Un giorno d’agosto del 1988 il pubblicitario cileno Eugenio García riceve la telefonata che avrebbe cambiato non solo la sua vita, ma la storia del suo paese. L’uomo all’altro capo della cornetta era Francisco Celedón, membro del partito democratico cristiano, rappresentante dell’opposizione nel Cile, in quegli anni governato da Augusto Pinochet. Dopo quindici anni di brutale repressione e violenze, di fronte alle pressioni della comunità internazionale, Pinochet aveva indetto per il 5 ottobre di quello stesso anno un referendum, attraverso il quale la popolazione poteva esprimersi per confermare o meno Pinochet al potere. La domanda era dritta e secca, e altrettanto lo era la risposta: dici SI o NO ad altri otto anni di Generalissimo?

Il logo della campagna del SI, nel referendum 1988.

La storia di come un gruppo di pubblicitari siano riusciti a rovesciare uno dei regimi più repressivi al mondo è stata resa famosa da un fortunato film del 2013, No – I giorni dell’arcobaleno, del regista cileno Pablo Larraìn. La sceneggiatura si basa sul testo teatrale, mai andato in scena, El plebiscito, dello scrittore cileno Antonio Skàrmeta, famoso per il romanzo Il Postino da cui fu tratto il film con Massimo Troisi. E’ Skàrmeta a inventare il personaggio di René Saavedra, liberamente ispirato al pubblicitario Eugenio García. Per integrare documenti video e spot d’epoca e per restituire quelle immagini a bassa definizione, tipiche della televisione di quegli anni, il film viene girato con telecamere degli anni Ottanta, in formato 4:3. Le immagini di girato si mescolano così a quelle d’epoca, senza soluzione di continuità; il tentativo è ricostruire al meglio la percezione visiva di quegli anni, con estrema attenzione ai dettagli.

ll film ottenne subito un grande successo, fu candidato al premio Oscar come miglior film straniero, si aggiudicò vari premi in altri festival internazionali. In patria ricevette però molte critiche, per un’impostazione ritenuta semplicistica, per aver ridotto una grande storia collettiva portandone il focus su un singolo. Inoltre, Larraìn é discendente di due tra le famiglie più ricche e influenti del paese, figlio di due politici di area estremamente conservatrice, ed è stato personalmente accusato di “essere un aristocratico in Cile e un regista politicamente impegnato all’estero”. Il dibattito su quegli anni e sull’eredità di Pinochet non è ancora risolto. Di conseguenza chi racconta la storia e quale storia viene raccontata sono questioni centrali.

Augusto Pinochet aveva conquistato il potere nel 1973, con un colpo di stato sostenuto dai servizi segreti americani. Tre anni prima, nel 1970, aveva vinto le elezioni Salvador Allende, candidato socialista democratico d’orientamento marxista. Il Cile era diventato il primo paese al mondo dove un governo socialista si era instaurato non con le armi, non con la rivoluzione, ma con ordinate e legali elezioni democratiche. Salvador Allende aveva pensato una vía chilena al socialismo, una progressiva e pacifica conversione verso una società di stampo socialista. La politica di nazionalizzazione dei mezzi di produzione e l’espropriazione di aziende e banche straniere allarmò gli Stati Uniti d’America che, per impedire che il Cile diventasse una nuova Cuba, misero in atto un vero e proprio boicottaggio economico. Ma a far cadere Allende non fu sufficiente.

L’11 settembre del 1973 Augusto Pinochet, che lo stesso Allende aveva nominato poco prima alla guida delle Forze Armate, condusse l’esercito contro il governo: i carri armati invasero le strade della capitale, il Palazzo presidenziale venne circondato. Allende si affacciò al balcone e, prima di morire, rivolse il suo ultimo discorso al popolo: «Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!». In un solo giorno Pinochet diventò il padrone del Cile. Il colpo di Stato fu appoggiato dagli Stati Uniti, era presidente Richard Nixon ed Henry Kissinger era il segretario di stato.

Pinochet instaurò una dittatura militare: sciolse il Congresso nazionale, impose la censura, mise fuori legge i partiti di ispirazione marxista, abolì i sindacati e fece pesanti epurazioni nelle università e nelle istituzioni. Sorsero in tutto il Cile campi di prigionia per sopprimere la dissidenza politica. Si stima che circa tremila oppositori politici siano stati uccisi, diverse decine di migliaia (ma il numero preciso non si può conoscere) sono i desaparecidos, le persone fatte scomparire dalla polizia segreta. Oltre alle migliaia e migliaia di uomini e donne torturati e violentate. La violenza si consumava nel segreto, mentre alla luce del sole il Cile prosperava, lanciato in una politica economica fortemente liberista di stampo americano che faceva pensare a un vero e proprio miracolo economico. Consigliato da un gruppo di giovani economisti cileni che avevano studiato a Chicago con l’economista premio Nobel Milton Friedman, Pinochet ridusse sensibilmente la spesa pubblica, privatizzò le imprese statali, diede generosi incentivi per gli investitori stranieri, ridusse il controllo statale sulle banche, fece politiche per promuovere l’export e limitò le restrizioni sul commercio internazionale. 

