Roma-Lazio: 151 precedenti in Serie A. Real-Atlético: 165 confronti in Liga. Benfica-Sporting: 170 incontri in Primeira. Non aggiungiamo a questa lista gli infiniti derby di Londra perché non vorremmo tediare il lettore con un elenco lungo quanto la storia del calcio inglese ma bastano questi tre esempi a testimoniare quanto Berlino rappresenti un caso unico nel panorama del calcio europeo: quella in programma oggi all’Alte Försterei è in assoluto la prima stracittadina della capitale in prima divisione. Il fatto che cada a una settimana esatta dal trentesimo anniversario dal crollo del Muro, invece, è semplicemente uno scherzo del destino. Perché da una parte c’è l’Hertha Berliner Sport-Club, nato nel 1892 a Charlottenburg (Berlino Ovest), dall’altra il Fußballclub Union Berlin, fondato nel 1906 a Köpenick (Berlino Est). Non proprio un derby come gli altri, insomma.
Innanzitutto per il palcoscenico. Il primo Berliner derby in massima serie si giocherà allo Stadio vicino alla casa del vecchio guardaboschi. Questa la traduzione letterale dello Stadion an der Alten Försterei, casa dell’Union: appena 22 mila posti, l’85% dei quali in piedi, ammodernato una decina di anni fa grazie anche al lavoro volontario dei tifosi. È il 2006 infatti quando la federazione tedesca si rifiuta di prorogare le deroghe che dal ’90 permettono alla squadra di disputare le partite casalinghe nel vecchio impianto. Delle due l’una: traslocare altrove o rinnovare la struttura esistente. Peccato che la società non navighi in buone acque: senza le 140 mila ore gratuite prestate da circa 2 mila tifosi oggi probabilmente l’Union giocherebbe altrove. Il match di riapertura, nel 2009, viene giocato – c’è bisogno di dirlo? – contro l’Hertha. Un’amichevole terminata 5-3 per i cugini.
Amichevole era stato anche lo storico incontro giocato nel monumentale Olympiastadion, casa dell’Hertha, il 27 gennaio 1990. Un incontro che di calcistico aveva molto poco: la chiamarono Wiedervereinigungsspiel, “partita della Riunificazione”. Il Muro che per oltre 28 anni aveva spaccato Berlino da meno di tre mesi non esisteva più: il biglietto costava cinque marchi – occidentali od orientali, non c’era differenza – e per la prima volta le Trabant invasero Berlino ovest. Anche allora, davanti a 52 mila spettatori, vinse l’Hertha (2-1) ma il goal del momentaneo pareggio dell’Union fu applaudito anche dagli avversari in un momento di commozione collettiva testimoniata anche dallo spettacolo sugli spalti. Perché chiamarlo derby sarebbe fuorviante: Hertha e Union sono state per decenni – come recitavano le sciarpe diffusissime a cavallo tra i ’70 e gli ’80 – “amiche dietro il filo spinato”.
Con la nascita della Bundesliga, nel 1963, fu naturale per molti sostenitori dell’Union avere un debole per i cugini al di là del Muro, le cui gesta – per la verità tutt’altro che irresistibili – venivano trasmesse anche nella Ddr. Da qui all’Hertha und Union – eine Nation (“Hertha e Union – una nazione”) in voga negli anni Settanta il passo è breve: tifare per i biancoblu dell’Ovest era una ripicca verso il regime e dall’altra parte simpatizzare per i biancorossi dell’Est voleva dire prendere una posizione netta. Stare cioè dalla parte della “squadra del popolo”, schiacciata dal superpotere della Dinamo, il club della Stasi per cui faceva il tifo anche l’onnipotente ministro Erich Mielke. Una storia di amicizia che però, dopo il bagno di folla del ’90, andrà scemando: tra il 2010 e il 2013, quando le due squadre si sono incontrate più volte in Zweite Liga (la B tedesca), non sono mancati gli incidenti tra tifosi.
Nemmeno tra le due società i rapporti sembrano più idilliaci: la dirigenza dell’Hertha aveva chiesto esplicitamente alla federazione di poter disputare il derby sabato prossimo, trentesimo anniversario appunto della caduta del Muro, sicura che anche i cugini sarebbero stati d’accordo. Sbagliando: i biancorossi si sono rifiutati di adeguare il calendario calcistico a quello delle celebrazioni, cui la partita di oggi farà “solo” da introduzione. «Era la cosa giusta da fare allora e abbiamo fatto la storia – ha dichiarato René Adamczewski, centrocampista dell’Union in campo quel 27 gennaio di quasi 30 anni fa – ma ora basta. Hertha e Union sono squadre della stessa città e non possono essere affratellate: è contronatura». L’Hertha di oggi non è più l’Hertha di allora. Mentre l’Union, ex squadra dei metalmeccanici invisi al regime, resta espressione di un calcio più popolare.
E più popolare (o meno moderno, che dir si voglia) il calcio nell’ex Ddr rischia di esserlo ancora per molto tempo, volente o nolente. Perché il filo spinato nello sport sembra ancora lungi dall’essere abbattuto. Non è un caso che in 28 stagioni di Bundesliga “riunificata” l’Union sia solo la sesta squadra proveniente dalla ex Germania est a disputare il massimo campionato. Con il rischio non troppo remoto di non discostarsi dai risultati di chi in questi anni l’ha preceduta: Hansa Rostock, Dynamo Dresda, Lokomotive Lipsia ed Energie Cottbus in Bundes sono stati poco più che comprimari. Unica eccezione, ovviamente, l’RB Lipsia, costruita in provetta dieci anni fa e ormai in grado di competere stabilmente con le corazzate dell’Ovest. Per il resto, nel pallone, sembra quasi che il Muro non sia mai caduto. A convincerci del contrario proveranno oggi Hertha e Union.