Il colonialismo è un fenomeno che non ha conosciuto uno sviluppo lineare. Nasce da un tentativo di rispondere a dei bisogni, economici prima e ideologici e di potenza poi. La storia, che culminerà con la cosiddetta età dell’Imperialismo del XIX secolo, inizia tra XV e XVI secolo, quando il Mediterraneo stava per diventare un mare ottomano.
Il centro del mondo nel XV secolo non era Roma ma Costantinopoli: tutti i traffici provenienti dall’estremo Oriente trovavano sbocco nella capitale dell’Impero, che noi chiamiamo bizantino (loro si consideravano Ρωμαίοι, “romani” anche se in greco). Il vero epicentro economico era l’asse della “via della seta“. La conquista ottomana della città sul Bosforo nel 1453 d.C – 2206 ab Urbe condita – non fece altro che collegare tre continenti, per cui i mercanti che commerciavano tra oriente e occidente adesso avevano a che fare con un mondo all’apparenza monolitico, un mondo islamico.
Le grandi scoperte geografiche del Quattrocento non furono un vezzo di navigatori o “escursionisti d’altura” per dimostrare capacità marinaresche e scientifiche, ma furono un lungo e progressivo processo di acquisizione e imitazione di altri popoli concentrati verso fini pratici: gli interessi economici a cui fecero da corollario le aspirazioni dei re cristiani cattolici o protestanti che fossero. Senza le necessità economiche di evitare i dazi o i sovrapprezzi per le spezie e altri materiali commerciati, i portoghesi non avrebbero mai circumnavigato l’Africa e raggiunto l’oceano Indiano, minacciando il monopolio dei mercanti di Aden.
L’impero ottomano era il fulcro di questo commercio e faceva la parte del leone, con una base commerciale solida, dovuta soprattutto alle dimensioni del mercato interno. Le rotte carovaniere verso l’Asia attraverso i paesi dell’Orda d’Oro (compagini statuali nate dalla dissoluzione dell’impero dei mongoli di Gengis Khan, diventate musulmane grazie alla penetrazione dei mercanti arabi) erano una sicurezza per l’erario del Sultano. I mercanti ottomani visitavano regolarmente Venezia e altri territori non musulmani del Mediterraneo, il pragmatismo prevaleva sulla differenza religiosa. L’amministrazione ottomana era consapevole della necessità di preservare quanto più possibile quei traffici, infatti venivano condotte numerose missioni diplomatiche tese alla protezione dei mercanti stranieri, i quali, comunque, avevano meno privilegi dei mercanti musulmani.
I servitori del Sultano sfruttavano i commerci con i non musulmani, concedendo o meno privilegi speciali a dei paesi stranieri (non solo europei, anche asiatici ì, come la Persia). Queste concessioni vennero chiamate in Europa “Capitolazioni” e permettevano ai beneficiari di ottenere immunità dalla tassazione ottomana.
In questa fase il Sultano si trovava in una posizione dominante, infatti le capitolazioni erano considerate dalla legislazione ottomana come atto unilaterale e potevano essere abrogate in qualsiasi momento. Questo strumento con il passare del tempo perderà efficacia e diventerà il cappio della Sublime Porta verso la fine del XVIII secolo.
La politica ottomana era palesemente favorevole a chi si affacciava sul bacino del Mediterraneo. I paesi bagnati dall’Oceano Atlantico subivano lo smacco: fu questa situazione che accelerò i processi di navigazione d’altura. I primi a muoversi furono i portoghesi.
Le azioni dei lusitani avevano come scopo quello di trovare uno sbocco commerciale per limitare la forza e la supremazia nei commerci dei mercanti intermediari del Mediterraneo orientale: veneziani, genovesi, siriani, egiziani.
Se l’Europa atlantica sviluppò una capacità di navigazione oceanica era perché in loro vi era il bisogno di spingersi oltre: i navigatori nord africani o i mercanti della penisola arabica non avevano la necessità di circumnavigare l’Africa, essi operavano in aree contigue in cui gli spostamenti erano meno costosi.
Le acque dell’Atlantico venivano già solcate dalle popolazioni dell’Africa occidentale, ma queste erano imbarcazioni in grado di sfruttare la rete fluviale del bacino del Niger e quella della costa d’oro. Simile al bacino del Mediterraneo, il mercato sub-sahariano si estendeva lungo il bacino dei grandi fiumi Niger e Senegal fino a raggiungere attraverso la rete fluviale e carovaniera l’area sudanese del Nilo.
In quest’area l’impero del Mali occupava una posizione centrale e gestiva i traffici delle miniere sahariane d’oro e di sale, facendo confluire le merci lungo le coste atlantiche.
È noto che le popolazioni dell’Africa occidentale siano arrivate in America prima di Colombo, ma i mezzi non riuscirono a riportarli indietro. Le difficoltà di navigazione atlantica e la mancanza di forti motivazioni economiche possono spiegare perché le popolazioni dell’Africa occidentale si concentrarono solamente nella costruzione di imbarcazioni per la navigazione costiera e fluviale. Ad affinare le tecniche di navigazione europea, invece, contribuì anche la necessità di collegare il bacino del Mediterraneo al mar Baltico.
La necessità di collegare due aree distanti affinò le tecniche di costruzione degli armatori europei, che iniziarono a produrre navi unendo la propria esperienza di navigazione con tecniche apprese dai mercanti musulmani nell’Oceano Indiano, con cui sia gli iberici che i genovesi erano in stretto contatto.
Questo processo di affinamento di tecniche navali portò progressivamente i navigatori del Vecchio Continente, soprattutto portoghesi, ad addentrarsi nell’Atlantico: fu così che iniziò la penetrazione nelle isole Canarie, Madeira e Capo Verde. Queste isole costituirono un banco di prova per le possibilità di profitti, motivo per cui iniziarono i finanziamenti alle imprese oceaniche, prima solo da parte di privati, presto anche dagli stati.
Il mito di Enrico il Navigatore è meno romantico della sua fama di esploratore, egli voleva solamente sconfiggere i mercanti musulmani del nord Africa e approfittare degli spazi economici derivati dalla probabile vittoria. Nuovi approcci storiografici hanno messo in evidenza la priorità economica rispetto a quelle geopolitiche, militari e religiose.
Un aspetto che colpisce l’osservatore attento è come queste dinamiche siano state realizzate a livello internazionale, dalla collaborazione di studiosi ed esploratori europei, benchè nell’alveo delle corone iberiche prima e anglo francesi poi.
Le esplorazioni volte a limitare il predominio musulmano ebbero due direttrici: una africana, l’altra atlantica. Il ramo africano aveva come obiettivo raggiungere le miniere d’oro, recuperare schiavi (all’inizio tramite razzie, poi tramite accordi con le tribù della costa); il ramo atlantico aveva lo scopo di trovare nuove terre da sfruttare. Lo sfruttamento di terre, anche disabitate, era mirato alla raccolta di prodotti esotici e preziosi, ma anche utili, come il legname: molto spesso le analisi tralasciano l’importanza di questo materiale che fino a metà del secolo scorso era centrale in tutte le attività umane.
Il progressivo miglioramento delle tecniche di navigazione europea portò ad una superiorità tecnologica che venne subito impiegata per piegare le prime resistenze delle popolazioni con cui i navigatori venivano in contatto. L’introduzione di nuove tecniche militari e il progresso delle armi da fuoco fecero il resto.