Osservare il passato nelle ossa umane
Come scrivono Cristina Cattaneo e Marco Grandi nel manuale di antropologia e odontoiatria forense, è difficile dare una definizione univoca di antropologia. La disciplina costituisce lo studio dell’essere umano nella sua totalità e abbraccia un repertorio molto ampio di dati e informazioni che vanno dal folklore, alla cultura materiale fino alla stessa fisicità.
L’antropologia fisica serve proprio a questo: analizzare i resti umani (recenti o del passato). Può dare un importante contributo tanto alla ricerca forense, quanto all’archeologia collaborando alle stesse finalità.
I resti umani analizzabili possono essere micro o macroscopici: dal codice genetico alla forma delle ossa o ai resti cutanei. Ogni dato raccolto, anche il più piccolo, può fornire preziose informazioni sullo stile di vita o la causa di morte di uomini e donne del passato e dei giorni nostri. L’osservazione rappresenta uno dei metodi più attendibili per risalire all’età, al genere, insomma all’identikit di un individuo. Ma quale contributo può dare l’antropologia forense alla ricerca archeologica?
Lo studio di genere
Accanto ai numerosi contributi, come quelli dati alla paleopatologia, l’antropologia fisica si è più volte rivelata essenziale nello studio di genere. In altre parole, ha contribuito a delineare aspetti importanti legati a fatti sociali e culturali e ai ruoli rivestiti dai membri delle società antiche. In particolare, la disciplina è spesso in grado di confermare o confutare noti stereotipi di genere, ridisegnando i rapporti nelle comunità del passato. I contesti funebri rappresentano il campo di indagine più prolifico nella raccolta dati sui ruoli sociali.
Il mistero dell’Uomo d’Oro
Jeanine Davis-Kimball dedicò gran parte della propria carriera da archeologa alla ricerca sulle antiche sepolture delle steppe: i kurgan. Le società kurgan si distinguono per una struttura gerarchica patriarcale in cui il ruolo del guerriero risulta centrale e dominante. Per questo le sepolture portate alla luce mostrano significative tracce di armi e armature riferibili ai membri di un’èlite maschile. Eppure, Kimball si imbatté in una vicenda sensazionale, ove l’antropologia fisica avrebbe potuto rivelare una delle scoperte più significative sulle società kurgan, ma che venne “volontariamente” adombrata.
La scoperta avvenne ad Issyk, in Kazakistan in un’area ricca di sepolture kurgan appartenenti all’Età del Ferro Iniziale. Da una di queste emerse qualcosa di meraviglioso:
Il corredo mostrava chiari segni di status. La freccia era usata tra i nomadi delle steppe come oggetto pre-monetario, quindi simbolo di potere. La figura, identificata all’unanimità come un capo guerriero, indossava anche una torque d’oro (collana ad anello) e un copricapo conico decorato con felini rampanti, uccelli e Alberi della Vita.
L’importanza dei resti ossei
Da subito gli venne dato il nome di Uomo d’Oro di Issyk. Eppure, la studiosa non parve convinta di questa identificazione, infatti il corredo mostrava anche orecchini d’oro, turchesi e un set di perline bianche e di corniola, oggetti estranei a una sepoltura maschile, mentre la forma del copricapo ricordava il cappello tradizionale indossato dalle donne kazake. Ciò che avrebbe permesso un’ipotesi oggettiva sarebbe stata l’osservazione delle ossa del defunto che lo stesso antropologo fisico che lavorò al caso definì molto piccole e quindi probabilmente femminili.
Il caso dell’Uomo d’Oro rimane però un mistero della steppa. I resti frammentari del cranio non vennero mai analizzati per confermare l’identità sessuale del soggetto, forse anche per paura di rivelare una verità “scomoda”: le donne potevano assumere posizioni di comando e rivestire ruoli di prestigio al pari dell’uomo. Ciò lascia intendere l’importanza di uno studio dei resti scheletrici. Infatti la diagnosi di sesso ha un’attendibilità del 98% se si prende in considerazione la conformazione del bacino e del 80% nel caso del cranio. Si tratta di percentuali molto alte.
Donne vichinghe alle armi
Osservare le ossa non significa solamente analizzarne la grandezza e la forma, ma significa anche addentrarsi nel campo della genetica là dove i dati macroscopici non bastino a fornire informazioni esaustive. È quanto è accaduto in Svezia, in una sepoltura di guerriero vichingo, il “guerriero di Birka” (X sec d.C.). Assieme al corpo erano stati trovati resti di frecce e armi, così che a un primo sguardo si ipotizzò la presenza di un defunto maschile, come avvenuto per l’Uomo d’Oro di Issyk.
La bioarcheologa Anna Kjellström tuttavia osservò le ossa pelviche e della mandibola dei resti scheletrici e ne riconobbe l’appartenenza a un individuo di sesso femminile. Purtroppo, questa ipotesi non venne subito accettata. Fu necessario attendere qualche anno dopo (il 2017) e le ricerche di Charlotte Hedenstierna-Jonson sul DNA mitocondriale e nucleare dei resti scheletrici relativi per confermare che il guerriero di Birka fu in realtà una donna. Non solo guerriera, ma stratega di guerra e membro d’alto rango.
L’analisi dei resti umani pare quindi fondamentale e fa chiarezza sulle incomprensioni che nascono dagli stereotipi di genere e che ancora oggi sembrano guidare le interpretazioni sul mondo antico. Le donne in passato furono anche guerriere? Secondo l’antropologia fisica sembrerebbe di sì.
Bibliografia
- J. Davis-Kimball, Donne guerriere. Le sciamane della Via della Seta, Le Civette di Venezia, Roma, 2009
- C. Cattaneo, M Grandi, Antropologia e Odontologia forense. Guida allo studio dei resti umani, Monduzzi Editore, 2004
- M. Greshko, in National Geographic, 2019, Il celebre guerriero vichingo era in realtà una donna? Nuove prove su un famoso luogo di sepoltura potrebbero dirci molto di più sul ruolo delle donne nella società vichinga