“Il signor Kabe, sulla quarantina, senza lavoro e fruente di un assegno di disoccupazione, attirò per la prima volta in vita sua l’attenzione della polizia quando prese la rincorsa da occidente e saltò il muro nel centro di Berlino in direzione est. Aveva scoperto un punto rasente al muro, dove i resti delle macerie formavano una scala naturale, sulla quale poteva salire per poi tirarsi su con le braccia e calarsi di là.”  Arrestato per violazione di confine disse semplicemente che “voleva andare dall’altra parte”, senza far trasparire né motivazioni politiche, né una seria volontà di rimanere. Gli inquirenti, piuttosto confusi, decisero di internarlo in una clinica psichiatrica. Ma anche qui i medici non riuscirono a diagnosticare altro che un “bisogno patologico di saltare il muro”. Dimesso dalla clinica e rimpatriato, il signor Kobe si dimostrò testardamente recidivo: saltò il muro in direzione di Berlino Est altre quindici volte dando quest’unica spiegazione: “Quando nell’appartamento c’è troppo silenzio e fuori è grigio, nebbia e non succede niente, allora penso: dai, salta ancora una volta!”

The Wall Jumper, Gabriel Heimler.

Nel 1982 Peter Schneider, intellettuale dell’Ovest, pubblica Il saltatore del muro, unico romanzo tedesco-occidentale sulla divisione di Berlino. Finalmente un intellettuale dell’Ovest si appropriava di questa materia che sembrava fornire ispirazione solo agli scrittori dell’Est. Dopo il 1945, la divisione politica dell’Europa in due blocchi di influenza aveva provocato una conseguente divisione del pensiero europeo, soprattutto di quello tedesco. E questo produsse non tanto diverse prospettive su questioni comuni, quanto piuttosto due percorsi culturali assolutamente diversi. Nella Germania dell’Est, dove si parlava non di muro ma di vallo di protezione antifascista, l’attenzione letteraria al confine era costante; nella Repubblica Federale era successo esattamente il contrario: la rielaborazione letteraria del passato non aveva nemmeno sfiorato il muro, lasciando che fosse la politica ad occuparsene. 

Il romanzo di Schneider è una sorta di antologia della vita berlinese, una raccolta di storie sul muro/confine che raccontano con umorismo, leggerezza e sottile intelligenza la schizofrenia politica della città siamese, mostrando i paradossi della cosiddetta Questione tedesca. La Germania è una o sono due? Qual è la Germania migliore? Qual è la Vera Germania?  Meglio l’ Est o meglio l’ Ovest? È una gara impari, dice l’amico Pommerer in una delle tante dispute con l’autore/narratore: “ci sono voluti secoli affinché la democrazia capitalista si sviluppasse. Perché ci aspettiamo che quella socialista maturi in pochi decenni?”

Il Muro costruisce l’identità sociale, l’identità politica e l’identità individuale. “Dove finisce lo Stato e dove comincia l’Io?” si domanda Schneider, osservando che la sua modalità di relazione, il suo sguardo sul mondo, la sua stessa “capacità percettiva è condizionata da questo stato diviso in due parti che basa da trent’anni la propria identità sulla contrapposizione all’altra metà”. In pochi anni i tedeschi, tanto dell’Est quanto dell’Ovest, hanno radicalizzato due sudditanze perfette e contrarie: da una parte i capitalisti meglio riusciti d’Europa, dall’altra i socialisti più convinti del mondo dell’Est.  Tuttavia il fantasma della nazione unita è sempre presente: non appena ci si sposta da Berlino si osserva che “più ci si allontana dal confine, più grande è la disinvoltura con cui i due mezzi popoli si immaginano di essere uno solo”.

Quel Muro, che “a Est ha valore di confine di stato, mentre a Ovest di attrazione turistica”, non era solo un segno di confine, la scrittura del Potere nello spazio, era una macchina narrativa, utile al racconto del mondo che ciascuna delle due parti desiderava produrre.  “Passato il primo spavento, quell’aggeggio ingombrante cominciò a sciogliersi nella coscienza dei tedeschi occidentali fino a diventare una metafora. Ciò che lì rappresentava la fine della libertà di movimento divenne qui l’emblema di un sistema sociale mostruoso. Il nostro sguardo in quella direzione si riassunse in un’esperienza terapeutica di gruppo: per i tedeschi occidentali il muro diventò lo specchio che ogni giorno diceva loro chi fosse il più bello del reame”.

