Quattro sentenze diverse scritte da quattro organi differenti hanno prodotto il medesimo esito: il fronte dell’antimafia italiana ha visto rigettate le proprie istanze su tutta la linea. Prima la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e la Consulta italiana in merito all’ergastolo ostativo, poi gli esiti dei processi Mafia Capitale e Black Monkey. Comunque vada, il mese appena terminato verrà ricordato come uno dei più difficili per la lotta contro le mafie.
Sentenza CEDU e Consulta: l’Italia riveda l’ergastolo ostativo.
In origine fu la CEDU, che con la propria decisione dell’8 ottobre decise di confermare quanto sentenziato tre mesi prima: l’Italia, applicando la misura inumana e degradante dell’ergastolo ostativo nei confronti del ‘ndranghetista Marcello Viola, contravveniva all’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Una decisione che, come si è scritto, ha generato non poche polemiche e ha costituito il primo vero colpo alle fondamenta della legislazione antimafia. Per la prima volta, infatti, un organo continentale sanzionava apertamente uno dei pilastri eretti da Giovanni Falcone per contrastare le mafie.
Il 21 ottobre è stato poi il turno della Consulta la quale, interpellata sulla medesima materia, ha prodotto una sentenza molto simile a quella della Corte di Strasburgo. Anche per giudici della Corte Costituzionale, infatti, la non collaborazione da parte di un detenuto non rappresenta una inconfutabile presunzione della sua pericolosità sociale, né tantomeno può essere considerata l’unico criterio per giudicarne i progressi in ambito rieducativo. Insomma, cambiando la nazionalità dell’organo giudicante il risultato non cambia: la legislazione antimafia nella misura dell’ergastolo ostativo, va rivista.
Processi Mafia Capitale e Black Monkey: quando la mafia non è mafia.
Non sono ancora terminate le polemiche circa queste due sentenze che non uno, ma ben due fulmini squarciano il cielo già terso che aleggia sopra la nostra antimafia. Arrivano infatti a stretto giro di posta l’una dall’altra le decisioni della Cassazione su Mafia Capitale e della Corte d’Appello di Bologna sul processo Black Monkey – le cui indagini avevano evidenziato la presenza di un’organizzazione radicata in Emilia Romagna, che tramite la gestione del gioco d’azzardo legale e non vantava rapporti diretti con la ‘Ndrangheta e ramificazioni in tutta Italia: rispettivamente il 22 e il 29 ottobre, nonostante le precedenti sentenze avessero stabilito il contrario, non viene confermata l’aggravante mafiosa per le associazioni criminali imputate.
Si tratta di due picconate nette all’istituto stesso del 416 bis, la cui fattispecie appare sempre più di difficile dimostrazione all’interno di un’aula di tribunale. A tal riguardo Giovanni Tizian, noto giornalista d’inchiesta per L’Espresso nonché parte civile nel processo Black Monkey per le minacce ricevute, non usa mezzi termini:
«purtroppo questo è il clima che c’è, un po’ ce lo aspettavamo, c’è stata Mafia Capitale e oggi Black Monkey, il problema sarà allora capire cosa è mafia e cosa no, ce lo spiegassero così potremo capirlo tutti»
Il futuro dell’antimafia.
Le reazioni suscitate da queste quattro sentenze sono state molteplici e provenienti dagli ambienti più disparati. Tuttavia è possibile identificare due opposte correnti di pensiero: da una parte troviamo i puristi della materia, giuristi ed esperti di diritto penale e costituzionale, che hanno spesso accolto con favore le sentenze delle diversi Corti perché ritenute coerenti con le linee di principio delle norme in questione – l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, l’articolo 27 della Carta Costituzionale e gli articoli 4, 4bis e 416 bis del nostro Codice Penale. Dall’altra abbiamo invece la magistratura e le associazioni antimafia, preoccupate per l’eventuale indebolimento dell’azione di contrasto alla criminalità organizzata che potrebbe seguire queste decisioni.
Più che discutere della bontà dell’uno piuttosto dell’altro fronte, opera che risulterebbe assai complessa anche per coloro che possano vantare una solida esperienza giurisprudenziale, ciò che interessa qui portare avanti è una riflessione sul futuro immediato dell’antimafia italiana, all’indomani dell’ottobre appena conclusosi.
Ciò su cui appare interessante soffermarsi è la posizione che la politica italiana deciderà di prendere in materia di legislazione antimafiosa, uscita francamente con le ossa rotte da questo ciclo di sentenze. Le diverse Corti hanno infatti suggerito – direttamente nel caso dell’ergastolo ostativo ed indirettamente per ciò che concerne il reato di associazione mafiosa – di rivedere le leggi in materia. E qui si giocherà tanto del futuro dell’antimafia italiana, dal momento che la politica italiana si trova dinnanzi a un bivio: può rimanere con le mani in mano, lasciando che ergastolo ostativo e 416 bis si sgretolino sentenza dopo sentenza; oppure può interpretare la recente giurisprudenza come un campanello d’allarme, un’occasione per migliorare – piuttosto che abolire – l’ergastolo ostativo, e aggiornare nel dettaglio uno strumento fondamentale come il reato di associazione mafiosa alla luce dei cambiamenti delle mafie – e dell’antimafia – degli ultimi quarant’anni.
Ai politici, l’ardua sentenza.