A cura di Francesco Chirico
La gestione e le caratteristiche degli spazi in cui si svolge la nostra vita hanno un ruolo fondamentale sul nostro benessere fisico e mentale. Basti pensare a quanto in genere migliori la qualità della vita in città con lo svilupparsi di un buon sistema di trasporti o di una buona rete di piste ciclabili.
Quando guardiamo alla progettazione urbanistica dobbiamo tenere a mente che quest’ultima riflette la filosofia e i valori che caratterizzano una particolare cultura e un particolare periodo storico. Un esempio particolarmente lampante proviene dalle progettazioni architettoniche dei regimi totalitaristi. Tipicamente sotto un regime di questo tipo si assiste alla costruzione di edifici di grandi dimensioni caratterizzati da spazi tali da incutere timore, soggezione e isolamento nell’individuo.
Questo tipo di architettura è pensato proprio per ridurre il contatto sociale. Se invece nel progettare uno spazio, sia esso un parco, una stazione ferroviaria o un ufficio, volessimo promuovere il contatto e l’interazione tra le persone che lo frequentano, dovremmo necessariamente pensare con attenzione a quali stratagemmi adottare per promuovere la socialità. Infatti in questi casi diviene fondamentale prendere alcuni accorgimenti. Per esempio, può essere necessario realizzare sedie, tavoli, panchine, soluzioni che possono sembrare banali, ma sono essenziali per creare dei luoghi di incontro.
Per chi vive in città godere di spazi verdi non è scontato. Tuttavia il contatto con la natura non costituisce solo una romantica idealizzazione della stessa, infatti vivere a contatto con il verde ci aiuta a combattere lo stress e la fatica mentale.
Nello sviluppo urbano che ha caratterizzato la maggior parte delle città negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una tendenziale politica della “compattazione”, vale a dire alla massima giustapposizione possibile di edifici e strade con spazi interstiziali molto limitati per l’inserimento del verde. Vivere in aree urbane prive di zone verdi porta gli abitanti a sperimentare con maggior probabilità stress cronico e complicazioni di salute fisica. Le ragioni della correlazione tra disponibilità di aree verdi e una salute psicofisica migliore risiedono in diversi fattori, il più ovvio dei quali è che le aree verdi danno un luogo ai cittadini per fare attività fisica.
Anche le isole pedonali si sono dimostrate un elemento di grande importanza nello sviluppo e nella valorizzazione del tessuto urbano. Per esempio, si è visto come città munite di aree pedonali, connesse da una buona rete di mezzi di trasporto alle altre parti della città, tendano ad essere molto frequentate e si registrano considerevoli aumenti nelle vendite e nei profitti di negozi, bar e ristoranti. Infatti nelle aree pedonali le persone si sentono tendenzialmente più sicure e si muovono in maniera più “zigzagante”, soffermandosi di più davanti alle vetrine e, di conseguenza, comprando di più. Un altro effetto associato all’implementazione delle isole pedonali è che generalmente portano ad un aumento esponenziale del valore degli immobili sia in senso economico sia nella percezione del prestigio della zona.
Una domanda che può capitare di porsi è se da un punto di vista della salute mentale sia più sano vivere in città o in campagna. Non esiste una risposta assoluta, vi sono però delle tendenze e delle caratteristiche personali che possono predisporre ad un adattamento migliore alla vita cittadina o a quella campestre. La città rappresenta un ambiente certamente ricco di stimoli ed opportunità di realizzare il proprio potenziale, soprattutto per persone dotate di buona intelligenza e con abilità sociali sviluppate. Tuttavia su chi soffre di disturbi mentali la città potrebbe invece risultare un ambiente più ostile, nel quale la vita si complica e i sintomi possono aggravarsi. Chi è affetto da autismo, da ritardo mentale, da disturbi psicotici e disadattanti rischia, nel clima di anonimato e iperstimolazione della città, di divenire ancora più stigmatizzato e tagliato fuori dalla vita sociale.
