“Chi voglia varcare senza inconvenienti una porta aperta deve tener presente che gli stipiti sono duri.”
(Robert Musil, “L’uomo senza qualità”)
“L’uomo senza qualità”, colossale romanzo dello scrittore austriaco Robert Musil composto tra il 1930 e il 1943 e lasciato incompiuto per via della prematura morte dell’autore, ruota attorno alla figura di Ulrich, studioso trentaduenne di fisica matematica e algebra, ancora alla ricerca di uno scopo da dare alla propria vita e un senso alla realtà circostante. Tanto ricco di stimoli intellettuali quanto privo di passioni, vive una sorta di passività analitica, da lui stesso definita “saggismo”, incapace di mettere in atto le molteplici doti caratteriali di cui è dotato, e questo lo porta a considerarsi “senza qualità” e a prendersi un anno sabbatico dall’esistenza stessa. Tra le strade di Kakania, capitale di un grande impero cosmopolita, una Vienna deformata, le vicende spirituali ed esistenziali di Ulrich assurgono a valore simbolico e universale, e diventano l’allegoria dell’uomo comune del ventesimo secolo e della sua alienazione.
Capitolo primo: Perspiratio sensibilis
Marco Giampaolo suda. Alla sua prima conferenza stampa, di fronte alle domande dei giornalisti, al pallore dei riflettori, alla curiosità famelica degli astanti, Giampaolo suda. Anche la narrazione mediatica dell’evento si concentra sul suo processo di secrezione, così smodato e fuori luogo.
È l’8 di luglio e Marco Giampaolo, da una decina di giorni giorni soltanto, è il nuovo allenatore del Milan. Con la camicia sbottonata e una giacca stretta sulle spalle, senza cravatta, un’abbronzatura timida, seduto tra Boban e Maldini pare quasi spaesato, fuori luogo, dà come l’impressione di essere “un vaso di coccio in mezzo a tanti vasi in ferro”.
Ogni tanto, il sudato Giampaolo lancia lo sguardo al di là della coltre di giornalisti, quasi cercasse di intravedere il mare di casa sua, che ora gli pare così lontano, tanto che Boban e Maldini devono ribadire, a lui, alla stampa e al mormorio dei tifosi, che il profilo di Giampaolo fosse proprio quello che cercavano. Il Milan, questo Milan, è una squadra giovane, la più giovane della serie A per età media, esce da cicli poco soddisfacenti e, per via delle restrizioni imposte dal Uefa, ha potuto condurre una campagna acquisti a prima vista modesta, giocatori sì di prospetto, ma sotto le venticinque primavere cada uno. Affidare una squadra di questo tipo a un allenatore che fino ad ora ha allenato solo squadre di provincia, con condotta altalenante, sembra una scommessa, eppure gli esperti e i professori sembrano condividere l’idea societaria.
“È vero, non ha mai vinto niente, ha allenato sempre e solo squadre di media categoria, ma le fa giocare bene”.
Gli esperti e i professori, quando parlano di Marco Giampaolo, lo chiamano Maestro.
Capitolo secondo: Kaiserlich und Königlich
Ne “L’uomo senza qualità”, l’impero austroungarico in cui ogni proclama è imperial-regio (Kaiserlich und Königlich, k.k. appunto, pronunciato ka-ka, da cui Kakania), diviene per Musil quel perduto impero che specie nel suo declino si trasforma in categoria dello Spirito, in simbolo dell’Occidente e della sua Storia.
La Nazione, poiché è Spirito e come Spirito agisce, non solo nella realtà ma soprattutto sulla persona, intreccia legami coi suoi abitanti, caratteri impressionabili e modificabili dall’ambiente circostante, che per Musil sono “ruscelli che riempiono, ognuno col proprio contributo, quella conca che è la persona”. Tra questi rivoli immissari esiste però anche un defluire, uno svuotamento dell’Io dovuto a un ulteriore carattere definito dall’autore come “la fantasia degli spazi non riempiti”. Esso impedisce agli altri caratteri di realizzarsi, cioè permette all’uomo di essere completamente svuotato, di perdere di vista il valore della realtà, affermando che non c’è ragione per cui questo valore esista, per cui l’esistenza sia sufficiente o tanto meno necessaria.
Marco Giampaolo, fotografato mentre legge “La fine della storia” di Sepulveda, forse per distrazione, forse per assonanza, quando sente Kakania pensa a Catania, quel posto al sole in cui sta per poco più di sei mesi. A Catania Giampaolo realizzerà 22 punti in venti partite, una miseria, in seguito alle quali viene esonerato. Dopo sarà la volta di Cesena, poi di Brescia, quei tre mesi infausti che termineranno con una vera e propria sparizione. Poi la discesa verso il gorgo, la serie C, la Cremonese, poi di nuovo le serie maggiori, l’Empoli in cui subentra a Maurizio Sarri, arriva decimo e poi vola a Genova come nuovo timoniere blucerchiato. Dopo tre anni, arriva la chiamata.
