I Balcani rappresentano da sempre un’area nevralgica per gli equilibri dell’Europa. Dalla disfatta dell’impero ottomano al crollo dell’impero asburgico, i singoli Stati facenti parte dell’area non sono stati in grado di sopperire al vuoto di potere lasciato dalle antiche dinastie che si sono susseguite durante i secoli di storia.
Dopo la fine della Jugoslavia creata dal maresciallo Tito, gli attori internazionali professarono un’apparente peacebuilding che, dopo anni, è apparsa alquanto fallimentare. Gli esempi calzanti di quanto accennato si riflettono in Bosnia Erzegovina ed in Kosovo.
Entrambi questi Paesi sono retti da una classe politica che, solo all’apparenza, si inserisce all’interno di un sistema di istituzioni democratiche, risultando in realtà incapace di compiere sostanziali progressi. Il clientelismo locale, la crisi generale che erode la parte economica e, ultimamente, la pandemia di Covid-19 stanno mettendo in ginocchio governi che stentavano a sopravvivere.
I Balcani dopo le guerre
Il professore Roberto Belloni, esperto di relazioni internazionali, all’interno del suo libro “I Balcani dopo le guerre” analizza il fatto che, nonostante l’apparente stabilità governativa, lo schieramento dei Paesi occidentali ha favorito classi politiche che si sono rivelate poco efficienti e con esigue legittimità a livello locale. Se a tutto ciò si aggiungono un sistema clientelare ed un livello di corruzione che non ha eguali in Europa, il risultato non può di certo essere soddisfacente. Da ultimo, ma non per importanza, vi è il problema lavorativo, che costringe molti giovani dell’area ad abbandonare i propri luoghi di origine per tentare di trovare la fortuna altrove: il cuore dell’Europa e gli Stati Uniti sono le mete più agognate.
I tentativi positivi da parte dell’Unione Europea, soprattutto dall’inizio del XXI° secolo, sono apparsi troppo deboli, in quanto si sono scontrati sia con la poca convinzione dei leader locali a sposare i principi di democratizzazione sia con lo scarso coinvolgimento dei cittadini. Le classi dirigenti locali hanno optato maggiormente per l’arricchimento dei singoli, piuttosto che sull’investimento dei fondi per il bene comune.
Le pulsioni generali delle fasce popolari di quest’area toccano varie tematiche, rappresentate dall’euroscetticismo, dalla diffidenza verso le istituzioni e la politica, ma anche dall’insoddisfazione dei cittadini, ormai stanchi della corruzione dilagante della classe politica locale e disillusi dalla comunità internazionale. Quest’ultima, ai loro occhi, è apparsa distaccata, consenziente e quasi indifferente al miglioramento della situazione regionale.
In tempo reale
Nell’area stanno aumentando sempre più le spinte separatiste da parte di Milorad Dodik in Bosnia Erzegovina, ma anche i sentimenti euroscettici, anche a causa degli scarsi fondi, destinati a questa zona, da parte del piano Next Generation dell’Unione Europea. Il rischio è questi ultimi permettano solo l’acutizzarsi delle differenze tra i Paesi membri dell’UE e coloro che aspirano ad entrarci.
I Balcani occidentali possono essere visti con una duplice lente: da un lato la periferia dell’Occidente e, dall’altro, un intreccio di interessi e strategie geopolitiche di attori esterni all’area. I finanziamenti che convergono in quest’area sono tra i più variegati: per ciò che concerne la tecnologia le imprese americane, russe e cinesi la fanno da padrone; diverse ONG occidentali supportano vari interessi locali, mentre dal punto di vista religioso, Arabia Saudita e Turchia costituiscono i partner principali.
Il cuore dei Balcani è rappresentato da Belgrado, metropoli di livello europeo, su cui convergono i più importanti interessi commerciali della zona. Questa città rappresenta, ancora oggi, il crocevia di quella che fu l’ex Jugoslavia.
L’essenza stessa dell’area balcanica è rappresentata da una dicotomia legata al passato ed alla tradizione, ma rivolta, allo stesso tempo, verso il futuro e l’innovazione: immergendosi nell’attualità non è difficile notare i veli tradizionali della religione musulmana di alcune donne di Prizren, accanto ai vestiti all’ultima moda delle ragazze di Sarajevo.
La globalizzazione non ha terreno fertile in questa regione, in quanto le diverse identità di ogni singola entità locale convivono alla stregua dei contrasti, delle lingue, delle religioni e degli alfabeti, che caratterizzano e conservano la multiculturalità dei Balcani.