Nei piccoli centri invece, dove tendenzialmente le persone si conoscono tra loro, tendono ad essere maggiormente sostenuti e tenuti in considerazione. Un malato mentale in città ha generalmente più bisogno di assistenza da parte del sistema socio-sanitario rispetto ad una persona affetta dallo stesso disturbo in un centro abitato di piccole dimensioni
Città per tutti e per l’ambiente
Da anni si parla di nuovi modelli di città, che fermino il consumo di suolo e siano inclusive per tutti, non solo per le auto. Sappiamo che dal cemento non nasce niente, che il suolo, una volta coperto, muore e si riforma al ritmo di 2,5 cm ogni 500 anni.
La città consuma suolo, liberando in atmosfera enormi quantità di CO2 che altrimenti rimarrebbero stoccate nel suolo stesso. Questo consumo avviene sia verso l’esterno che verso l’interno della città. Milano, verso nord, è l’esempio di una città infinita che si espande senza confini naturali verso le Prealpi. Diverse sono le soluzioni trovate per fermare l’espansione delle città verso l’esterno, come le green belts o le urban boundaries (ne abbiamo già parlato qui).
L’espansione verso l’esterno delle città impatta notevolmente sul consumo di suolo e quindi sulle emissioni di CO2, sul controllo delle piene fluviali, sulle isole di calore e tanto altro. Quando però a fare le spese della fame di cemento sono le aree verdi urbane, si va ad intaccare la salute fisica e psichica dei cittadini.
Le aree verdi urbane vengono mangiate dalla città con una facilità disarmante, tanto che gli urbanisti hanno definito un termine apposito: precursori di consumo di suolo. Questi sono gli artefatti che inducono successive cementificazioni (sia interne che esterne ai centri urbani), perché risulteranno quasi ovvie. Un piccolo pezzo di prato in mezzo a dei palazzi o ad un incrocio per esempio, sarà meno difficile da cementificare rispetto ad un equivalente pezzo di prato in aperta campagna; dà quasi fastidio quel prato su cui non si può passare con la macchina.
Le città sono spesso disegnate appositamente per le auto, e non siamo quasi più in grado di immaginarle senza di esse. Ci sembra normale che un viale cittadino abbia due corsie per senso di marcia, un piccolo marciapiede e neanche un albero. Nelle giornate di blocco del traffico – o nei periodi di lockdown – queste immense strade vuote ci fanno venire dei dubbi. È veramente necessario tutto quello spazio per le auto?
Rendering e progetti già realizzati di urbanistica inclusiva ci dicono che tutto quello spazio non serve, e si può usare in altri modi. Incentivare mezzi pubblici e biciclette, disincentivando l’uso dell’auto all’interno della città, migliora la qualità dell’aria e restituisce spazio a verde urbano e piazze pubbliche.
Lo spazio che le auto private occupano, sia in movimento che quando sono parcheggiate, è enorme rispetto a quello di bici o mezzi pubblici. Le auto elettriche, tanto pubblicizzate dalle case automobilistiche, non risolvono il problema degli spazi. Si può fare qualcosa di veramente migliorativo combinando la tecnologia dell’auto elettrica con i meccanismi di car-sharing e di mobilità sostenibile.
Ovviamente non si possono eliminare tutti i veicoli dalla città. I mezzi di soccorso, i taxi, i furgoni di chi lavora con materiali pesanti ed ingombranti non possono scomparire. Diverso è il discorso per i TIR di consegne e rifornimenti di supermercati. Le cargo bike hanno dimostrato che all’interno della città è possibile trasportare materiali senza l’uso di furgoni, e addirittura DHL ha sviluppato delle cargo bike elettriche su cui si montano direttamente i cassoni trasportati dai TIR.
Delle città nuove, migliori per l’ambiente e per il benessere dei cittdini si possono e si devono fare. Con piccoli e diffusi interventi di urbanistica, si può cambiare una grande città in poco tempo. Più tempo ci vorrà invece, per cambiare la mentalità dei cittadini, ma una volta che si ha una piazza interamente pedonale in cui i bambini possono giocare liberamente, quanti vorranno di nuovo i viali a 4 corsie in pieno centro?