Rassegnati è la rubrica settimanale che seleziona un fatto degli ultimi giorni per provare a mostrare com’è stato riportato dalla stampa italiana. Tra strategie comunicative ed errori, viene svelato il filtro che copre ogni notizia. Oggi parliamo della questione israelo-palestinese, degli atti di violenza a Gerusalemme e a Gaza e della comunicazione di questi avvenimenti.
La maggior parte delle testate italiane ha dato molto spazio ai bombardamenti e agli scontri che sono partiti a Gerusalemme e si sono poi espansi coinvolgendo anche la Striscia di Gaza. Come sono nati? La questione israelo-palestinese dura almeno dal 1948 (anno di fondazione dello stato di Israele e della prima guerra arabo-israliana), ma questi episodi di violenza hanno avuto un forte impulso nelle ultime settimane, dall’inizio del mese di Ramadan, e in particolare lunedì 10 maggio nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est. Questa parte della città è occupata militarmente dalle forze israeliane, che intendono allontanare con la forza i palestinesi residenti dalle loro abitazioni e presenti nel quartiere da prima della Guerra dei sei giorni (1967), che ha portato la città sotto il controllo di Israele.
I tentativi di sfratto fanno parte di un progetto più ampio di Israele, che intende aumentare la sua presenza sul territorio e, sfruttando una legge del 1970 che permette agli ebrei di tornare nelle case in cui vivevano prima del 1948, eliminare la presenza palestinese nella capitale e rimuovere anche la possibilità della futura fondazione di uno Stato palestinese guidato da Gerusalemme.
Lunedì 10 maggio la Corte suprema israeliana ha rinviato la decisione sulle abitazioni di Sheikh Jarrah, su cui però – secondo il diritto internazionale – non avrebbe autorità, perché di amministrazione palestinese. Le proteste dei palestinesi che si oppongono allo sfratto hanno incontrato la forte repressione israeliana e la tensione è salita fino agli episodi di violenza degli ultimi giorni. Ci sono stati degli attacchi da parte dell’esercito di Israele nella Spianata delle Moschee e dentro la moschea di Al Aqsa. Sono stati utilizzati gas lacrimogeni e granate, che hanno colpito i fedeli durante la preghiera. Da Gaza si sono poi levati alcuni razzi verso Gerusalemme e Israele ha risposto bombardando la Striscia anche via terra. Gli episodi di violenza si sono estesi ad altre città, come Tel Aviv e Lod.
Le immagini di questi avvenimenti si sono diffuse rapidamente online, gruppi di italo-palestinesi hanno tradotto il materiale proveniente direttamente da Gerusalemme e, naturalmente, i giornali italiani hanno seguito la vicenda. Come l’hanno raccontata?
Partiamo da Rai News. Nonostante il titolo ponga al centro il ruolo israeliano – «Scontri a Gerusalemme Est e Spianata delle Moschee. Israele invia l’aviazione nella Striscia» – la descrizione degli episodi di violenza si concentra soprattutto sugli scontri nelle città di confine tra Gaza e Israele e sugli incendi appiccati nei campi israeliani dai manifestanti palestinesi. Quando ci si riferisce a quest’ultimi, si chiamano in causa Hamas e Jihad e la risposta di Israele viene presentata come una serie di attacchi contro obiettivi terroristici. Dipingere in questo modo le azioni e i manifestanti palestinesi non collabora, però, a riportare la notizia in modo neutro ed è una scelta comunicativa adottata da numerose testate.
Sulla questione degli sfratti a Sheik Jarrah si dice, invece, che «La parte ebraica ha dimostrato che terreni e case vennero perduti durante l’aggressione giordana a Israele del 1948. Le famiglie palestinesi sostengono d’aver ricevuto le case negli anni ’50 dalle autorità giordane che all’epoca controllavano Gerusalemme est». La notizia, così formulata, dà maggiore credibilità alla componente israeliana e riduce la fondatezza delle posizioni palestinesi, le cui testimonianze all’interno dell’articolo sono praticamente assenti (a differenza delle numerose dichiarazioni delle autorità israeliane).
Il Post, invece, riporta fin dal primo paragrafo gli attacchi aerei di entrambe le parti. Si racconta, inoltre, che i lanci di razzi «sono stati organizzati dai gruppi armati palestinesi dopo la distruzione di un palazzo nella Striscia», contestualizzando l’operazione militare. Viene spiegato che gran parte dei missili inviati da Gaza viene intercettata dallo scudo antimissile israeliano, l’Iron Dome. Israele infatti possiede aerei bombardieri e contraerea di ultima generazione, mentre la Palestina cerca di saturare le sue difese per far giungere alcuni razzi a destinazione. Si fa riferimento infine agli sfratti nel quartiere di Sheikh Jarrah e agli scontri nella Spianata delle Moschee, indicandoli come causa del rancio dei razzi da parte dei palestinesi. Il Post ha quindi scelto di contestualizzare con maggiore profondità gli episodi riportati.
