BrewDog.. chi?
Se non conoscete la BrewDog, è un peccato, ma si può sempre rimediare. Un buon motivo è ovviamente la qualità della birra che produce il birrificio scozzese, ma non è questa la novità di oggi.
La BrewDog nasce nel 2007, in uno scantinato di Fraserburgh (estremo nord della Scozia), quando Martin e James decidono che è tempo di uscire dal mondo delle monotone lager industriali, e iniziare a produrre birra per davvero.
I primi due anni passano imbottigliando birra a mano e vendendo la stessa birra da un vecchio furgone, ma nel 2009 già si capisce da che parte del mercato vogliono stare: in basso. Non nel senso che vogliono guadagnare poco, ma nel senso di basarsi sulla popolazione, e dividere oneri e onori. Nasce quindi la prima campagna “Equity for Punks”, nella quale ognuno avrebbe potuto comprare azioni della società, ricevendo in cambio anche sconti e agevolazioni varie. In un anno di profonda crisi economica, questo modello li portò a raddoppiare i loro affari. Da qui in avanti è un susseguirsi di premi, nuovi bar e nuove birre, con la sempre presente “Punk IPA”.
A beer for women. A beer for equality.
Il legame che lega il birrificio alla popolazione è molto forte, e come con le campagne di crowdfunding la popolazione ha dato molto alla BrewDog, la BrewDog ha cercato sempre di ricambiare. Nel 2018, con una delle loro più riuscite iniziative, viene lanciata la Pink IPA, destinata alle donne. Non cambia nulla rispetto alla Punk IPA, tranne il colore dell’etichetta.. e il prezzo.
Le statistiche parlano chiaro, in media le donne del Regno Unito guadagnano il 20% in meno rispetto agli uomini, a parità di mansione. Per riequilibrare le cose, e per sensibilizzare la popolazione riguardo al tema della disuguaglianza di genere, anche la birra sarebbe costata il 20% in meno.
A better planet
Il 2020 ha portato gli obiettivi su un altro livello. Non più solo sensibilizzazione, ma azioni concrete. Nel 2018 l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha annunciato che la fine è vicina: se le industrie non ridurranno drasticamente le emissioni di gas serra, nel 2030 si raggiungerà un punto di non ritorno (tipping point – ne abbiamo già parlato su ThePitch). Ovviamente molte industrie hanno annunciato grossi piani di riduzione delle emissioni, che in concreto si riducono ad un minimo sforzo, giusto per fare bella figura (anche detto greenwashing), e spesso con termine oltre il 2030. Poche aziende hanno fatto campagne serie, e tra queste c’è la BrewDog.
I mastri birrai si sono affidati ad un esperto di Carbon Footprint, Mike Berners-Lee, per calcolare in maniera accurata le emissioni. Queste emissioni sono state calcolate in ogni passo della filiera, e in eccesso rispetto al minimo imposto dall’IPCC, per non rischiare che sfuggisse qualche grammo di CO2.
Questo quanto annunciato dal birrificio scozzese, ma cosa c’è dietro le belle parole?La BrewDog ha fatto tutto nel modo più trasparente possibile, pubblicando tutti i dati in fondo al report, e spiegando in che modo si impegnano a ridurre e compensare le emissioni di CO2.
Per compensare le emissioni, il modo più semplice è usare le meravigliose tecnologie in grado di consumare CO2 per produrre ossigeno: le piante. La Brewdog ha comprato 2050 acri di terreno (circa 8 km2) per piantare la propria foresta. Gli scettici potrebbero dire che gli alberi sono solo un “prestito” di CO2 dall’atmosfera, mentre è il suolo il vero stoccatore di CO2. Tuttavia in questo caso la compensazione sembra realistica: l’obiettivo è di piantare 1 milione di alberi entro il 2022, e un quarto dell’area viene destinato al ripristino delle torbiere, il bioma con la maggior capacità di stoccaggio della CO2. Come minimo, siamo quasi certi che in quella porzione di terreno il suolo rimarrà vivo e non verrà cementificato (qui abbiamo già parlato dei danni da cementificazione del suolo).
David Robertson
director Scottish Woodlands
Mentre viene piantata la foresta, per rimuovere comunque le emissioni, BrewDog finanzia progetti di rimozione della CO2. La parte più delicata però, è la riduzione delle emissioni, fino all’azzeramento totale delle stesse.
Tutte le fasi della filiera producono emissioni nocive. Il piano, programmato per essere portato a termine in due anni, si compone di 5 obiettivi:
- l’orzo maltato, principale sottoprodotto di produzione, verrà trasformato in biometano;
- lo stesso gas verrà prodotto anche da un bio-impianto anaerobico, che trasforma l’acqua di scarto in acqua pura e biometano. In questo modo si riduce al minimo anche lo spreco di acqua;
- la CO2 che verrà catturata, verrà direttamente usata per carbonare la birra nei fusti BrewDog;
- in un anno tutti i veicoli saranno sostituiti con veicoli elettrici;
- l’energia elettrica, sia per il processo produttivo che per i pub del birrificio, proviene già ora dalle turbine eoliche locali. Per una volta il brutto tempo scozzese è positivo.
Non sarà la soluzione al riscaldamento climatico, ma è grande passo avanti. Tutti noi possiamo fare la nostra parte, comprando azioni della BrewDog, o semplicemente bevendoci una Punk IPA.
È chiaro che BrewDog avrà un ritorno economico, oltre che morale ed ambientale. Con questo loro passo avanti, anche altri dovranno darsi da fare, o verranno inevitabilmente messi da parte. Per una volta, il capitalismo potrebbe aiutare l’ambiente, ma spetta al consumatore scegliere una birra ad emissioni negative al posto di una ad emissioni positive. Il fatto che questa birra sia pure molto buona, facilita la scelta.