamento e di contribuire, almeno in parte, ad evitare lo spreco alimentare.