Rassegnati è la rubrica settimanale che seleziona un fatto degli ultimi giorni per provare a mostrare com’è stato riportato dalla stampa italiana. Tra strategie comunicative ed errori, viene svelato il filtro che copre ogni notizia. Oggi parliamo della storia di Biancaneve, della giostra di Disneyland e del politicamente corretto.
Julie Tremaine e Katie Dowd, due giornaliste del SFGate – la testata locale online dell’area di San Francisco, in California – hanno recentemente recensito la giostra di Disneyland “Snow White’s Enchanted Wish”, rinnovata per la riapertura del parco dopo il lockdown. Il percorso è stato modificato e si conclude con il famoso bacio tra Biancaneve e il Principe, a differenza di quello precedente che terminava con la morte della matrigna. Le giornaliste, dopo aver lodato vari aspetti della giostra, hanno ricordato che nemmeno questo è un lieto fine in quanto «non può essere un bacio di vero amore se solo una persona sa che sta succedendo». Un problema di mancato consenso, quindi, che ha fatto molto discutere la stampa italiana.
Innanzitutto, leggendo ad esempio Il Messaggero, si nota che i termini più utilizzati per definire il tema sono bufera e polemica. Il primo paragrafo, inoltre, si concentra unicamente sul cartone animato Disney e sulla reazione al fatto, senza raccontare gli eventi che hanno scatenato tanto interesse, ricapitolati brevemente solo in seguito. Nonostante vengano inizialmente riportate sia le posizioni più critiche sia quelle più a sostegno delle giornaliste di SFGate, subito dopo si legge: «E così il politically correct fa breccia anche nelle opere del passato, rompendo l’incantesimo dei classici e facendo al contempo riflettere sull’importanza dei messaggi veicolati attraverso le storie».
Si tratta davvero di politicamente corretto? Se con questa espressione intendiamo il conformismo a un pensiero unico, no. Tremaine e Dowd hanno sollecitato la riflessione sui messaggi e sugli stereotipi presenti nella letteratura per l’infanzia, non ne hanno chiesto la rimozione. Perché allora usare questa espressione? Scegliere tali parole significa attirare l’attenzione di un determinato pubblico e soprattutto scatenare la sua reazione indignata.
È proprio sulle reazioni negative di chi legge la notizia che si concentra l’articolo. Si sostiene che il giudizio delle giornaliste – mai citate per nome – dipende dall’«aver ceduto a una versione “talebana” del politicamente corretto», in cui l’aggettivo talebano viene usato in senso fortemente dispregiativo. Vengono infine riportate le dichiarazioni di Salvini e si richiama l’aggiunta da parte di Disney+ delle avvertenze prima di alcuni cartoni animati, come Dumbo e Peter Pan, per segnalare dei contenuti potenzialmente razzisti.
Su La Repubblica il sottotitolo rende subito esplicita la posizione di chi scrive. Si dice infatti che la giostra termina «secondo alcuni, con una molestia», con un’evidente presa di distanza dalla lettura di Tremaine e Dowd. Per la stessa ragione, quando all’interno dell’articolo si parla del bacio, l’espressione “non consensuale” viene riportata fra virgolette. Si fa inoltre riferimento alla cancel culture, senza spiegarla ma limitandosi a suscitare la conoscenza collettiva (e limitata) a riguardo.
In questo caso, tra l’altro, è più corretto parlare di call-out culture, il fenomeno per cui si richiama l’attenzione su un fenomeno problematico senza però volerlo rimuovere. La testata, dopo una panoramica dell’articolo di Tremaine e Dowd, ipotizza i possibili obblighi futuri imposti a Disneyland. Non c’è alcun approfondimento delle due posizioni, ma l’ago della bilancia non è evidentemente in equilibrio quando l’articolo si chiude con: «Sarà la fine del vecchio happy ending?».
Anche l’incipit de Il Fatto Quotidiano è significativo: «Il “bacio non consensuale” del Principe a Biancaneve sembrava una fake ma invece non lo era». Oltre all’espressione virgolettata già notata in precedenza, il tono della testata è chiaro per via del paragone tra la critica delle giornaliste e una fake news. Anche in questo caso, inoltre, vengono richiamati i disclaimer inseriti da Disney+ prima di alcuni cartoni animati. È una strategia per attirare l’attenzione del pubblico e, in particolare, di una certa porzione di persone, che già mesi fa si erano sollevate indicando come censura la scelta della piattaforma di streaming.
Infine Rai News dedica ai fatti un articolo molto breve, il cui sottotitolo mostra il tono generale adottato: «Cosa si dirà ora del Principe della Bella addormentata nel bosco?». Al posto di analizzare l’episodio e prendere una posizione spiegandone le motivazioni, la testata ha deciso di affidarsi ad affermazioni sensazionalistiche, che mirano unicamente a colpire la sfera emotiva di chi legge. Ciò è rafforzato con i riferimenti alla pandemia e alla ripresa del parco divertimenti, come a voler sottolineare che la recensione delle giornaliste ha rovinato un momento di ripartenza collettiva.
Come spesso accade, ci sono delle tendenze che accomunano i vari articoli considerati. Tutte le testate scelgono di puntare l’attenzione sulla sfera emotiva. Chi legge si sente chiamato in causa perché sollecitato da testi che mostrano la recensione di Tremaine e Dowd come una riflessione sterile o una strategia per minare il patrimonio culturale collettivo.
Su questa scia si trova anche il riferimento massiccio al politicamente corretto, usato in senso risemantizzato (cioè con un significato nuovo rispetto all’originale) da un determinato orientamento politico (la destra) in nome della libertà di pensiero e di espressione. Si fa appello a tale “dittatura” per opporsi al conformismo, quando in realtà l’articolo del SFGate mirava a far nascere una riflessione sul contenuto dei prodotti per l’infanzia e non a una censura della storia di Biancaneve o della giostra.