Le relazioni italo-francesi convivono con momenti di forte contrasto alternati con politiche di collaborazione. L’analisi odierna si sofferma su un periodo ben definito: l’ultimo scorcio del XIX secolo.
Durante le guerre di Indipendenza quello francese fu l’unico esercito che aiutò il Piemonte nel suo disegno politico-strategico. Tale azione non fu per spirito benefico, ma racchiudeva una più ampia visione di contenimento dell’Impero Asburgico grazie alla presenza di uno stato più grande e che avesse potuto impensierire Vienna mentre Parigi e Londra volgevano lo sguardo all’Africa. Ma le relazioni tra i due Paesi viaggiavano sulla scia della rottura. L’opportunismo dimostrato da Roma all’indomani dell’estate del 1870 segnò i rapporti con Parigi e spinse sempre di più l’Italia verso il mondo germanico, suggellato con la firma della Triplice Alleanza del 1882.
La sinistra storica, al governo dal 1876, mantenne una politica estera cauta intrapresa all’indomani della Breccia di Porta Pia. L’unica spinta che proveniva dagli ambienti democratici era quella di portare i territori irredenti ancora in mano all’Austria nel contesto della madrepatria.
La crisi balcanica del 1878 costrinse il cancelliere tedesco Bismarck a convocare a Berlino un congresso per garantire una soluzione pacifica alla questione d’oriente. Al congresso venne inviata anche l’Italia.
A Berlino, mentre la Gran Bretagna otteneva Cipro, l’Austria estendeva il suo protettorato sulla Bosnia Erzegovina e la Francia rivendicava territori in nord Africa, l’Italia rimase con le mani nette, portando avanti una politica di disinteresse verso gli affari coloniali.
Fino a quel momento la classe politica italiana rimase fedele all’ideale democratico mazziniano di libertà dei popoli, ma proprio dopo Berlino un mazziniano e garibaldino, Francesco Crispi, iniziò la sua politica fondata sull’interpretazione in chiave espansionistica del concetto di civilizzazione nato con l’impero romano e di cui l’Italia era erede. Il mancato interesse per territori coloniali in Africa diede mano libera alla Gran Bretagna si apprestava a bombardare l’Egitto (l’Italia fu chiamata a collaborare all’azione, ma il governo Cairoli rifiutò) e alla Francia che iniziò a rivendicare la Tunisia.
In Egitto e Tunisia vivevano le comunità italiane più numerose e la rivendicazione italiana avrebbe giovato anche in politica interna al discorso coloniale che si stava affacciando nelle discussioni dell’opinione pubblica. Per tutelare i cittadini il governo italiano firmò l’accordo italo-tunisino del 1868.
Questo accordo aveva una durata di 28 anni e regolava le capitolazioni e confermava i diritti, i privilegi e le immunità già concesse in precedenza ai cittadini degli Stati preunitari. Gli italiani mantenevano la cittadinanza e venivano giudicati dalla giurisdizione consolare per tutte le materie civili eccetto gli aspetti legati alla materia immobiliare, in cui, tuttavia, era riservata al console l’applicazione delle sentenze pronunciate dai tribunali del Bey.
L’uguaglianza civile assicurava agli italiani la libertà di commercio e un vero e proprio privilegio di extraterritorialità per i loro stabilimenti. In materia di navigazione e pesca gli italiani beneficiano dello stesso trattamento dei tunisini. Infine, il Bey non poteva modificare i dazi doganali senza consultare preventivamente il governo italiano.
Il cambiamento culturale nei confronti del colonialismo spinse il governo Cairoli a rivendicare la Tunisia come terra da colonizzare in virtù dei rapporti storici con quella terra da parte dell’Italia, ma sempre attraverso la via politica: egli non ritenne mai di procedere ad un’occupazione, essendo in generale ostile ad una politica militarista. Mentre l’Italia si preparava ad annettere Tunisi, la Francia i l 3 maggio 1881, inviò un contingente di duemila uomini a Biserta. Lo smacco italiano fu enorme, ormai anche l’opinione pubblica considerava la Tunisia Italia in quanto le attività italiane erano entrate nel tessuto economico tunisino, dalla viticoltura alla pesca, passando per l’estrazione mineraria. Cairoli considerava prioritario il protettorato italiano della Tunisia, ma l’azione francese lo spiazzò e non potè nemmeno chiedere supporto internazionale in quanto la Gran Bretagna era impegnata in Egitto mentre la Germania apprezzava un allentamento della pressione francese sui suoi confini.
Questo smacco diplomatico, unito a quello di Dogali e Adua, porterà il governo Giolitti nel 1911 ad attaccare la Tripolitania dopo anni di tentennamenti, ma tutte queste azioni ebbero un minimo comune denominatore che stenta ad abbandonare il modus operandi italiano: la mancanza di un’attenta pianificazione ed una chiarezza degli obiettivi.