Verso la fine degli anni Ottanta, la comunità internazionale, compreso il maggior sponsor politico del Cile, gli Stati Uniti, prese le distanze dai metodi repressivi del regime, che si trovò quindi sempre più isolato. Fu così che il presidente Pinochet, per dare una parvenza di democrazia e legittimare il proprio potere di fronte al mondo, in accordo con le norme della Costituzione da lui stesso stilata, decise di indire un referendum con il quale il popolo avrebbe deciso se conferirgli o meno un ulteriore mandato di otto anni. Pinochet non aveva dubbi sulla propria vittoria. Era sicuro che la maggior parte della popolazione gli fosse grata per aver portato ordine nel paese, per aver rimosso i nemici dello stato, per aver introdotto il libero mercato. Inoltre, il NO era sostenuto da una coalizione di sedici partiti di orientamenti molto diversi tra loro, da democratici di ispirazione cristiana a socialisti e comunisti. Sembravano troppo disorganizzati e frammentati per rappresentare una minaccia. Per restaurare la propria immagine, soprattutto all’estero, e mostrarsi equo e democratico, concesse alla campagna per il NO uno spazio televisivo di quindici minuti al giorno. Sarebbe stato la sera tardi, in una fascia oraria poco rilevante. Inutile dire che il governo controllava tutti gli altri programmi televisivi e che aveva tutto il resto della giornata – oltre al proprio slot di quindici minuti ogni sera – per mandare i propri messaggi di propaganda.

Museo de la Memoria y los Derechos Humanos, de Santiago de Chile, ritratti delle vittime del regime di Pinochet.

Le precedenti elezioni in Cile erano state quelle vinte da Salvador Allende nel 1970, quando la televisione aveva ancora diffusione limitata e un impatto minimo nella vita delle persone. Ma in diciotto anni il mondo era cambiato. Il Cile viveva nell’orbita del capitalismo, la televisione aveva guadagnato nuovi spazi, la comunicazione aveva cambiato codici. Il politico d’opposizione Francisco Celedón vede subito l’errore colossale di Pinochet e l’enorme margine di intervento che, senza rendersene conto, lasciava alla coalizione del NO. Ma quando Celedón e Garcìa cominciano a discutere la strategia di comunicazione, capiscono che la battaglia sarà ugualmente dura da vincere. La maggior parte della popolazione aveva paura di votare NO, non solo perché temeva ritorsioni da parte del regime, ma anche perché molti avevano paura di tornare indietro al marxismo di Allende, a tempi di caos, scioperi, impennate dell’inflazione, di fame e povertà. Inoltre, non si trattava di organizzare una normale campagna elettorale e promuovere un candidato. Non esisteva un candidato per il NO. Si esprimeva un NO a Pinochet, ma senza una concreta alternativa. 

Garcìa era un pubblicitario, il suo lavoro era creare un prodotto che sapesse conquistare sulle masse. Ma il NO, per sua natura, è un concetto negativo, non è utile a vendere. Serviva un messaggio che unisse la popolazione, che potesse essere rassicurante e entusiasmante allo stesso tempo. «Come si fa a trasformare una negazione in un’affermazione? Quelli il Sì ce l’hanno facile. Sì alla vita! Sì al Cile!». Le ragioni del NO si radicavano su quindici anni di violenze, soprusi, migliaia di morti, migliaia di famiglie che avevano visto scomparire il figlio, la figlia, il marito, la madre, senza nessun motivo.  Ma qualsiasi filmato che ricordasse i crimini di Pinochet avrebbe fatto leva sulla paura, Garcìa cercava altro. Un motto ottimista, immagini solari, come un cielo sereno dopo la tempesta. Servivano immagini che contrastassero l’idea del NO, che collegassero il NO a un cambiamento positivo, a una liberazione.

Uno degli spot andati in onda tra il 5 settembre e il 5 ottobre 1988. Estratto dal film NO – I giorni dell’arcobaleno, 2013. Youtube

Garcìa segue un ragionamento da pubblicitario, non da politico. Inventa un motto: Chile, la alegría ya viene, Cile, arriva la gioia. In spagnolo alegría è un sentimento collettivo. Non è solo felicità, è qualcosa che si adatta al carnevale o a un’atmosfera di festa. Il logo della campagna è l’arcobaleno, un simbolo che rappresenta partiti di tradizione diversa, uniti contro la dittatura. Certo passare dai desaparecidos alla gioia è un bel salto. La proposta non fu subito accettata dai rappresentanti della coalizione di opposizione, che comprendeva sia politici di ala liberal-democratica sia comunisti e socialisti. Si aspettavano qualcosa di diverso, qualcosa che denunciasse i crimini di Pinochet. Una campagna sulla felicità, con bambini sorridenti e persone che danzano per le strade, strideva con l’eredità di violenza della dittatura e sembrava quasi una mancanza di rispetto per le vittime. Nel film, un membro dell’opposizione giudicherà questa strategia «un modo per mettere a tacere ciò che è davvero accaduto».

