Il 1° Marzo 1938 ci lasciava Gabriele D’Annunzio: delicato poeta, eroico combattente, fine oratore e artista della parola. Dopo di lui, più nessuno che potesse eguagliare la genialità, l’estro, l’indipendenza e la voglia di distinguersi nel mondo dell’arte e della letteratura. Nell’anniversario della sua morte però, vogliamo parlare di una passione spesso tralasciata del Poeta. Un aspetto di sé nascosto sotto i veli sensuali dei suoi romanzi, o all’ombra dei rami scomposti della vegetazione che adorna il parco del Vittoriale degli Italiani, o ancora sepolto sotto i pettegolezzi dei mille amori e delle mille romantiche narrazioni di cui si circondò all’apice del suo successo. Parliamo dei suoi cani: code scodinzolanti e occhi fedeli, che lucidi e vivaci lo aspettavano tornare alla Prioria, reduce da qualche drammatica impresa.

Tra le foglie del parco, sulla destra mezze nascoste, le lapidi: di quelle di Danzetta, Zan Zan e Krissa si vedono ancora i nomi scolpiti. Più in là, dietro la casa e oltre il portale sul retro, il canile. Lì D’Annunzio era solito allevare e prendersi cura delle sue razze preferite: levrieri, molossi e alani. Nella Prioria, numerose le foto che lo ritraggono sorridente in compagnia dei suoi amici, un amore viscerale che D’Annunzio, al pari di un faraone egizio, sperava di portare con sé anche dopo la morte.

E’ proprio un levriero che ci accoglie alla Prioria, incastonato nello stemma che reca la frase: “Mai più fermo, mai più fedele”. Un inno alla libertà di pensiero e all’indipendenza degli uomini.

Un ambizioso progetto

Il Vate scriveva all’amico architetto Maroni, nel 1921 durante la progettazione del Vittoriale:

Ti prego di venire con tuo agio, cosicché possiamo parlare senza fretta. Ho pensato al mausoleo dei cani, l’ho interamente immaginato. Sarà, nel giardino, il simbolo del Nulla

Purtroppo il mausoleo non fu mai costruito e alcuni degli amati levrieri dannunziani riposano ora nella terra del parco del Vittoriale, accompagnati nel riposo dalla poesia: “Qui ciaggiono i miei cani.” La trascrisse nel 1935 mentre passeggiava nel parco, e lo fece tra le pagine spiegazzate di un volumetto dell’ammiraglio francese Jurien de la Graviere.

Qui giacciono i miei cani
gli inutili miei cani,
stupidi ed impudichi,
novi sempre et antichi,
fedeli et infedeli
all’Ozio lor signore,
non a me uom da nulla.
Rosicchiano sotterra
nel buio senza fine
rodon gli ossi i lor ossi,
non cessano di rodere i lor ossi
vuotati di medulla
et io potrei farne
la fistola di Pan
come di sette canne
i’ potrei senza cera e senza lino
farne il flauto di Pan
se Pan è il tutto e
se la morte è il tutto.
Ogni uomo nella culla
succia e sbava il suo dito
ogni uomo seppellito
è il cane del suo nulla.

Gabriele D’Annunzio però aveva altri grandiosi progetti per i suoi compagni di vita, come dichiarò durante un’intervista al Kansas City Sun: voleva scrivere un nuovo libro per rendere omaggio a questi animali meravigliosi, dal titolo “Vite dei cani illustri”. Non lo avrebbe mai realizzato.

“l libro che sto scrivendo ora, che sarà pubblicato a novembre, parla dei levrieri, i cani che amo così tanto. Lo intitolerò “Vita dei cani illustri”. Tutta la mia vita è stata intrecciata con la vita dei miei levrieri. L’immaginazione si affida al levriero come ad un genio benevolo. Ho rilevato la loro strana visione soprannaturale nella loro inspiegabile resilienza e nell’agitazione in certi momenti della giornata e in particolari luoghi. Ho vissuto con loro così tanto che mi sembra di aver capito le loro conversazioni e le loro piccole astuzie”

Il parco del Vittoriale dall’alto

Antica passione

Sappiamo che l’amore di D’Annunzio per i suoi levrieri è durato fino alla sua morte, e oltre. Ma quando è iniziato precisamente?

Ebbene fu il padre di D’Annunzio, Francesco Paolo Rapagnetta, a farglieli scoprire, regalandogli Max XV, un vivace e alquanto dispettoso levriero, che seguirà il poeta anche a Roma. Max provocò al giovane Gabriele non pochi grattacapi, a causa del suo carattere scontroso. Certo, era un giocherellone e un ottimo compagno di avventure per i bambini che spesso ne erano affascinati, ma costituiva, ahimè una terribile sciagura per ogni altra tipologia di animale, soprattutto per gli altri cani. D’Annunzio dovette persino giustificarsi in questura, a causa dei denti affilati di Max che avevano impietosamente insistito su un bracco incontrato per caso, e poi su tutti gli altri individui pelosi e non, accorsi per mettere fine alla sanguinosa vicenda.