Sentimenti guardinghi
Nel clima geopolitico instabile che regna oggigiorno nell’est dell’Europa, in seguito al conflitto tra Kyev e Mosca, è importante ricordare che Belgrado, storicamente, si è sempre mostrato “sincero e amichevole” nei confronti del Paese dell’orso, come dichiarato dal presidente serbo Vucic. A prova di tale unione e dei forti legami con la Russia, la Serbia non ha mai imposto sanzioni nei confronti del governo di Putin, pur ribadendo lo sbaglio di violare l’integrità territoriale di un Paese, quale l’Ucraina. Belgrado, tuttavia, ha mantenuto buoni rapporti anche con Kyev, la quale, all’epoca del conflitto kosovaro, non aveva riconosciuto il governo di Pristina. Nel 2016 ed all’inizio del 2022, invece la cooperazione militare Mosca-Belgrado è stata incrementata, perché questo ultimo si è dotato di sistemi missilistici ed armi acquistate dal primo.
I dubbi e le indecisioni serbe sono caratterizzati dal fatto che, se da un lato vi è in gioco l’entrata nell’Unione Europea, dall’altro vi è il supporto russo, militare ed economico in primis. Basti pensare che il fabbisogno energetico interno di Belgrado, per quanto riguarda il gas ed il petrolio, è garantito da Mosca per l’89%.
Elezioni a Belgrado
Se per la maggior parte dei Paesi democratici le elezioni sono uno strumento capace di fornire speranza, per la Serbia non sembra essere stato così. Esse hanno rappresentano l’input per favorire conflitti, divisioni e scontri. Durante il periodo pre elezioni, nell’area con a capo l’aquila bianca a due teste, si era instaurato un clima di paura. I sentimenti che circondavano Belgrado apparivano costernati da situazioni ricche di decadenza politica e sociale, alimentate da una forte incertezza.
Nonostante i pronostici non fossero dei migliori, il partito progressista serbo (SNS), con a capo Aleksandar Vucic, è stato riconfermato per un secondo mandato, con il circa il 60% delle preferenze. L’attuale presidente, all’interno della politica del paese dal 2012, è riuscito ad essere sempre più presente nella società serba. Il ruolo del capo dello Stato è stato riscritto, non essendo più rilegato a mero formalismo come era stato in precedenza.
Le rassicurazioni di vittoria, promosse dallo schieramento di centro-destra in un modo inizialmente si pensava fossero frutto di una macchina propagandistica, hanno avuto la meglio. Ciò che ha prevalso è stata la stabilità che il leader di SNS ha cercato di garantire nel suo precedente mandato: vaccini, posti di lavoro, prodotti alimentari, gas, petrolio, pace e stabilità. Le idee di Vucic sembrano riflettere quelle della maggioranza del popolo serbo: neutralità in merito alla guerra russo-ucraina. Il bilanciamento mantenuto, tra UE e Russia, ha favorito Vucic, il quale si è accaparrato sia le simpatie degli europeisti che quelle dei filorussi.
Nonostante la vittoria alle elezioni, per la formazione di un governo forte, l’esponente del partito progressista necessita di alleati che sono da ricercare nelle file del partito socialista serbo. Nelle prossime settimane sapremo se l’opposizione, che ha protestato per brogli elettorali ed altre irregolarità, otterrà la richiesta che le elezioni vengano ripetute oppure il presidente Vucic manterrà saldo il suo ruolo, che gli garantisce continuità sia all’interno della Serbia, ma anche nell’intera regione dei Balcani.
Bosnia Erzegovina
Da un’attenta analisi, uno dei Paesi europei più fragili, che potrebbe essere minacciato dalle mire espansionistiche di Putin, estese al conflitto Mosca-Kyev, potrebbe essere la Bosnia Erzegovina. La giustificazione di tale preoccupazione è confermata dall’invio di 500 unità, che si aggiungono alle già 600 presenti nell’area sotto la giurisdizione di Sarajevo, e che vanno ad incrementare la missione “Althea”.
All’interno dello stato bosniaco le tensioni aumentano, anche se tutto sembra tacere: i vecchi revanscismi sembrano riemergere ed un esempio è rappresentato dalla Republika Srpska. Le minoranze bosniaco-serbe e bosniaco-croate hanno espresso il loro appoggio al governo di Mosca per l’invasione all’Ucraina.
Questo clima di instabilità potrebbe far scattare l’invio di ulteriori forze appartenenti alla NATO, che si andrebbero a sommare a quelle già presenti. Secondo gli esperti di sicurezza il numerico di militari da raggiungere per garantire la totale sicurezza della zona si attesterebbe sulle cinquemila unità.
Montenegro
Il Paese con capitale Podgorica rappresenta, per Mosca, un satellite dove molti oligarchi vanno a trascorrere momenti di villeggiatura sulle ridenti coste adriatiche, ma anche un posto che permetterebbe di eludere le sanzioni lanciate contro il governo di Putin. Il Montenegro è membro della NATO ma gli elementi in comune con la Serbia sono molti: religione, esercito e servizi segreti.
