La serie TV Pose si è conclusa da poco e ha segnato in modo indelebile la narrazione e la rappresentazione della comunità LGBTQ+ e, in particolare, delle persone trans e queer. Con un cast d’eccezione e uno studio approfondito, ha messo in scena uno spaccato della ballroom culture newyorkese degli anni ’80-’90, ma che perdura ancora oggi.
Delle tre stagioni che la compongono, le prime due sono disponibili in Italia su Netflix, mentre l’ultima è stata trasmessa negli USA dall’emittente FX (Fox eXtended). Per analizzare la serie e il suo impatto a livello socioculturale si farà riferimento unicamente ai fatti essenziali e alle caratteristiche generali dello show, senza anticipazioni o spoiler massicci.
Pose, ideata da Ryan Murphy, Brad Falchuk e Steven Canals, è ambientata a New York tra gli ultimi anni ’80 e i primi anni ’90 e in particolare si sviluppa all’interno della ball (o ballroom) culture. Che cos’è? Una corrente diffusa nella comunità LGBTQ+ statunitense in cui le persone (soprattutto nere, latine, omosessuali, trans, di genere non conforme) si sfidano in competizioni, dette ball, dove sfilano e ballano per ottenere riconoscimenti all’interno della comunità stessa. Una delle protagoniste, Blanca (interpretata da MJ Rodriguez), definisce i ball «i luoghi in cui tutti noi possiamo essere tutto ciò che non ci è permesso fuori, nel mondo. Non stavamo mentendo mentre sfilavamo in quelle categorie, ci stavamo preparando, fingendo finché non ce l’avremmo fatta. E più di ogni altra cosa abbiamo fatto una dichiarazione: noi meritiamo di sognare e di realizzare i nostri sogni. […] Nel mondo esterno ci dicono di nasconderci, ma nei ball ci dicono di avanzare con coraggio».
La partecipazione a queste competizioni si è strutturata e organizzata in modo preciso con l’avanzare del tempo. Ogni individuo fa parte di una Casa (il termine inglese è proprio House), che sostituisce quella biologica da cui molti sono stati allontanati proprio per la loro identità di genere o l’orientamento sessuale. Queste Houses si sfidano tra loro, competono e gareggiano, ma diventano anche una rete di supporto per gli emarginati dalla società, persone che spesso vivono per strada e sono prive di assistenza perché non conformi, ritenuti contro natura, in molti casi sex worker e spesso colpiti dall’HIV e dall’AIDS. A capo di ciascuna Casa ci sono una Madre o un Padre, cioè una persona che ha già esperienza dei ball, spesso anche della vita per strada e che dà ospitalità e si prende cura delle persone più giovani rifiutate dalle loro stesse famiglie (chiamate children o kids). Sono sostanzialmente delle strutture di mutuo aiuto e di solidarietà interna alla comunità LGBTQ+ e riguardano in particolare le sue componenti nere e latine, che sono le più colpite dalla marginalizzazione sociale.
Come spiega in un TEDx Ronald G. Murray, assistente sociale e Father della House of Xclusive Lanvin, i membri della Houses «hanno trovato la condivisione l’uno con l’altro, e hanno iniziato a creare delle famiglie proprie […] Oggi ci sono componenti delle Case e delle ballroom che sono medici, avvocati, assistenti sociali. Siamo scrittori, coreografi, e tutte queste cose che non avremmo potuto essere se non fosse stato per la ballroom community». L’impatto delle Houses, infatti, non era solo temporaneo. Queste organizzazioni di mutuo soccorso nate dal basso sono state in grado di creare attorno ai giovani membri della comunità LGBTQ+ degli spazi sicuri in cui «not just survive but thrive» dice Blanca nella serie, cioè non solo sopravvivere (fatto già importante considerando l’alto tasso di violenza verso le persone trans o gay) ma crescere floridi, prosperare. Le Houses sono state dei luoghi in cui affermarsi, trovare la propria strada, costruire delle relazioni solide e poter ambire a una professione di prestigio.