Marco Giampaolo allenerà il Milan.
Capitolo terzo: Giulianova, o Niente di nuovo sotto il sole
Giulianova non è una categoria dello Spirito, non fa nemmeno provincia. Non ci sono proclami regi, al massimo in qualche trattoria alla vecchia maniera puoi trovare del brodetto di pesce alla giuliese fatto come si deve.
Qui Marco Giampaolo ritorna all’età di un anno, dopo essere nato in Svizzera, a Bellinzona, dove la famiglia era emigrata per lavoro, il 2 agosto del 1967, un dies religiosus, quei giorni del calendario romano in cui la superstizione sconsigliava qualsiasi attività di tipo sacro o profano.
Cresce sportivamente nel Giulianova, insieme al fratello Federico, e per dieci anni si divide tra squadre di provincia nelle categorie più basse, fino a che, ad appena trent’anni, da giocatore del Gualdo, in serie D, interrompe la carriera per un brutto infortunio alla caviglia.
Ogni tanto ci pensa a quei giorni, Marco Giampaolo, pensa a come sarebbe andata se non si fosse fatto male, se il suo ex tecnico Ivo Iaconi non gli avesse mai suggerito di diventare allenatore, che piega avrebbe preso la sua vita. Ci scherza sopra con Louisiana, sua moglie, dice di non sentirsi pronto per una squadra come il Milan, blasone troppo importante da portarsi sulle spalle, ma poi pensa a Maldini e a Boban, che hanno scelto lui, proprio lui, dandogli pacche sulla spalle, sorridenti, chiamandolo Maestro.
Capitolo quarto: Saggismo, o Primo tentativo di diventare un uomo notevole
La prima partita di Marco Giampaolo vede giocare il Milan contro il Novara, una di quelle soporifere amichevoli estive che non interessano nemmeno agli addetti ai lavori, e termina con un mediocre pareggio. Le sfide successive, contro Bayern Monaco, Benfica e Manchester United, vedono capitolare il Milan, ma sono sfide indolori e incolori, con rose provvisorie e avversari notevoli. La sua squadra, però, sembra esibirsi nel tanto professato “bel gioco”, costituito da verticalizzazioni e pressing costante, oltre che dalla presenza di un trequartista dietro alle due punte. La scelta per questo ruolo ricade su Suso, messo sul mercato da settimane -e, si dice, già promesso alla Roma-, un esterno destro che più esterno si fa fatica a trovarne.
“Suso è ok da trequartista” sostiene Giampaolo dopo la prima amichevole col Novara. Contro il Benfica lo spagnolo lascia intravedere barlumi di possibilità nel ruolo, bastevoli a convincere Giampaolo, che dopo la gara con il Manchester United arriva a dire: “È un fuoriclasse, è un giocatore forte e noi i giocatori forti dobbiamo tenerli. L’ho detto anche alla società e a lui”. Con gli occhi a cuoricino, cosparge di rose la trequarti del campo, osanna e incensa il suo pupillo. Nonostante le zero vittorie del precampionato estivo, Giampaolo si mostra sorridente ai fotografi, dice che la squadra ha “fede” e carattere. Quando abbandona la sala conferenza e va al parco a leggere, Giampaolo incide il nome di Suso sulle cortecce degli alberi.
Capitolo quinto: La fantasia degli spazi non riempiti
La prima giornata di campionato è una disfatta. Giampaolo schiera una squadra acerba, con metà dei giocatori fuori ruolo, e perde 1-0 contro un modesto Udinese, senza mai tirare in porta. Davanti alle telecamere si presenta atterrito, la barba lievemente incolta, e un pallore itterico tipicamente milanese ha già prevalso sull’abbronzatura estiva. Forse sente già i primi lapilli del rogo, forse distoglie lo sguardo dal crocifisso, ad ogni modo abiura, e sostiene che il suo modulo probabilmente non è adatto agli attaccanti del Milan, e che in campo “ci metteremo forse in modo diverso”.
Le successive due partite, contro Brescia e Verona, valgono il bottino pieno, nonostante la vittoria di misura contro entrambe, il bel gioco poco riconoscibile e il continuo cambio degli interpreti. Stavolta, Giampaolo dirà: “Non sono un tecnico asimmetrico, resto un talebano”.
Chissa cosa ne pensa dei talebani Paul Elliott Singer, che dai suoi uffici in vetro a New York osserva scorrere la vita con l’indifferenza e la placidità degli antichi dei greci.
