«Sulla destra brilla Adriana che dato che è buona e capace è la nostra capitana»
È un verso del canto che le ragazze del Lomas Athletic Club, una delle squadre di hockey prato più titolate d’Argentina, avevano composto per la loro compagna e leader. Adriana Inés Acosta quelle parole non le ha mai potute sentire, perché dal 27 maggio 1978 è una desaparecida. È una delle 30mila persone sequestrate e uccise dagli apparati di sicurezza dello Stato argentino durante la dittatura militare che ha retto il Paese sudamericano tra il 1976 e il 1983. Sindacalisti, impiegati, operai, professionisti, studenti, ma anche sportivi. Secondo i numeri, in costante aggiornamento, i deportistas federados, cioè gli affiliati a una federazione sportiva al momento del loro sequestro, sono più di 200. Tra di loro anche Adriana Acosta.
Classe 1956, nativa di Lomas de Zamora, a sud di Buenos Aires, è cresciuta in una casa della classe media in Calle Castelli 1396 all’angolo con calle Mentruyt, prima figlia di Oscar e di Teresa Bernardi, entrambi immigrati italiani di seconda generazione. «Abbiamo vissuto un’infanzia felice – spiega dall’Argentina Leticia, sorella minore di Adriana – condividevo la stanza con lei e con mio fratello minore Marcelo. Facevamo la vita del barrio, giocavamo molto per strada, ma andavamo anche in un club, dove imparavamo per esempio a disegnare».
L’amorevole Adriana Acosta
Adriana, grazie ai sacrifici dei suoi genitori, frequenta il prestigioso istituto bilingue Balmoral, dove spicca non solo per il suo rendimento scolastico. «Oltre a essere stata la migliore studentessa ed essere stata scelta come miglior compagna (un riconoscimento dato a chi si fosse dimostrato attento ai propri compagni n.d.R) – racconta la sorella – già da ragazza ad Adriana piaceva aiutare. Mi hanno raccontato che si proponeva per dare una mano a chi aveva dei voti bassi per recuperarli e spesso erano i professori a chiedere ai compagni di farsi aiutare da lei».
«Fuori da scuola – aggiunge Leticia – collaborava nei fine settimana con una chiesa cattolica vicino a casa assistendo le persone povere. Dopo essersene andata dava una mano in due orfanotrofi, portava cibo ai bambini, giocava con loro. Una volta invitò alcune bimbe al compleanno di mio fratello. Era una persona allegra, vivace, parlava con tutti».
Adriana Acosta, la Capitana
Lì tra le mura della scuola privata bilingue, fondata nel 1959, scopre il suo grande amore, l’hockey prato. «Il suo primo allenatore a scuola – ricorda Leticia, anche lei giocatrice di alto livello – era tecnico anche al Lomas Athletic Club, così un piccolo gruppo cominciò ad andare al Lomas. Lei era stata sempre una grande sportiva, per esempio nell’atletica». In uno dei migliori e più antichi club argentini Adriana gioca in attacco, come ala destra. È la capitana della formazione giovanile che nel 1972 conquista il titolo nazionale, lo stesso anno in cui esordisce nelle selezioni giovanili albiceleste. Nel 1973 è nella Nazionale maggiore, nella squadra soprannominata decenni dopo Las Leonas che affrontano gli Stati Uniti e nel 1974 viene inserita nella lista delle pre-convocate per i Mondiali di Cannes.
«Le sue compagne – ricorda la sorella – dicevano che era una “componedora“. Quando c’era una discussione tra i vari gruppi lei provava sempre a comporre, a sistemare». «Si portava dietro i libri, la mazza da hockey e la borsa – racconta Leticia – un giorno salì in autobus con la mazza per andare in facoltà. Quando si ricordò che non andava a giocare lanciò la mazza a mia madre, che era lì, attraverso la finestra».
Adriana Acosta, la militante
In Francia non ci andrà mai, anche se continuerà a essere una hockeista di alto livello fino al 1975, partecipando anche a un tour del Lomas in Inghilterra. Oltre allo sport Adriana ha infatti due altre passioni: l’impegno politico nel Partido Comunista Marxista Leninista e lo studio. Della sua militanza la famiglia all’epoca non sa nulla. «Lei non ci aveva mai detto niente – dice Leticia Acosta – la prima volta che ce ne siamo resi conto è stato quando, andando nelle associazioni dei diritti umani, abbiamo incontrato il papà di una ragazza, anche lei desaparecida e anche lei del PCML. In verità poi non abbiamo mai incontrato nessuno che abbia militato con lei, per il semplice fatto che sono stati tutti uccisi. L’unica è stata Cristina Torti, apparsa anche nel documentario su mia sorella, che era stata con Adriana al centro di detenzione clandestino “El Banco”».