Vista di Berlino est da Berlino Ovest, 1984. Ph. AFP/Getty

Quali date scegliamo di ricordare è significativo di quale storia vogliamo raccontare. Sapete quante altre cose sono accadute in Germania un 9 Novembre? Per esempio ottantun anni fa? Cinquant’uno è la citazione corretta, dal libro di Gunter Grass intitolato Il mio secolo pubblicato nel 1999, che raccoglie un breve racconto per ogni anno del Novecento. È il 9 novembre 1989 e il professor Hosle parla alla classe di un altro 9 novembre, quello del 1938. Fu la cosiddetta Notte dei Cristalli del Reich, il gigantesco pogrom che coinvolse tutta la nazione tedesca segnando l’inizio della fase più violenta delle persecuzioni antisemite. Case, sinagoghe, negozi di ebrei furono saccheggiati e distrutti lasciando le strade tappezzate di frammenti di vetro. “Storie di una tristezza unica, mentre a Berlino, anzi in tutta la Germania, naturalmente l’entusiasmo era alle stelle, perché adesso finalmente i tedeschi potevano essere riunificati.” Nessuno aveva voglia di sentire ancora parlare degli ebrei, proprio in quel giorno di festa, proprio quando c’era un motivo per essere contenti e magari anche orgogliosi di essere tedeschi. Il professore Hosle, convinto della sua scelta, spiega che “nessun ragazzo può comprendere nel modo giusto la fine dell’epoca del Muro se non sa esattamente quando e dove è cominciato l’errore, e insomma cosa ha portato la divisione della Germania”.

Premio Nobel per la Letteratura 1999, Gunter Grass è stato uno dei più grandi intellettuali del secolo passato e coscienza critica della Repubblica Federale Tedesca. Sempre attento alla tessitura dei fili della Storia, in un dialogo costante e circolare tra ciò che è stato e ciò che sarà, dopo la caduta del Muro dedica molte pagine ad analizzare la parabola tedesca del Novecento in relazione all’unificazione delle due Germanie. Vergangenheitsbewältigung è una parola tutta tedesca, letteralmente superamento del passato, più liberamente fare i conti col passato, generalmente usata in riferimento alle responsabilità legate all’adesione al Nazismo e alla tragedia della Shoah.  Dal 1989 viene utilizzata anche in riferimento al regime comunista della Germania dell’Est. Tuttavia Grass avverte: tra le due Germanie non c’è stato un processo di avvicinamento graduale e reciproco. L’Ovest ha colonizzato l’Est, la parte più debole è stata inglobata dalla parte più forte, l’identità culturale dell’Est è stata neutralizzata e sottomessa al modello occidentale. Considerare la Repubblica Democratica Tedesca un incidente della Storia getta l’esperienza della Germania dell’Est nell’oblio e pone le basi per una nuova rimozione. Per un’effettiva ricomposizione è necessario un reciproco riconoscimento.

Un’opera di Blu a Kreuzberg, Berlino, distrutta dall’artista nel 2014 per protesta contro la speculazione edilizia. artribune.com

“9 novembre 1989 – Quando cambiò la storia” titola il telegiornale di oggi. Sì certo, innegabilmente. Tuttavia la sensazione è che resta molto da fare. In Germania gli indicatori economici, sociali, culturali e politici raccontano che le differenze tra Est e Ovest permangono e che da una quindicina d’anni il processo di convergenza si è fermato. L’Europa è attraversata da rigurgiti nazionalisti, la forbice della diseguaglianza è sempre più ampia. Lo slogan Mai più muri sembra valere soltanto per quelli costruiti dagli altri, l’era dei muri è tutt’altro che conclusa.

Excelsior (Mexico), 31 March 2018. Julio Faesler

Saltare il muro, come il signor Kobe. Non perché ci sia un di là migliore dove andare, ma per sovvertire la logica binaria noi/voi. Per abitare il confine.

“Sarà più difficile per noi abbattere il muro che abbiamo in testa che per un’impresa demolitrice distruggere quello vero. I pronomi personali voi e noi non sono innocue abbreviazioni della formulazione completa di Stato. Individuano una forma di appartenenza che trionfa su qualsiasi scelta individuale. Soltanto quando gli interlocutori avranno finito di ripetere la lezione che si nasconde dietro le formule noi e voi, potrà iniziare un dialogo su quella vita che ognuno conduce all’ombra del muro.” Peter Schneider – Il Saltatore del muro