«Qualcuno ha detto che la pace nel mondo era nelle nostre mani, ma tutto quello che abbiamo fatto è stato giocare a ping pong»
[Forrest Gump]
La XXIVª edizione dei Giochi Olimpici invernali di Beijing 2022 è giunta al termine domenica 20 febbraio, dando il via al percorso di avvicinamento all’edizione nostrana di Milano-Cortina 2026. L’Olimpiade cinese è proseguita nel solco tracciato da quella di Tokyo 2020; e se l’edizione giapponese è stata la migliore di sempre in termini di medaglie, anche quella cinese non è stata da meno, diventando la seconda, dopo Lillehammer 1994, per quanto riguarda i Giochi invernali. In particolare, è stata Arianna Fontana a tingere di storico le due settimane olimpiche di febbraio. La campionessa dello short track è stata capace di conquistare una medaglia d’oro, una d’argento ed una di bronzo, che l’hanno fatta diventare l’atleta donna italiana più titolata di sempre ai Giochi invernali e la più titolata della disciplina.
Il palcoscenico dove la pattinatrice di Sondrio ha scritto la storia da protagonista è stato il Capital Indoor Stadium di Pechino, costruito nel 1968 e ristrutturato per le Olimpiadi estive del 2008, quando ospitò gli incontri di pallavolo. Questa arena coperta, però, è stata anche la sede, nel 1971, di alcune storiche partite di esibizione tra la nazionale di ping pong cinese e quella statunitense, incastonate nella cosiddetta “diplomazia del ping pong”. Una serie di eventi che contribuì alla distensione dei rapporti diplomatici tra gli USA e la Repubblica Popolare Cinese, che erano completamente assenti dalla vittoria della guerra civile del 1949 da parte del Partito Comunista.
La diplomazia sportiva
Nella storia sono numerose le volte in cui lo sport è stato usato come strumento di diplomazia. L’ultimo in ordine di tempo, andato in scena alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang 2018, in Corea del Sud. Quando durante la cerimonia di inaugurazione le delegazioni dei due paesi, divisi dalla guerra fratricida del 1950-1953, sfilarono sotto un’unica bandiera raffigurante l’intera penisola coreana in blu su sfondo azzurro.
In questo gioco diplomatico dello sport, il ping pong ha giocato il suo ruolo in diverse occasioni: a partire dal caso degli Anni ‘70 tra USA e Cina che andremo a raccontare, ma anche più recentemente. Ad esempio nel 2018, quando ai Mondiali a squadre di Hamstad in Svezia le squadre di Corea del Nord e Corea del Sud si rifiutarono di giocare l’una contro l’altra nei quarti di finale femminili, disputando la semifinale iridata contro il Giappone con un unico team composto da atlete di entrambe le nazionalità.
Un incontro “casuale”
Tutto ha inizio il 4 aprile del 1971 a Nagoya in Giappone, dove si sta disputando il 31° Campionato Mondiale di Tennistavolo. Il 18enne Glenn Cowan, insieme a tutto Team Usa, è uscito malamente al primo turno dell’evento a squadre, eliminato da Corea del Sud ed Hong Kong.
Il ragazzo è il perfetto hippie americano degli Anni ‘60: tra capelli lunghi, ragazze e vizi. Nato a New York, inizia a praticare il ping pong già da bambino, fino a trasferirsi a Los Angeles per seguire gli insegnamenti del maestro Milla Boczar. Complice il suo animo di figlio dei fiori o forse la sua giovane età ed il desiderio di apprendere qualche segreto, dopo la brutta batosta rimediata, si ferma a chiacchierare e fare qualche scambio con alcuni giocatori più esperti. Quando esce dal palazzetto, scopre che il pullman della sua squadra se n’è andato e lo ha abbandonato nel bel mezzo di Pechino.
La sua salvezza è nientemeno che la squadra cinese, che lo carica a bordo del proprio pullman facendosi carico di accompagnarlo in hotel. Ora, immaginate il disagio che doveva esserci quel bus quando un figlio della Beat generation si è trovato faccia a faccia con l’intera delegazione cinese: ventiquattro uomini addestrati dal regime a «colpire ogni pallina come fosse la testa del nemico capitalista».
La diplomazia del ping pong
Durante quel viaggio, durato circa quindici minuti, nessuno dei presenti avrebbe mai potuto rivolgere la parola al nemico “imperialista”. Nessuno, tranne uno: Zhuang Zedong. Nato nel 1940 e cresciuto nel confucianesimo, è da molti considerato il più grande giocatore di ping pong della storia, oltre che essere il prediletto di Mao.
