“Dal film alla vera storia” è la rubrica mensile di The Pitch – Olympia, che svela retroscena, curiosità, personaggi, fatti reali che caratterizzano e differenziano le trasposizioni cinematografiche delle più belle storie dello sport mondiale. Un excursus tra realtà e fantasia, in cui la prosa del reale diventa poesia della finzione e su cui i maestri del cinema appongono la ciliegina finale, grazie alle magistrali interpretazioni dei protagonisti e la firma d’autore di registi e sceneggiatori.
Sareste disposti a dare un braccio per salvarvi la vita? La risposta appare talmente ovvia da essere banale. Credo infatti che, senza timore di venire smentito, tutti risponderemmo sì. Anche se difficilmente ci troveremo realmente nelle condizioni di dover fare questa scelta estrema, al dunque, saremmo davvero capaci di farlo? Ad Aron Ralston, quasi 20 anni fa questa opzione, che in realtà una opzione non è, gli è toccata in sorte dopo aver pescato dal mazzo della vita la peggiore delle carte. La sua storia ha fatto il giro del mondo, è stata narrata in un libro autobiografico e naturalmente – non potrebbe essere altrimenti se ci troviamo a parlarne all’interno della nostra serie – ne è stato tratto un film. 127 ore è una delle più grandi dimostrazioni di come la voglia di vivere degli uomini abbia la meglio sulla morte, anche quando questa sembra l’ineluttabile e troppo severo castigo di un serie di atteggiamenti a dir poco imprudenti.
Uscito negli Stati Uniti sul finire del 2010 e distribuito in Italia dalla 20th Century Fox, a partire da febbraio 2011, il regista premio Oscar Danny Boyle che ha diretto tra gli altri The Millionaire, definì questo suo lavoro come «un film di azione in cui il protagonista è un ragazzo che non si può muovere». La pellicola, a parte qualche preambolo, è quasi completamente incentrata sui giorni 5 giorni di calvario che Aron Ralston (interpretato da James Franco), alpinista e amante del trekking, visse nella primavera del 2003, quando si diresse nello Utah per una escursione nel Blue John Canyon, finendo per scivolare all’interno di una spaccatura a causa dell’instabilità di un masso. Dopo essere precipitato per 20 metri, quello stesso masso si incastra tra le strette pareti di quell’angusto crepaccio, immobilizzandogli il braccio destro. All’apparenza non ha alcuna possibilità di salvezza, ma la sua sarà sorprendentemente una storia a lieto fine. Il film è stato molto apprezzato dalla critica, ma forse non fino in fondo: infatti, nonostante le 6 nomination agli Oscar e le 3 ai Golden Globe, rimase privo della consacrazione delle Academy.
Aron si innamora della montagna all’età di 12 anni, quando dalla famiglia apprende che presto si trasferiranno in Colorado. Dalla biblioteca della sua casa prende un libro per capire come sia fatto lo stato dove a breve andranno a vivere, e in un misto di stupore e spavento, gli si presentano solo immagini di vette innevate. Quando rivela ai suoi genitori le sue paure, loro lo portano a fare delle gite per mostrargli tutte le bellezze della loro nuova destinazione, che evidentemente non è fatta solo di monti e di neve. Dal bisogno di esorcizzare una paura infantile, nasce la passione per l’escursionismo e l’alpinismo. Aron consegue una laurea in ingegneria, ma quando è il momento di decidere il suo futuro professionale, si trasferisce ad Aspen e va a lavorare in un negozio di articoli per arrampicata sportiva. Ormai le montagne fanno parte della sua vita. Il 23 aprile 2003, decide di andare nello Utah per il weekend, così carica in macchina la sua bicicletta e parte subito dopo il lavoro in direzione Blue John Canyon, dove lo aspetta una 2 giorni di trekking in solitaria.