Il Fatto Quotidiano cita le parole di Hidai Zilberman, portavoce dell’esercito israeliano (il cui nome non viene indicato): «Otto terroristi sono stati colpiti nella Striscia di Gaza». Questa dichiarazione non viene approfondita e rimanda alla narrazione generale dei palestinesi come militanti armati per organizzazioni terroristiche. Nonostante ciò, poco dopo si mostra una delle forti criticità degli episodi di violenza in corso: i manifestanti palestinesi lanciano pietre, mentre gli agenti israeliani rispondono con granate e proiettili di gomma. Non è uno scontro equo: Israele ha mezzi più sofisticati ed efficaci per affrontare il conflitto, mentre i palestinesi hanno meno risorse e possibilità di difesa. Non a caso sono proprio loro a pagare il prezzo più alto.
Si riportano poi le parole di Hussein al-Sheikh, esponente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), che riferisce un’aggressione criminale da parte di Israele, e si dice che Hamas incita alla rivolta i palestinesi. La testata ricorda che tra le vittime e i feriti sono presenti numerosi bambini e si conclude con Israele che annuncia la chiusura del valico Kerem Shalom, da cui entrano nella Striscia di Gaza gli aiuti umanitari e i beni commerciali.
Infine La Stampa, già dall’incipit, dipinge i palestinesi come gli innestatori del conflitto e gli israeliani come coloro che sono portati alla reazione: «I video della polizia mostrano una Spianata delle Moschee ridotta a un campo di guerriglia urbana. Fin dalle prime ore della mattina sono iniziati lanci di pietre, bottiglie molotov, bastoni e fuochi d’artificio sulla polizia da parte dei riottosi palestinesi. A cui gli agenti hanno risposto con granate assordanti e proiettili di gomma».
Per spiegare l’origine degli episodi di violenza si fa riferimento alle vicende di Gerusalemme Est, che vengono però dipinte in questo modo: «Non è bastato il rinvio degli sgomberi delle famiglie palestinesi dalle case di Sheikh Jarrah, né il divieto per gli ebrei di accedere oggi, per il Jerusalem Day, al Monte del Tempio, il nome ebraico per la Spianata delle Moschee. Gli animi erano ormai troppo infuocati, dopo giorni e notti di agitazioni, in un crescendo di violenza e allarmi». Anche in questo caso la comunicazione degli eventi non è neutra, ma favorevole alla parte israeliana.
Viene riportata inoltre una scena circolata a lungo online, in cui un’auto (guidata da una persona israeliana) investe dei palestinesi a piedi. Secondo la testata «un’altra vettura è stata attaccata dalla folla e gli occupanti si sono salvati solo per l’intervento della polizia. Il guidatore aveva intanto perso il controllo dell’auto e ferito diversi palestinesi». È una narrazione fortemente criticata in quanto si discosta da alcune testimonianze fotografiche, che mostrano l’auto retrocedere per poi assalire i palestinesi presenti con più forza.
Infine, la ferocia delle azioni israeliane viene trasmessa unicamente tramite la voce della Turchia e della Giordania, mentre a loro difesa si riportano le affermazioni del premier israeliano Benjamin Netenyahu: «Questa non è una battaglia nuova, è condotta da centinaia di anni. Ogni volta, una parte governava e impediva l’adorazione di un’altra religione. Solo la sovranità israeliana ha consentito la libertà di culto per tutti». La voce palestinese è ancora una volta assente.
In conclusione una narrazione di questo tipo è problematica perché semplicistica. Si ritraggono le persone palestinesi come gruppi armati che lanciano una pioggia di razzi e vogliono uccidere gli ebrei (trasportando la questione dal piano politico a quello religioso). In realtà la resistenza palestinese è più complessa e articolata e non è tutta riconducibile a Hamas e Jihad. Dipingerla come più violenta delle operazioni militari israeliane e di stampo terroristico significa proporre un’unica storia e creare stereotipi. E, come sostiene l’autrice Chimamanda Ngozi Adichie in un celebre TED Talks, «il problema degli stereotipi non è che non siano veritieri, ma che sono incompleti. Fanno diventare una storia la sola storia». Trasformano una visione limitata della questione palestinese nella sola narrazione possibile, eliminandone la complessità, non rendendo giustizia alla resistenza in corso e incidendo sulle scelte politiche internazionali.