Ineluttabile come una disgrazia, arriva il Derby, che il Milan perde 0-2. Il sentore della sconfitta era presentibile da giorni. L’Inter, squadra più forte e allenata dall’odiatissimo Antonio Conte, domina la classifica, e il Milan va incontro alla sfida come un bove al macello. Nonostante i boati di fischi che salutano la squadra all’uscita dal campo, la dirigenza riconferma la fiducia nel tecnico giuliese. Di fronte alle telecamere Giampaolo presenta uno sguardo vitreo, acquoso e, appena terminano le dichiarazioni, corre a casa, sognando un bagno caldo e il letto, che comunque, pensa, pure su questa giornata disgraziata prima o poi cadrà la notte.
Capitolo sesto: “Chi fa la cacca sulla neve prima o poi si scopre”
“Baby, la pioggia della Louisiana mi sta bagnando le scarpe
potrei non esser più lo stesso quando raggiungo Baton Rouge”
(Louisiana, Tom Petty & The Heartbreakers)
La settimana successiva il Milan gioca contro il Torino. Nonostante l’allenatore spenda parole positive su quella che a detta sua è stata la migliore prestazione della stagione, la doppietta del Gallo Belotti condanna il Diavolo a non incassare nemmeno un pulciosissimo punto. È in questo momento che il mondo di Marco Giampaolo inizia a vacillare: Kakania, quella Kakania che dimora nel suo spirito, non è più la Vienna cosmopolita, ricca e colta. Adesso la Kakania che incombe nello spirito di Giampaolo è Giulianova, non sfoggia ricche sacher torte, ma solo olive all’ascolana, fredde di frigorifero.
La notte, nel suo letto, Giampaolo suda. Sogna di cose terribili, e boccheggia e suda. La moglie Lousiana prova a destarlo, a girarlo sul fianco per interrompere l’incubo, ma Marco suda e sogna. Si immagina al centro del campo di San Siro, gli spalti gremiti di gente, la Curva Sud che lo applaude e lo acclama. Poi, dal nulla, come due mecha giapponesi, vede due figure gigantesche avvicinarsi verso di lui. Zvonimir Boban, l’immenso “Zorro”, con indosso la maglia numero 10, Zorro che calcia i poliziotti allo stadio Maksimir di Zagabria, Zorro che segna al Parco dei Principi nella semifinale di Coppa dei Campioni, Zorro che adesso, in mezzo al campo, gli fa una supercazzola e lo sbeffeggia, Zorro che quando Marco è voltato gli fa un coppino. Paolo Maldini, Paolino-Cuore-Di-Drago, Paolino di Cesare figlio, Paolino della nobile casata dei Maldini, che corre sulla fascia, gli fa un tunnel e torna indietro, ride con Boban, poi accelera e gli fa un altro tunnel, la palla gli passa velocemente tra le gambe, e quando Giampaolo abbassa lo sguardo si accorge di non portare più la camicia, ma la maglia del Gualdo, stagione 96-97, la serie D, Boban e Maldini che ridono, alti sei metri, e lo chiamano Maestro.
Capitolo settimo: Suppurazione
A poche ore dalla sfida contro la Fiorentina, Giampaolo saluta i fotografi inquieto, con un sorriso incerto. Ha la barba rasata di fresco, ma dev’essersi irritato il collo, rossastro, come se avesse dormito con indosso un cappio.
La partita vede il Milan eclissato dalla Fiorentina dell’Aereoplanino Montella, gaudente come fosse sempre il suo compleanno, va sotto di tre gol e ne recupera uno, un’ecatombe.
A questo punto il mormorio della tifoseria si è fatto chiasso, un chiasso infernale. Maldini ai giornalisti ribadisce di avere fiducia nell’allenatore, ma non sembra crederci neanche un po’. La suppurazione, a quel punto, si é fatta inevitabile. Tant’è che dieci giorni dopo, dopo una vittoria in casa del Genoa per il rotto della cuffia, viene esonerato. Giampaolo abbandona Milanello dalla porta di servizio, mentre i giocatori lo salutano, con gli occhi rossi e il cappello in mano, ma non sembrano capire bene cos’è successo.
Giampaolo alla stazione ci va da solo, per prendere un treno verso Giulianova, la sua Kakania, simbolo del passato Spirito e dell’Impero.
Il bigliettaio lo riconosce, lo saluta, gli propone di prendere un Intercity in prima classe, che si fa prima, Giampaolo ringrazia, ma preferisce un regionale, se possibile anzi in terza classe, vicino alle biciclette.
E mentre sale gli scalini dello scompartimento, mi immagino quest’uomo qualunque, quest’uomo senza qualità, voltarsi e guardare la banchina, scorgere sua moglie Louisiana, Ivo Iaconi, Suso, persino Boban e Maldini, tutti quanti nuovamente giovani, nuovamente felici.
Gli fanno cenni di congedo con insperato affetto e, mentre il treno parte, lo salutano con la mano.