Nel corso di quella giornata conosce due ragazze: due escursioniste di nome Megan e Kristi. Dopo aver fatto loro da guida per qualche ora, si danno appuntamento ad una festa che si terrà l’indomani a casa di amici, quindi Aron si separa da loro e prosegue da solo. Poco dopo si consuma il dramma: salta sopra un masso all’apparenza stabile, ma che tale non è, la roccia si muove e lo fa precipitare nel fondo di un crepaccio. A parte qualche graffio ne uscirebbe incolume, se non fosse che la sorte ha ulteriori cattive intenzioni: infatti il braccio destro rimane schiacciato da quella stessa pietra che gli ha causato lo scivolone, andando ad incastrarsi irrimediabilmente tra le strette pareti di quella spaccatura nel terreno. La sua esperienza lo guiderebbe velocemente fuori da quel buco, ma Aron scopre ben presto che non ha nessuna possibilità di estrarre il braccio, né di smuovere in qualche modo la roccia che lo tiene prigioniero. Prima tenta di scalfirla con un coltellino multiuso, poi prova a sollevarla facendo leva con delle corde da arrampicata, che però sono troppo elastiche e si flettono sotto il peso del masso. Ha viveri per due giorni soltanto, poi si trova costretto a bere la propria urina per procrastinare il più possibile una inesorabile morte, nella speranza che nel frattempo qualcuno vada a cercarlo.
Aron però non ha lasciato detto a nessuno dove sarebbe andato a trascorrere il fine settimana: non ai suoi amici, né ai suoi coinquilini, né ai genitori e neppure al suo datore di lavoro. Nessuno si accorgerà della sua scomparsa fino a quando, non presentandosi al lavoro e non dando notizie di sé, il suo capo farebbe scattare la ricerche; ma anche allora, nessuno saprebbe da dove iniziare le caccia. Resta solo la remota possibilità che qualcuno lo possa trovare casualmente, durante una escursione, ma sarebbe come sperare di vincere alla lotteria. Così, apparentemente arresosi al proprio destino, scrive sulla parete col il suo nome, il suo cognome, la sua data di nascita e la data di morte presunta, poi con la piccola videocamera che ha con sé lascia un messaggio di addio per i suoi genitori. Su Youtube si possono ancora trovare i video originali di quelli che lui stesso credeva sarebbero stati gli ultimi istanti della sua vita. Invece, seppur stremato, Aron supera ancora una volta la notte ed in un misto di disperazione e coraggio, matura la decisione che gli salverà la vita: quella di amputarsi il braccio.
Il piccolo multiuso che ha usato in precedenza però è senza lama, ed è comunque troppo piccolo per sperare di segare un osso. Così fa leva col braccio nel senso inverso a quello in cui il masso lo costringe, spezzando ulna e radio. Quindi cerca la posizione esatta della frattura con le dita della mano sinistra, poi col coltello inizia da prima a incidere la carne, poi recide muscoli e tendini. Nonostante il regista non indugi ossessivamente sull’arto nella scena dell’amputazione, evitando così di trasformare un film-documento in uno splatter, nel corso delle prime proiezioni alcuni spettatori svennero nelle sale. In effetti è una sequenza cruenta, ma personalmente non l’ho ritenuta insostenibile. Questa è però una considerazione opinabile, dipende dalla sensibilità di ognuno, ovviamente. Tornando a Aron, finalmente libero, utilizza un laccio per cercare di rallentare la copiosa fuoriuscita di sangue, riuscendo a fasciare la ferita con il tessuto del suo zaino. Stremato dal digiuno, dalla disidratazione e dal dissanguamento, cammina a lungo prima di incontrare una famiglia di escursionisti che riesce a far arrivare i soccorsi, in elicottero: incredibilmente Aron è in salvo.
Qualche anno più tardi tornerà alla sua passione, la montagna. Ricomincerà a scalare, a fare escursioni, ad esplorare. Si farà preparare anche un’apposita protesi a forma di piccozza, da utilizzare per le sue uscite. In quegli stessi anni si sposerà e avrà un figlio. Insomma, tornerà a condurre una vita avventurosamente normale. Aron disse che nei momenti in cui prese la decisione di amputarsi il braccio, pensò a una notizia che aveva letto poco tempo prima su un giornale: una madre per salvare la figlia finita sotto un’auto, sollevò da sola il veicolo per tirarla fuori di lì. Ecco, in quell’istante capì come l’istinto di sopravvivenza possa spingere a compiere azioni all’apparenza impossibili. D’altronde la storia del nostro pianeta racconta che nonostante le numerose estinzioni delle diverse specie che l’hanno popolato, la vita ha avuto sempre il sopravvento. Ognuno di noi, in fondo, possiede una riserva di vita che tiene ben custodita, qualora dovesse servire. Comunque, dopo quegli eventi, Aron lascia sempre detto a qualcuno dove sta andando.