Kosovo
In seguito alle tensioni generali, Pristina ha richiesto di istituire una base militare permanente sul suo territorio e fatto appello a Washington per entrare nell’Alleanza Atlantica. Sull’esempio di questa giovane repubblica, anche l’ex Ministro dell’Energia bosniaco, Bajrovic, ha avanzato la stessa richiesta. In caso di avallo da parte degli Stati Uniti, la Serbia verrebbe isolata nel cuore dei Balcani e dovrebbe risolvere il suo più grande dubbio: orientarsi verso Occidente o continuare la partnership con Mosca.
La Cina
Pechino non ha legami storici con l’area balcanica ma, soprattutto negli ultimi anni, è riuscita ad incentivare notevolmente la propria presenza nella regione. Il gigante asiatico non ha mai riconosciuto il governo di Pristina e, per tale motivo non ha scambi commerciali con tale Paese. Tuttavia l’area balcanica viene inclusa dal Paese del dragone, nel progetto della nuova Via della Seta, che passa anche dall’acquisizione del porto greco del Pireo.
Gli affari cinesi all’interno dei Paesi balcanici si riferiscono anche alle costruzioni: la ferrovia Belgrado-Budapest e l’autostrada che permetterebbe un collegamento diretto dalle coste adriatiche del Montenegro al cuore della Serbia. All’interno dei contratti sottoscritti con Pechino vi sono clausole molto vantaggiose per il gigante asiatico, in caso di insolvenza delle rispettive controparti.
La Serbia, ad esempio, durante la pandemia non è stata supportata adeguatamente dai Paesi occidentali. Approfittando di questa mancanza, il governo di Xi Jinping è sceso in campo per fornire attrezzature mediche di contrasto al virus del Covid-19. Ciò ha permesso un rafforzamento dell’asse Belgrado-Pechino, consolidando una nuova partnership. A differenza degli altri Paesi, Pechino non mira ad influenzare le scelte politiche di un Paese o a conquistare le masse. L’obiettivo del gigante asiatico è quello di essere indispensabile in settori strategici.
La Russia
Mosca viene considerata, da sempre, la potenza capace di tutelare gli interessi delle popolazioni slavo-ortodosse dell’area balcanica. In Paesi quali Serbia, Montenegro e Macedonia del Nord, essi rappresentano la maggioranza, mentre in Bosnia Erzegovina costituiscono una compagine minoritaria.
Sicuramente oggigiorno, i temi forti professati una volta, quali ortodossia e panslavismo, rappresentano concetti leggermente in declino. Un settore per cui Mosca detiene il monopolio nell’area è costituito dai rifornimenti energetici. Tuttavia il disturbo alle politiche attuate dalla NATO rappresentano un atteggiamento persistente nei Paesi presenti nella regione balcanica.
La Turchia
Se Putin rappresenta un modello di riferimento per i Paesi slavo-ortodossi, Erdogan lo è per le comunità musulmane. Queste sono radicate all’interno di Bosnia Erzegovina, Albania e Kosovo, dove compongono la maggioranza, mentre in Serbia, Macedonia del Nord e Montenegro formano la minoranza. Ankara sovvenziona questi gruppi politico-sociali.
Paradossalmente Belgrado appare molto più vicino al governo di Erdogan di quanto possa sembrare. La posizione geografica che la capitale serba riveste nel cuore dei Balcani fa gola al Paese erede delle tradizioni ottomane. Sulla base dei legami storici e religiosi, l’alleato maggiore della regione appare l’Albania. Questo è confermato anche dalla più grande moschea che verrà costruita nell’area balcanica, che troverà posto tra i terreni di Tirana.
Conclusioni
Non è difficile capire che davanti al fallimento dell’Europa vi sono Russia, Cina e Turchia, le quali aspettano il momento opportuno per stendere i loro tentacoli e riuscire dove altri hanno mancato.
Se Bruxelles ha sempre professato la difesa dei diritti individuali e collettivi, uniti al miglioramento delle istituzioni democratiche, Ankara, Mosca e Pechino si fanno promotori di modelli autoritari, riluttanti dei principi democratici. Il benessere delle popolazioni locali è secondario, in quanto l’obiettivo principale di queste potenze, è rivestito dagli introiti commerciali che ne aumentano, in modo esponenziale, l’egemonia nell’area.
Forse l’opportunità di entrare nell’Unione Europea potrebbe risolvere, per i Paesi balcanici, le faglie conflittuali locali, consolidando un’economia che appare, tutt’oggi, ancora troppo fragile. Così come l’antenata dell’UE, la CEE, stabilizzò i Paesi dell’area europea appena usciti dal secondo conflitto mondiale, allo stesso modo potrebbe succedere lo stesso oggi, con questi nuovi attori.