Dopo diversi minuti di “studio”, Zedong si avvicina a Cowan e con l’aiuto di un interprete gli sussurra: «Malgrado il governo degli Stati Uniti non sia amico della Cina il vostro popolo è amico dei cinesi». In segno di pace porta anche un dipinto di seta dei Monti Huangshang. L’americano ricambia con una maglietta dai colori della pace e la scritta Let it Be. All’arrivo di questo strano viaggio è pieno di giornalisti ammassati nella hall dell’hotel degli americani, probabilmente avvertiti dalla diplomazia, quella vera. Sta di fatto che, nei giorni successivi, le foto di quell’incontro finiscono sulla prima pagina del Dacankao, il giornale riservato alle sfere più alte del Partito Comunista Cinese.
Conseguenze geopolitiche
I dietrologi sostengono – e diversi sono gli indizi – che quell’incontro fu architettato ad arte, ma la sostanza dei fatti non cambia. Infatti, il 10 aprile 1971, dopo aver ricevuto un invito ufficiale da parte di Mao, la delegazione americana parte per una serie di partite di esibizione ed incontri ufficiali oltre la Grande Muraglia. Probabilmente, sia Nixon, che era alla ricerca di una via di uscita dalla Guerra del Vietnam, sia Mao, che era ormai entrato in rotta di collisione con i sovietici, lavoravano da qualche tempo per un riallaccio dei rapporti diplomatici e aspettavano solamente l’occasione. Al rientro di Glenn Cowan e compagni in patria infatti, la Presidenza degli USA ricambia immediatamente l’invito alla squadra cinese.
La settimana che ha cambiato il mondo
È la teoria del piano inclinato: da quel momento la pallina ha iniziato a rotolare e prende sempre più velocità. Il 25 ottobre dello stesso anno, complici anche le voglie statunitensi di riallacciare i rapporti, l’Assemblea Generale ratifica il passaggio del seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU dalla Repubblica di Cina, il cui governo si era ritirato sull’isola di Taiwan, alla Repubblica Popolare di Cina, segnando di fatto la fine delle possibilità del presidio nazionalista guidato da Chiang Kai-shek di riottenere il territorio cinese. A poco meno di quattro mesi, il 21 febbraio 1972, il presidente repubblicano Richard Nixon atterra in Cina in vista di Stato, in quella che lui stesso definì «la settimana che ha cambiato il mondo», mettendo di fatto fine alla diplomazia del ping pong.
La “via italiana”
Come sempre, quando si tratta di sport, il Bel Paese fa la sua parte. Il merito è del presidente del CONI, Giulio Onesti: grande uomo dello sport nostrano, presidente del CONI dal 1947 al 1978, membro del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) dal 1964 alla sua morte nel 1981, inventore dei Giochi della Gioventù e fondatore dell’Istituto di Medicina dello Sport. È proprio grazie all’importanza delle sue relazioni che la nazionale italiana di tennis tavolo, guidata dal commissario tecnico Silvio Magni, diventa la seconda delegazione ad essere ricevuta ufficialmente in Cina, dopo quella americana.
Onesti è il primo membro del CIO a recarsi sul suolo cinese dal boicottaggio della Repubblica Popolare Cinese post Olimpiadi del 1952. La disputa sull’uso del nome “Cina” ha infatti portato il governo comunista a disertare i Giochi, mentre l’obiettivo della visita del presidente del CONI è proprio quello di riallacciare i rapporti diplomatico-sportivi per riportare anche la Repubblica Popolare all’interno del consesso olimpico. L’accordo viene trovato solamente nel 1979, quando il CIO approva una risoluzione per cui la squadra della Repubblica di Cina si sarebbe chiamata Cina Taipei. La prima apparizione sarà alle Olimpiadi Invernali di Lake Placid 1980, mentre per le estive bisognerà attendere Los Angeles 1984, vista l’adesione cinese al boicottaggio di Mosca 1980.
La Storia non racconta come finì la corsa…
Le vite Zhuang Zedong e Glenn Cowan, i due grandi protagonisti della diplomazia del ping pong, presero due parabole molto diverse, ma per certi versi simili. Il cinese fu ricompensato per la sua abilità politica con la carica di Ministro dello Sport, ma alla morte di Mao nel 1976 pagò la sua vicinanza con il Timoniere con l’esilio forzato. L’americano, invece, ebbe il suo quarto d’ora di celebrità rientrato dalla Cina, ma quando le luci della ribalta si spensero, complice anche la non diffusione del ping pong sul suolo americano, cadde in una spirale di depressione e droga che lo accompagnò fino alla morte.
Zedong fu riabilitato nel 1985, assumendo la guida dell’accademia giovanile cinese di tennis tavolo, ma non dimenticò mai il sorriso del giovane californiano. Nel 2007, quando ne ebbe l’occasione si recò a far visita alla madre di Cowan ed a visitare la tomba del suo vecchio amico, morto tre anni prima. «Non averti più incontrato è stato il più grande rimpianto della mia vita», scrisse in una lettera d’addio poco prima di morire nel 2013.