(SPOILER ALERT: questo articolo contiene spoiler sulla serie The Book of Boba Fett)
Dei sette episodi che compongono la serie The Book of Boba Fett, il migliore è senza dubbio il quinto. Ed è anche quello in cui non compare Boba Fett. Qualcosa non va in quella galassia lontana lontana.
È forse già finita la magia creata da The Mandalorian, la serie che scegliendo di concentrarsi su personaggi originali ha riconquistato molti fan di Star Wars ormai disillusi? No, quella c’è ancora. Infatti il quinto episodio di qui sopra è incentrato proprio sul Mandaloriano. Il problema è tutto il resto.
Nella trilogia originale, il cacciatore di taglie Boba Fett compariva in poche scene, non parlava e non se ne vedeva mai il volto, sempre coperto da un elmo. Era un mistero. Eppure ottenne una fama inesplicabile tra i fan, che si affezionarono subito alla sua aura tenebrosa e vollero sapere di più sul suo personaggio.
Film prequel e serie animate contribuirono a tracciare le origini di Boba Fett. D’altra parte, con la morte del personaggio in Il ritorno dello Jedi, non si poteva pretendere un sequel. Invece, proprio nel corso della seconda stagione di The Mandalorian, il misterioso cacciatore di taglie fu resuscitato. Interpretato dall’attore neozelandese Temuera Morrison, Boba Fett ottenne una propria serie tv, spin-off di The Mandalorian, distribuita su Disney+.
Tramite un abbondante uso dei flashback, la serie racconta la trasformazione di Boba Fett da “bounty hunter” a signore feudale di Tatooine. Alle classiche atmosfere di Star Wars, che rimandano al western e ai film di cappa e spada giapponesi, si è aggiunta una spolverata di gangster movie: il protagonista, impegnato a consolidare la sua autorità, ha a che fare con politici corrotti, cartelli della droga e bande di predoni.
Se vi sembra che non ci sia una trama in tutto questo, è perché non c’è. Il racconto soffre la mancanza di una direzione precisa e sembra non saper bene come sfruttare la popolarità del suo protagonista, di fatto snaturandolo. A Morrison non manca il talento, ma a poco serve la bravura interpretativa se il personaggio da impersonare è spogliato di tutte quelle caratteristiche che lo avevano reso caro ai fan. Ormai è Din Djarin, ovvero il mandaloriano per antonomasia, a essere più Boba Fett di Boba Fett.
Certo, non mancano momenti epici, in particolare negli ultimi tre episodi. Abbondano i personaggi iconici, come Fennec Shand (Ming-Na Wen) e lo spietato Cad Bane, noto soprattutto ai fan della serie animata The Clone Wars. Jennifer Beals e Danny Trejo spiccano anche in ruoli secondari. E soprattutto, oltre al ritorno del Mandaloriano e del popolarissimo Baby Yoda, a far saltare sulla sedia gli spettatori ci sono i cameo di Mark Hamill e Rosario Dawson nei panni, rispettivamente, di Luke Skywalker e Ahsoka Tano.
Questo miscuglio di nostalgia e strizzate d’occhio ai fan di lunga data, però, non è abbastanza. Sarà anche bello rivedere le distese sabbiose di Tatooine, teatro della trilogia originale. Per carità, è divertente vedere varianti di personaggi storici, come i cugini di Jabba The Hutt o Krrsantan, il guerriero wookie che è praticamente una versione “cattiva” di Chewbacca. Ed è pure interessante scoprire la storia dei predoni Tusken. Ma tutto questo non sostituisce un intreccio avvincente.
La miniserie The Book of Boba Fett avrebbe meritato un nome più onesto: anziché il libro, la parentesi di Boba Fett. Insomma, un titolo che dichiarasse fin dall’inizio il suo destino di tappa intermedia tra la seconda e la terza stagione di The Mandalorian. Ma soprattutto avrebbe meritato una scrittura più curata e una storyline più solida. Soprattutto se, come sembra essere il caso, si pianifica una seconda stagione che dovrà necessariamente essere migliore della prima. Perché il solo fan service non basta a rendere valida una serie tv, nemmeno una che non è fatta per essere un prodotto a sé stante.
Anzi, in questo modo si mette in pericolo anche la saga principale, che ormai non è più quella della trilogia originale di Star Wars, ma quella del Mandaloriano interpretato da Pedro Pascal. A questo personaggio, e all’amatissimo compagno di avventure Baby Yoda, va il merito di aver dato nuova linfa all’universo creato da George Lucas.
Però sarebbe meglio non correre il rischio di vederlo crollare sotto il peso della miriade di serie spin-off annunciate: dopo Boba Fett, sarà il turno di Ahsoka Tano e di Obi-Wan Kenobi. È davvero necessario che tutte le loro storie siano interconnesse? In questa età dell’oro della fantascienza, non sarebbe meglio correre dei rischi e puntare su qualcosa di nuovo, anziché rifugiarsi nel già visto? La mancanza di personalità di The book of Boba Fett avrà insegnato agli autori a non trasformare i loro personaggi più iconici in eterni camei, in easter eggs, in momenti ampiamente anticipati dai fan che non potranno mai valere quanto una trama originale?