E’ proprio durante il periodo romano che il Vate, allora collaboratore de La Tribuna, all’interno della sua rubrica sullo sport, decanta le qualità della razza preferita, affiancandola alla bellezza delle donne della città eterna: “…grandi cani lucidi come la seta, smilzi, dalle gambe nervose, dal muso di luccio, dal ventre roseo, dal fianco palpitante, come voi ardenti, come voi audaci, come voi infedeli.”

Compagni d’avventura

Alla Capponcina, in Firenze, D’Annunzio aveva un allevamento di tutto rispetto: 16 Greyhound, 11 Borzoi e uno Spaniel, Teliteli. Fece costruire per loro una grande struttura dove li accoglie, li nutriva e li curava personalmente, a volte anche in caso di ferite da taglio, ove il poeta stesso applicava punti di sutura. In quei luoghi D’Annunzio si fece voce anche dei diritti di questi animali, e delle pene da riservare a chiunque facesse loro violenza. Nelle cronache americane infatti, risuona l’eco di un processo in cui il Vate costituiva parte lesa nella morte di un suo cucciolo, Magog, ucciso a bastonate da un colono. Il processo si concluse con 10 giorni di detenzione al colpevole e una salata multa.

Jarro ospite del Vate alla Capponcina con uno dei levrieri del poeta. Mario Nunes Vais/Wikimedia Commons

D’Annunzio era anche appassionato di imprese sportive che avessero come protagonisti i suoi amati cani, come il coursing: una modalità piuttosto violenta di caccia a vista, in cui i cani rincorrevano una preda, solitamente una lepre. Per questa disciplina e per le loro corse, D’Annunzio faceva costruire armadi dove tenere le coppe premio delle numerose vittorie e seguiva i suoi amati quadrupedi in giro per l’Europa, per presenziare alle diverse manifestazioni sportive.

Una volta in Francia, D’Annunzio fu costretto a vendere all’asta i suoi animali per saldare i debiti, ma non si perse d’animo. Poco tempo dopo possedeva già un canile nel pressi di Parigi insieme alla sua amante, il soprano Nathalie de Goloubeff: i levrieri dannunziani divennero in breve tempo veri e propri campioni nel coursing.

Nathalie de Goloubeff con uno dei levrieri di D’Annunzio – Gabriele D’Annunzio/Wikimedia Commons

Guardiani fedeli

Sarà solo con la morte che D’Annunzio riuscirà a separarsi dalla sua passione per i cani, per le linee sinuose dei corpi, per il manto lucido e le orecchie puntute. Il mausoleo dei cani non verrà costruito, ma d’Annunzio sarà destinato a riposare nel suo, che dal colle del Vittoriale guarda il Lago di Garda, così bianco e solenne, la sua tomba al centro di decine di altre tombe dedicate alle personalità illustri dei militanti che D’Annunzio decise di premiare con la vicinanza eterna.

Ma bianchi sono anche i cani messi lì a guarda dall’artista Velasco Vitali. Installati nel marzo del 2013 in occasione del 150° anniversario della sua morte, sono un inno all’amore incontrastato di D’Annunzio per i suoi animali.

Cinque cani in ferro e cemento armato, così bianchi e luminosi, cinque guardiani: alcuni riposano, altri puntano una preda immaginaria, altri annusano curiosi in qualche angolo del mausoleo. Un monumento che sicuramente riporta alla mente un D’Annunzio sensibile e umano, così lontano dalla figura stoica e solenne che siamo abituati a immaginare e che emerge dai suoi scritti e dalla sua vita inimitabile.

I lunghi musi

Nella ricorrenza della morte del Vate, voglio consigliare un libro, utile ad approfondire questo lato meno conosciuto, ma altrettanto prezioso, del poeta.

Pubblicato nel luglio del 2021, è un lavoro minuzioso di scoperta e di studio di tutti gli scritti, le foto, le vicende e gli articoli che hanno costellato da vita del Vate in cui è presente un riferimento ai suoi amati cani. Dalla fasciatura del cucciolo, alla triste decisione di sacrificare alcuni dei piccoli per salvaguardare la madre, ai successi nel coursing, alla tragica vendita all’asta in vista della partenza per la Francia. Ma anche i rapporti con le varie amanti cui fa da sfondo la cura dei canili e la preparazione alle gare e alle esposizioni, le amicizie, le scelte economiche, i trasferimenti, i nuovi inizi e il successo.

Il libro è “I lunghi musi di Gabriele D’Annunzio” di Sonia Ragno e Angelo Lodovico Anselmi, edito da M-House Editrice.