E’ il 4 novembre e, in occasione delle celebrazioni della Festa Nazionale, Marco Ugo Filisetti, direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale delle Marche, organo periferico del MIUR invia il suo personalissimo augurio:
Tono solenne, molta retorica, citazione da Giovanni Gentile e spirito patriottico che trasudata da ogni riga. Attaccare il direttore accusandolo di sentimenti nostalgici verso il fascismo e una retorica bellicista sarebbe troppo facile, fuorviante e, insomma, non è il punto. O meglio, sapere che lo scranno del più importante ufficio periferico del MIUR nelle Marche sia occupato da un nostalgico che usa toni bellicisti da primo fascismo sicuramente non rincuorerà i più ma, onde evitare di esaurire la discussione nel binomio fascismo-antifascismo, con tutta sincerità sarebbe utile chiedersi come la storia venga insegnata nelle scuole italiane e a cosa miri l’insegnamento di quest’ultima.
Pare che l’idea di una storia celebrativa sia quella che vada per la maggiore, e cioè una storia che trova significato e si esaurisce nel ricordo reiterato e meccanico di un avvenimento, i una battaglia, di una morte illustre, importante in quanto tale, svuotato di ogni significato storico e spesso non in relazione al contesto più ampio nel quale si inserisce. A questo si aggiunge un paradigma vitimario che ha completamente sostituito il giudizio storico: ci sentiamo investiti dell’obbligo/dovere di ricordare perché tutto assuma una valenza pedagogica e morale, annullando ogni forma di riflessione.
Una storia celebrativa e paradigma vittimario sono frequentemente diffusi nelle nostre classi, l’uscita di Filsetti ne è una delle tante dimostrazioni, non a caso gli studenti italiani sono piuttosto annoiati da questo insegnamento, si guardano bene dall’avvicinarlo convinti che il succo stia nella conoscenza del maggior numero di date o eventi possibili tutti da inserire in una retta cronologica infinita e incomprensibile. Insomma il rischio è che il racconto storico o si fermi prima dei padiglioni auricolari degli studenti o, peggio ancora si trasformi in una prosopopea che scivola inesorabilmente, come un piano in inclinato, verso un sentimento nostalgico e celebrativo. E’ fondamentale recuperare l’idea che la ricerca storica, e quindi anche la didattica, non abbiano come finalità un insegnamento morale o pedagogico e che per loro natura, sono scienza del contesto, si prendano cura della totalità.
In conclusione sarebbe bene ricordare a Filisetti e nostalgici militaristi che la Prima guerra mondiale ebbe di “grande” esclusivamente le immani distruzioni umane, economiche e sociali che questa si portò dietro, non solo Italia, destabilizzando un continente e contribuendo ad essere la causa dell’instaurazione dei più feroci autoritarismi del ‘900 e che il mito della “bella morte” della gioventù europea, sacrificatasi per le proprie idee e per la Patria, è antistorico.