Hanno fatto anche di più: le Case della ballroom culture hanno contribuito a ripensare i concetti di famiglia e genitorialità. Soprattutto di maternità, perché molte delle persone che partecipavano e partecipano alle competizioni sono donne trans, che non potevano costruirsi una famiglia nel senso canonico del temine nel mondo esterno. Grazie alle Houses, però, loro come tutti gli altri membri della comunità LGBTQ+ hanno dato origine a un proprio spazio in cui sentirsi davvero a casa e al sicuro. Tutto ciò ha sviluppato delle forti riflessioni sul significato della famiglia, che si allontana dai soli legami biologici per basarsi invece sulla scelta e sulla condivisione.
Tornando alle competizioni, i ball sono organizzati in diverse categorie. A chi ha seguito la serie Pose viene subito in mente la frase di apertura della sigla, declamata dal personaggio di Pray Tell (Billy Porter): «The category is… live, werk, pose!», dove werk deriva dall’unione di work e twerk e significa fare qualcosa al meglio delle proprie capacità. Le categorie indicano dei movimenti codificati usati nelle competizioni che raccontano la propria storia e appartenenza. La performance infatti permette anche di esplorare se stessi e la propria identità, di sfidare i limiti del genere che vengono imposti nel mondo esterno. Questo viene ben rappresentato nell’episodio 10 della seconda stagione, in cui il conduttore delle competizioni Pray Tell viene spronato a gareggiare nella categoria “Butch Queen First Time at a Ball”, cioè indossando gli abiti femminili. L’esibizione è naturalmente preceduta da un momento di forte difficoltà per il protagonista, che si ritrova ad affrontare il suo lato femminile e a scardinare i principi machisti e tossici insegnatigli nella famiglia d’origine.
La serie trae spunto da Paris is burning, un documentario del 1990 che racconta proprio la ball culture newyorkese. La regista Jennie Livingston, bianca e statunitense, si era da poco diplomata a Yale quando decise, a metà degli anni ’80, di documentare i ball newyorkesi. Iniziati i lavori, capì subito di trovarsi davanti a temi che nessuno prima di lei aveva analizzato e portato all’attenzione delle masse senza stereotiparli. Decise quindi di raccontarli da dentro le sale da ballo, intervistando le Madri e i Padri delle Houses, riprendendo le performance e domandando ai giovani membri della comunità perché partecipassero.
Pose non solo si ispira a Paris is burning perché racconta lo stesso contesto storico culturale, ma anche perché lo fa chiamando sulla scena chi fa realmente parte della comunità LGBTQ+. Questo è indubbiamente un punto di forza per la serie, che narra concetti complessi come l’emarginazione, la discriminazione, il passing e l’autodeterminazione direttamente attraverso la voce di chi li vive ogni giorno e che ha la possibilità di essere al centro dello show. Il cast è composto quindi per la maggior parte da persone gay, trans e queer, che allo stesso tempo sono anche nere e latine, perché la centralità di questi gruppi etnici nella ballroom culture non viene negata e non è soggetta in Pose allo sbiancamento che spesso investe la storia della comunità LGBTQ+. Attrici e attori dello show sono quindi MJ Rodriguez (protagonista anche del musical Rent nel 2011), Billy Porter, Dominique Jackson, Indya Moore, Dyllón Burnside, Angelica Ross e tanti altri. Un momento quasi unico nella storia della serialità televisiva, in cui le comunità marginalizzate diventano protagoniste e possono raccontare la propria storia.
Per concludere bisogna considerare un ultimo aspetto. I ball, oltre a essere dei luoghi sicuri in cui per una notte i giovani marginalizzati potevano sentirsi accettati, costituiscono anche un sapere e una serie di pratiche che vengono trasmesse dalle Madri o dai Padri ai membri delle Houses. Legacy infatti è un termine chiave della serie Pose e in particolare dell’ultima stagione. Significa eredità, lascito, retaggio, perché la ball culture ha lasciato un segno indelebile nella comunità LGBTQ+ e lo stesso ha fatto lo show nel panorama della serialità televisiva. Come ancora oggi esistono delle Case storiche che mantengono in vita le tradizioni e i legami neofamiliari nati negli anni ’80 (Xtravaganza, LaBeija, Lanvin, etc.), rimarranno impressi negli show dei prossimi anni le interpretazioni di MJ Rodriguez (Blanca), Billy Porter (Pray Tell), Dominique Jackson (Elektra), Indya Moore (Angel) e Dyllón Burnside (Ricky) capaci di raccontare una storia difficile da portare all’attenzione collettiva: quella delle persone nere, latine, gay, trans e queer.