La hockeista milita, mentre frequenta l’Università. «Si è iscritta a Scienze dell’Educazione, quando c’era al governo Perón – ricorda la sorella – ha frequentato per due anni ed è stata anche “ayudante de catedra” (una sorta di assistente n.d.R) e quando chiusero per ragioni politiche la facoltà, entrò a Medicina, trasferendosi a La Plata. La lasciò nel 1977 per Scienze Economiche quando vide tante persone arrestate, uccise e sequestrate intorno a lei». Sì, perché nel 1976, il 24 marzo, la storia dell’Argentina è cambiata.
La guerra sporca
Dopo un periodo di instabilità e tensioni sociali una giunta militare guidata dal generale Jorge Rafael Videla prende il potere con un golpe. È l’inizio della più sanguinosa dittatura della storia del Paese. Arresti, esecuzioni sommarie, sequestri di oppositori, attivisti o semplici militanti. Come Adriana. «Quando si iscrisse a Economia tornò a vivere a Lomas de Zamora, ma in un’altra casa e poi in una pensione. I miei genitori la incontrarono e gli proposero di andare via in Brasile. Lei rifiutò, “Non faccio niente” disse». In quei mesi, pur frequentando l’università e lavorando come contabile, continuava ad aiutare gli altri, nonostante il pericolo e la paura per i genitori, con cui si teneva in contatto soprattutto per ragioni pratiche, per esempio per avere vestiti. «In quel periodo scoprimmo dopo che qualcuno aveva cominciato a chiedere di mio padre, di noi, delle nostre idee», ricorda Leticia.
Il 27 maggio 1978, a pochi giorni dall’inizio del Mondiale di calcio, un “grupo de tareas“, un gruppo d’intervento la sequestra a Villa Devoto, mentre sta pranzando in una pizzeria, la ‘Tuerca de Pérez‘, «mia sorella chiamava tutti i giorni – spiega Leticia – e quando quel giorno non ricevemmo la sua chiamata, capimmo che gli era successo qualcosa». «L’indomani – ricorda – venne a casa nostra una ragazza, che viveva nella sua stessa pensione. C’era il nostro indirizzo su una cartolina e ci disse che Adriana era andata a mangiare una pizza e non era più tornata. Da lì è iniziata la ricerca».
«Alcuni giorni dopo – prosegue – ci è arrivata una telefonata di una ragazza che ha voluto rimanere anonima e ci diceva che Adriana stava bene e di fare “habeas corpus”. I miei zii iniziarono a fare indagini perché i miei genitori avevano paura». La ricerca passa per tutti i contatti possibili, come il vescovo di Lomas de Zamora che gli chiede soldi per indagare e il fratello dell’architetto che sta ristrutturando casa Acosta, che è il pilota dell’aereo di Jorge Rafael Videla, il capo della giunta militare. Le risposte sono sempre più o meno le stesse: «Adriana non c’è» o «Forse è scappata con qualche ragazzo all’estero».
Per sapere la verità ci vorranno quasi dieci anni e non basterà la fine della dittatura. «Nel 1984 andammo in Brasile a Rio de Janeiro con i miei genitori – ricorda Leticia – c’era la possibilità di incontrare Amnesty International. Lì un certo Gonzalez ci scrisse una lettura in cui ci confermò quello che sapevamo del suo destino. Era stata internata in un centro di detenzione “El Banco“, nella zona di Matanza. Era stata torturata e a luglio dopo un’iniezione era caricata su un aereo per essere gettata nel Rio de Plata». La memoria di Lechu, come la chiamavano tutti, è viva.
La memoria di Lechu vive
Ad Adriana dal 2009 è dedicato il campo da hockey su prato del CENARD, il Centro de Alto Rendimiento dello sport argentino e dal dicembre 2021 porta il suo nome l’angolo dove lei ha vissuto tra Calle Castelli e Mentrut. Più importante forse è che l’impegno sociale di Adriana continua. Grazie all’ONG “El Puente Posible”, associazione di Lomas de Zamora, presieduta da Martin Almaraz che dal 2009 promuove l’inclusione di donne e adolescenti attraverso l’hockey su prato, una realtà che dal 2011 organizza un torneo che porta il nome di Adriana, una Leona, in campo e fuori.
«È tanto importante il lavoro che fanno sui diritti – conclude Leticia Acosta – perché per ai ragazzi cresciuti in democrazia è importante far capire che la dittatura può tornare. E non deve. Nunca más, mai più».