Milan Ingegneria vince il bando per la realizzazione del piano di calpestio dell’arena. Tra critiche e giudizi positivi, entro il 2023 sarà possibile rivivere il simbolo d’Italia da un nuovo punto di vista
Già nel 2014 si era iniziato a parlare del progetto di un nuovo piano di calpestio per il Colosseo che rendesse fruibile l’anfiteatro Flavio dall’arena. Il bando è stato lanciato a dicembre 2020 ed è stato annunciato dal ministro della cultura Dario Franceschini. 28,5 milioni di euro stanziati per un progetto high tech del tutto innovativo!
La proposta non è stata accolta all’unanimità e c’è ancora chi vede nell’idea l’ennesimo finanziamento volto a incrementare un turismo “selvaggio”. Tuttavia permane la speranza che un piano di calpestio al centro dell’arena possa riavvicinare soprattutto gli italiani. Il progetto dovrebbe garantire la possibilità di fruire di uno spazio nuovo, immaginato come una grande piazza al centro di uno dei monumenti simbolo del paese.
Il bando si è chiuso a febbraio 2021 e ad aggiudicarsi il lavoro è stata la società Milan Ingegneria, fondata da Maurizio Milan. Il progetto sarà affrontato con un approccio ecosostenibile, un’attenzione al riutilizzo dell’acqua piovana e garantirà l’incolumità dei resti “originali” dell’anfiteatro, senza soluzioni invasive. Il tutto dovrà essere realizzato entro il 2023. Sarà ancora possibile visitare i sotterranei del Colosseo, ma per la prima volta si potrà usufruire di uno spazio nuovo, al centro della grande arena.
Un po’ di storia…
L’ambizioso progetto del Colosseo risale alla dinastia Flavia. Venne dedicato da Vespasiano nel 79 d.C., ma inaugurato dal figlio Tito nell’80 d.C. con dei giochi che durarono 100 giorni! La gigantesca struttura doveva cancellare il ricordo della Roma neroniana, pertanto andò a collocarsi al di sopra di quello che, sotto Nerone, era stato un lago artificiale (stagnum), parte integrante della Domus Aurea.
Una costruzione grandiosa per affermare la grandezza della dinastia Flavia che, sorta dopo un periodo di lotte per il potere in una Roma senza eredi, è la prima a rompere la lunga discendenza giulio-claudia. La struttura era alta 48,50 m e mostrava una serie di 80 archi inquadrati da semicolonne realizzate nei tre ordini.
Un anfiteatro nel centro della città era anche un regalo per il popolo, luogo di ritrovo e di condivisione della romanità. I cittadini si riunivano in onore dei giochi, rafforzando così il senso di appartenenza alla città di Roma, ma soprattutto alla medesima cultura. Tant’è che le tribune erano suddivise in base alla carica sociale dei cittadini. Al di sopra del podium, su cui vi erano i sedili di rango, la cavea era infatti suddivisa in maenianum primum, maenianum secundum e maenianum summus in ligneis, cioè le gradinate lignee riservate alle donne, mentre al di sopra si trovava la terrazza destinata alle classi più povere.
L’imperatore e le vestali, insieme ad alcuni dignitari, invece assistevano agli spettacoli da due palchi siti alle estremità minori dell’anfiteatro. In tutto il Colosso poteva contenere fino a 50.000 persone!
Uomini sotto l’armatura. I gladiatori al MANN
Ma cosa accadeva veramente all’interno di un anfiteatro? È possibile scoprirlo nella mostra in corso al Museo Archeologico Nazionale di Napoli che propone una visione autentica dei gladiatori. I primi ludi, infatti, nacquero proprio in Campania, dove sono documentati ben 25 anfiteatri. Uno degli esempi più noti è l’Anfiteatro di Pompei che vediamo vivo e popolato in un affresco del 59 d.C. da una domus pompeiana.
Dunque chi erano i gladiatori? Il nome deriva da gladium, cioè la spada corta da combattimento. Si trattava infatti di lottatori professionisti. Uomini, e talvolta donne, presi tra gli schiavi o prigionieri di guerra, allenati per diventare abili in diverse tecniche di combattimento. Qualunque uomo libero avesse voluto dedicarsi alla vita gladiatoria avrebbe dovuto rinunciare alla propria libertà.
La formazione dei gladiatori avveniva in apposite scuole (i ludi) sotto il comando di un lanista. Ogni gladiatore affinava tecniche di lotta specifica. Da qua i numerosi appellativi: dimachaerus (lottava con due spade), hoplomachus (combatteva con lo scudo), retiarius (guerriero agile, si serviva di una rete per confondere e bloccare l’avversario prima di colpirlo). I gladiatori potevano raggiungere anche una discreta fama, diventando dei veri e propri idoli delle folle, ma il prezzo da pagare era molto alto…
Giochi gladiatori e venationes
Spesso sono i mosaici a parlarci di ciò che avveniva all’interno degli anfiteatri. Bellissimi esempi dall’Italia e dall’Africa ci raccontano di combattimenti all’ultimo sangue.
Non solo lotta tra uomini, tra gli spettacoli più in voga vi erano le venationes: combattimenti tra gladiatori e animali che dovevano evocare il momento della caccia, topos che ricorre in tutta l’arte romana imperiale. I mosaici del Museo del Bardo a Tunisi mostrano innumerevoli esempi: un uomo lotta con un leone, la scena è colta a volo d’uccello mostrando parte della struttura dell’arena e un personaggio sullo sfondo che agita un fazzoletto bianco come a voler interrompere la carneficina; mentre in un mosaico dal villaggio tunisino di Smirat si vede un personaggio che lotta sopra dei trampoli, dando sfoggio di grande abilità.
Ad oggi risulta un po’ difficile comprendere il piacere dietro i giochi gladiatori. Eppure per secoli, fino alla loro abolizione intorno al V sec d.C., questi spettacoli rappresentarono momento di svago per la popolazione, simbolo di potere e ricchezza imperiali. Nel celebre mosaico dalla domus romana di Piazza Armerina (Sicilia) magnifiche creature esotiche destinate alle venationes vengono imbarcate dall’Africa e dall’India conferendo prestigio al loro acquirente.
Pollice in su o pollice in giù?
Oggi può sorprendere che uno spettacolo così cruento potesse riscuotere gli entusiasmi della folla, eppure ancora oggi l’immaginario del gladiatore esercita un forte fascino. Film e serie tv mirano a creare un alone di miticità intorno a queste figure del passato. Protagoniste sono lotte all’ultimo sangue. Solo la benevolenza dell’imperatore poteva decidere le sorti di un gladiatore ferito o sconfitto. Quale uso poi facesse del famoso “pollice verso” non è ancora chiaro, certo è che con un gesto poteva risparmiare o spegnere la vita di un combattente. Essere un gladiatore comportava sfide quotidiane, tant’è che è proprio a Nemesi, dea delle sorti umane, che molti gladiatori offrivano le proprie preghiere.
Forse il nuovo piano di calpestio del Colosseo contribuirà a renderci più consapevoli di alcuni frammenti di storia. Ci permetterà di guardare l’arena con occhi nuovi: gli occhi dei gladiatori. Permetterà di respirare paura e adrenalina mischiate insieme alla speranza di un nuovo giorno. Sarà un’opportunità di rivivere la storia da un punto di vista diverso, minoritario, eppure così centrale. Dal centro dell’anfiteatro Flavio si vivrà uno dei miti più noti dell’antica Roma.