La prima messa in onda fu alle 22,45 del 5 settembre 1988. Cominciava con l’immagine di un arcobaleno dipinto e la parola NO, sullo sfondo una gioiosa colonna sonora che ripeteva lo slogan. Poi appariva Patricio Bañados, che era stato uno dei più amati giornalisti televisivi (finché non fu bandito dal governo), che diceva «Cile, la gioia sta arrivando» . E poi una carrellata di persone gioiose che esprimevano il loro supporto al NO. L’impatto fu esplosivo. Lo spot fu visto da milioni di persone e accese nella popolazione uno spirito assolutamente nuovo. Il governo non si aspettava niente di tutto questo. La campagna del SI era tutta rivolta a valorizzare le conquiste del regime sul piano economico e a demonizzare l’opposizione politica, ricorrendo allo spettro del marxismo.

Canzone per lo spot del NO. Estratto dal film NO – I giorni dell’arcobaleno, 2013 – Youtube

La reazione del regime non si fece attendere. I pubblicitari ricevettero telefonate intimidatorie, alcuni contadini apparsi negli spot vennero picchiati, una musicista fu improvvisamente licenziata, Bañados ricevette numerose minacce di morte. Il giorno delle elezioni ci fu la più grande affluenza mai vista nella storia cilena con sette milioni e duecentomila votanti. Una storica, eroica vittoria per l’opposizione: il 54,7 % espresse il proprio voto per il NO. Pinochet nel 1990 consegnò il paese, sostenendo che ormai la sua missione di portare prosperità al Cile si era conclusa, mantenendo la carica di senatore a vita. Nel 1998 fu arrestato durante un viaggio in Regno Unito con l’accusa di crimini contro l’umanità. Non fu mai processato. Morì nel 2006 di infarto, a Santiago,in Cile.

La coalizione nata nel 1988, chiamata Concertación de Partidos por el No perché realmente non aveva altro punto in comune che mettere fine alla dittatura di Pinochet, governerà il Cile fino al 2010. La transizione dalla dittatura alla democrazia è avvenuta in sostanziale continuità. Rimosso Pinochet, la Concertación non si è mai posta in chiave antiamericana o anticapitalista, ha invece cercato di dare una nuova identità politica a un paese che negli anni precedenti si era molto americanizzato e che aveva totalmente assimilato il modello della società dei consumi. Il Cile è uscito dalla dittatura militare senza spargimenti di sangue e senza compromettere l’economia, ma la Concertación è stata accusata di non aver preteso giustizia per le vittime. Resta una memoria inquieta, non pacificata, che ancora divide chi ricorda le morti da chi le rimuove.

Video originale e canzone “Chile l’alegría ya viene” del referendum 1988

Sarebbe ingenuo pensare che una delle più tremende dittature del secolo passato sia stata distrutta da un ben pensato spot televisivo e da un jingle accattivante; non sarebbe bastato il genio pubblicitario di un team di coraggiosi creativi se non ci fosse stato un lungo lavoro di pensiero e di azione politica, sotterranei, clandestini, ma che hanno nutrito la possibilità di un futuro diverso. La storia delle elezioni del 1988 in Cile è una bellissima storia di speranza e di possibilità concreta di cambiare le cose. Ci riporta alla riflessione di Jonathan Safran Foer in Possiamo salvare il mondo prima di cena: ci vogliono “buone storie” per strutturare le azioni. Il problema dell’emergenza climatica – dice Foer – è che non è una buona storia. Una buona storia raramente è una storia “etica”: la denuncia della violenza e della repressione allontanano, non “vendono”, rischiano quindi di essere inefficaci. Non possiamo dire che sia vero in assoluto, ma di sicuro è vero oggi.

Ed era già vero allora, a fine anni Ottanta, quando esplode la civiltà dell’edonismo e dell’immagine. Forse è il primo esempio di un panorama politico stravolto dall’efficacia di una comunicazione commerciale, la pubblicità si sostituisce alla propaganda politica. Negli stessi anni in Italia stava gettando le basi l’impero mediatico-politico di Silvio Berlusconi. La campagna politica per il No non vuole imporre un nuovo modello culturale, utilizza la stessa grammatica strutturata dal consumismo capitalista americano. La campagna per il NO vuole dire: possiamo avere benessere, la Coca Cola, i film hollywoodiani e la musica pop anche senza Pinochet. Pinochet è il passato. I politici erano lontani anni luce dal riuscire a produrre quel ragionamento che ha portato il NO a vincere. Cantare la alegria ya viene di fronte a un dittatore responsabile di migliaia di morti è un gesto profondamente politico e rivoluzionario nel senso più vitale del termine. C’è qualcosa però di ambiguo, lo spettro di un mondo che si affaccia imponendo una rimozione e un’accettazione di un modello già validato altrove.