Ustica. Basta la parola, per capire immediatamente di quale tragedia stiamo parlando, ma le parole non bastano per descrivere il dolore e la vergogna che ne scaturiscono. Il dolore di chi sul volo che il 27 giugno 1980 decollò da Bologna destinazione Palermo, ha perso per sempre i propri cari. La vergogna del Paese, o meglio, di Stato, come titolò il Corriere della Sera nel decennale della sciagura. Allora, istituzioni conniventi e omertose cercarono di lasciare in fondo a quel braccio di mare tra Ustica e Ponza, non solo i corpi delle vittime ma anche la verità dovuta a chi resta. Quarant’anni di lotte, di processi, di accuse, di perizie, di rogatorie ma soprattutto, menzogne.
I fatti. Il 27 giugno 1980, 77 passeggeri e 4 membri dell’equipaggio della compagnia aerea Itavia, decollano dall’aeroporto di Bologna alle 20,08 a bordo di un volo diretto a Palermo. Alle 20,59 quando il velivolo ha già iniziato la fase di atterraggio, sparisce repentinamente dai radar della torre di controllo. Si attivano anche i centri radar di Ciampino e Marsala, ma è tutto inutile. Il volo non compare a video, e alla radio, dalla cabina di pilotaggio, non risponde nessuno. Il giorno seguente, alle prime luci dell’alba, prima una chiazza oleosa a largo dell’isola di Ustica, in seguito l’emersione a galla di alcuni corpi, fugheranno ogni dubbio sul tragico destino di quelle povere anime.
I sospetti sulla veridicità della versione ufficiale su quello che è successo al DC-9 Itavia, attanaglieranno da subito i familiari e i giornalisti come Andrea Purgatori, che a lungo si è occupato di questo caso. Cedimento strutturale dissero, mentendo spudoratamente.
Chi parla è Daria Bonfietti, Presidente dell’Associazione parenti delle vittime strage di Ustica, che in questa tragedia ha perso il fratello Alberto.
«Nel 1986 impedimmo che l’indagine venisse archiviata e prese il via la prima campagna di recupero del relitto. In seguito, nel 1999, il giudice Rosario Priore, chiese il rinvio a giudizio, tra gli altri, del Generale Bartolucci, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, con l’accusa di alto tradimento. Finalmente si stava facendo strada la verità».
Una verità ancora priva dei primi piani, ma il cui scenario è stato ormai chiarito. Ed è uno scenario di guerra.
La Libia e il suo dittatore, il Colonnello Gheddafi, sono a quel tempo il nemico pubblico numero uno degli Stati Uniti, oltre ad essere invisi anche ad altri paesi della Nato, di cui l’Italia fa parte. Il nostro paese è però messo sotto scacco dalla Libia, da cui dipende per la fornitura di gas e petrolio. Inoltre Gheddafi risulta essere in possesso del 13% delle azioni Fiat. Una enormità. Si capisce come l’influenza libica nella nostra politica, sia interna che internazionale, sia davvero importante.
In quel giugno 1980 il Mediterraneo è in fermento. La portaerei USS Saratoga, della marina degli Stati Uniti, sente il bisogno di predisporre alcune esercitazioni al largo del golfo di Napoli. I libici dal canto loro fiutano l’aria che tira, e non è buona. Così, alcuni aerei da guerra MIG23 di fabbricazione russa, in dotazione all’esercito libico, volano in Jugoslavia per alcuni operazioni di manutenzione.
L’Italia, col tacito assenso dei servizi segreti, oltreché dell’Aeronautica Militare ovviamente, chiude gli occhi sul via vai di MIG che attraversano i cieli del nostro Paese. Ma il 27 giugno 1980, Usa, Francia, Belgio e Regno Unito, tutte nazioni di cui è provata la presenza di aerei militari in volo sul mar Tirreno, hanno deciso di porre fine a questo traffico nei cieli di una nazione facente parte del patto atlantico. Uno dei Mig di ritorno dai Balcani, come probabilmente è successo altre volte, transita nel nostro spazio aereo e per passare inosservato all’occhio dei radar, si posiziona sotto la pancia di un volo da trasporto civile. Quella sera, è il turno del DC-9 Itavia. A questo punto, numerosi Phantom dell’aviazione francese decollano dalla base di Solenzara, in Corisca, altri dalla portaerei statunitense Saratoga. Uno di questi, deciso ad abbatte il MiG, colpisce invece l’aereo dell’Itavia, abbattendolo e uccidendo tutte le persone a bordo. «Ricordiamo però che non fu una operazione militare della Nato, ma dei singoli stati coinvolti. Molte volte ai giudici alcuni imputati risposero che su quanto successo vigeva il segreto militare Nato, ma questo non è affatto vero» precisa Daria Bonfietti.
«Io so ma non ho le prove» affermò Pier Paolo Pasolini, sulla strage di Piazza Fontana.
Anche per Ustica possiamo affermare che fatti e circostanze siano state ormai ricostruite, ma non vi sia alcuna testimonianza che le confermi. Come ad esempio, nel caso della misteriosa riunione all’ambasciata americana, come ricorda Daria Bonfietti.
«Il giudice Priore dimostrò che quella notte vi fu una riunione all’ ambasciata americana. Strano no? non c’erano vittime statunitensi a bordo del DC-9. Purtroppo non fu possibile stabilire chi era effettivamente presente, ma quasi certamente concertarono la versione da dare al mondo».
Nel 2008 Francesco Cossiga, che all’epoca dei fatti era il Primo Ministro, disse di sospettare – sospettare (!) – che fosse stato un velivolo francese ad abbattere il DC-9, ma la magistratura non riuscì mai ad accertarlo.
L’associazione non si ferma, vuole scoprire l’esecutore materiale di questa strage, l’ultimo tassello che manca al puzzle. In occasione del quarantennale della strage, al Museo per la memoria di Ustica a Bologna, dove sono esposti i resti del DC-9, si terranno innumerevoli iniziative a carattere culturale.
La signora Daria Bonfietti continua a lottare: «Vorrei ricordare le parole del senatore Libero Gualtieri, che fu presidente della commissione stragi, su Ustica: nessuno è innocente».