Come funziona la colonna sonora di un videogioco? Al giorno d’oggi, con la potenza e le risorse disponibili, le produzioni di maggior livello possono usare intere orchestre, riempire gli hard drive con svariati album di materiale, e usare trucchi come la musica adattiva – cambiare l’ambiente sonoro e le tracce usate in base all’azione su schermo. È un ambiente dinamico, pronto a creare il tuo film hollywoodiano personale, e chiunque abbia giocato a Horizon: Zero Dawn o God of War o altri titoli famosissimi ricorda i violini che crescono e le trombe che riempiono il mondo di suono.
Quando il mondo dei videogiochi era agli esordi, però, tutto questo era talmente al di fuori delle possibilità della tecnologia coinvolta da essere pura fantascienza. La versione di Space Invaders per l’Atari 800 è larga 3 KB – per fare un paragone, il file di testo che sto usando per scrivere questo articolo è già a 14 KB dopo due paragrafi.
Aggiungere file musicali era letteralmente impossibile – senza dimenticare che riprodurli era anch’esso un grosso problema, e che molti metodi di riproduzione e compressione audio ormai standard (come gli mp3) erano ancora molto, molto lontani dall’avverarsi. Riprodurre musica digitalmente era impossibile; ma si poteva invece creare musica al momento, indicando singolarmente che note suonare, usando dati (leggeri) invece di onde sonore registrate (pesanti).
È una spiegazione in soldoni, ma è necessaria per capire la parte chip della parola chiptune: questi dati, che andavano a comporre la musica, venivano interpretati e “suonati” tramite chip dedicati inseriti all’interno di cabinati e console, e le note risultanti inviate al metodo di riproduzione del suono (che fosse un beep proveniente dai componenti o una televisione). C’era però un altro problema: non essendo una registrazione, potevano venire processati solo un certo numero di strumenti, che potevano usare spesso solo onde o sample estremamente basilari. Come ottenere armonie e ritmi interessanti con questi limiti?
I compositori si sono dovuti inventare qualche trucco.
C’è una cosa che un sintetizzatore programmato riesce a fare e un musicista non può: la velocità altissima. Creando arpeggi impossibili da suonare, alternando ottave al fulmicotone e giocando con vibrato e volume, i compositori potevano creare suoni unici ed estremamente interessanti. E qui veniamo al fattore principale della definizione: chiptune non indica tanto un genere, come fanno pop rap o metal, ma un vero e proprio modo di intendere l’aspetto sonoro della musica, che può essere interpretato in modi molto diversi.
A questo punto la strada si divide. Se i videogiochi cominciarono a sfruttare gli spazi e le risorse maggiori per integrare musica registrata, gli appassionati del genere decisero di continuare a sfruttare questo tipo di limitazioni come esplicita dichiarazione artistica, incentrando la loro musica
Ed è così che la chiptune divenne genere.
Certo, è una descrizione molto sui generis e semplificata, che non va a toccare console e computer specifici – come per tutti i mondi underground si potrebbero scrivere decine e decine di pagine composte da nomi, strumenti e musicisti influenti e sconosciuti. Sottobosco estremamente variegato, la scena chiptune è diffusa in quasi ogni continente, e abbraccia moltissimi generi diversi – dal rock pesante di Danimal Cannon al pop-ska di Wabisavita, con diversi gradi di “purezza” che vanno dall’usare solo apparecchiature d’epoca a moderni plugin in software di registrazione che aggiungono questo tipo di suoni a canzoni più tradizionali.
Nonostante l’esistenza di grandi eventi come il MAGFest, l’occasionale hit virale e un’influenza nel mondo della musica elettronica estremamente notevole, il genere resta fermamente nel campo dell’underground e vive di comunità auto-organizzate sia su internet che in scene locali. In Italia abbiamo il centro Macao di Milano e la sua Milano Chiptune Underground, giunta alla nona edizione prima che l’epidemia mettesse fine a ogni evento live – e un sacco di eventi online, come il canale Micromusic Italy o musicisti/streamer come Kenobit che trasmettono live set su Twitch, sia propri che ospitando altri artisti.
Per chi ama i videogiochi, è una lezione di storia interessante e una spiegazione di come e perché il loro lato audio si sia evoluto in questo modo. Per chi è appassionato di musica è un intero mondo da esplorare, una fonte di idee e ispirazioni al di fuori della normale logica tradizionale.
Per chi invece non è interessato a nessuno dei due settori, è comunque una curiosità intrigante – e una lezione importante su come le difficoltà tecniche possono spingere la creatività a livelli nuovi, creando soluzioni che possono definire il futuro stesso del settore in cui si lavora.