Da un’indagine condotta dalla FISH (Federazione Italiana Superamento dell’Handicap) emerge che il 65% delle donne più fragili della nostra società, nel corso della propria vita, ha subito violenza. Un segnale inquietante, che ha alimentato, sempre di più, la convinzione di quanto sia necessario intervenire per contrastare il fenomeno, con la messa in campo di strategie e risorse di varia natura. Un’urgenza che ha portato la FISH, lo scorso 10 giugno, ad essere ricevuta in audizione al Senato presso la “Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e su ogni forma di violenza di genere”, rappresentata dalla dottoressa Silvia Cutrera, vice-presidente e responsabile del gruppo donne della organizzazione. “Ci siamo focalizzati nella memoria che abbiamo presentato alla Commissione di inchiesta sul tema specifico della violenza riportando le richieste del Gruppo di esperti del Consiglio d’Europa, che, nel rapporto di valutazione delle misure messe in atto dall’Italia per attuare la Convenzione di Istanbul, ha richiesto azioni concrete per proteggere le donne con disabilità da ogni forma di violenza”.
I NUMERI DELLA VIOLENZA
Dal suddetto report risulta che la forma di violenza più diffusa è quella psicologica (51,4% del campione di riferimento), seguita dalla violenza sessuale (34,6% dei casi), la violenza fisica (14.4%) e quella economica (7,2%)”. Dichiarano di aver subito almeno una forma di violenza l’82% delle donne con una limitazione cognitiva/intellettiva e l’85% di quelle con una disabilità psichiatrica. Quelle invece con una fragilità plurima subiscono violenza nel 74% dei casi, rispetto al 64% tra quelle con un solo tipo di limitazione.
DOPPIA DISCRIMINAZIONE
Dall’analisi, condotta su un campione di 519 donne con differenti disabilità, è stato possibile delineare un quadro a tinte ancora più fosche per quel che riguarda questo problema. Le statistiche confermano la tendenza secondo cui le donne con disabilità sono più a rischio di violenza rispetto alle altre, essendo vittime di discriminazione multipla e venendo violate oltre che come donne anche come persone fragili.
CHI È IL SOGGETTO CHE COMMETTE VIOLENZA
Nell’80% dei casi, la violenza è perpetrata prevalentemente da persone note alla vittima. Nel 51% di essi si tratta di una persona affettivamente a questa vicina, ossia il partner o di altro familiare; nel 21% di un conoscente e nell’8% di un operatore.
LA VIOLENZA SUBITA IN SILENZIO
Solo il 37% delle donne vittime di violenza, trova la forza di reagire alla stessa e solo una piccola minoranza decide di confidarsi con familiari ed amici (6,5%) o si rivolge ad un Centro antiviolenza (5,6%).
POLITICHE ED AZIONI A CONTRASTO DELLA VIOLENZA
La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, quella di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nonché la Strategia ONU 2030 sullo sviluppo sostenibile, rimarcano l’importanza di un atto di assunzione di un impegno da parte degli Stati e delle organizzazioni su questi aspetti. La FISH è in prima linea nella promozione della consapevolezza e dell’adozione di politiche e strategie adeguate, avendo aderito alla Manifestazione Nazionale, promossa da “Non Una Di Meno” e da altre organizzazioni in occasione della Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne.
LA SITUAZIONE IN EUROPA
Il Grevio, gruppo di esperti del Consiglio d’Europa che lavora sul tema, monitorando periodicamente l’attuazione della Convenzione di Istanbul ha individuato pesanti lacune nelle legislazioni nazionali riguardanti la violenza commessa online o con l’ausilio della tecnologia, coniando il termine “dimensione digitale” della violenza contro le donne. Il suddetto organo incoraggia a procedere con azioni specifiche per contrastarla, quali: la revisione della legislazione per comprendere questa dimensione digitale, l’alfabetizzazione sulla sicurezza online, i sistemi di supporto e consulenza, sino al porre fine all’impunità per gli atti di violenza digitale.
LE MISURE RICHIESTE DALLA. FISH
Per ovviare alla carenza di misure poste a tutela della violenza sulle donne, la Cutrera ha peraltro affermato: ”abbiamo chiesto ai parlamentari della Commissione che si facciano portavoce di una riforma per fornire al personale del sistema giudiziario la formazione adeguata per un approccio intersezionale alle discriminazioni basate sul genere e la disabilità”. “C’è un altro aspetto che abbiamo rappresentato durante l’audizione al Senato ed è quello relativo al fatto che la pandemia da COVID-19 ha ulteriormente penalizzato l’accesso delle donne con disabilità ai servizi di salute sessuale e riproduttiva. Pertanto “occorre che sia garantito realmente il diritto alla salute, cioè che vi sia l’accesso completo a cure mediche rispondenti alle specifiche esigenze delle ragazze e delle donne con disabilità per ciò che riguarda le consulenze ginecologiche, le visite mediche, la salute sessuale e riproduttiva, la pianificazione familiare e il sostegno necessario durante la gravidanza”. “Nel “Contratto per il Governo del Cambiamento” vi è un’unica disposizione che prevede l’introduzione di nuove aggravanti nei casi in cui la vittima sia un soggetto particolarmente vulnerabile, ovvero quando le condotte siano particolarmente gravi. Una misura in realtà già presente nel nostro ordinamento giuridico, ma che costituisce un ottimo pretesto in previsione di qualche indicazione operativa per chi volesse fare qualcosa di costruttivo per contrastare la violenza nei confronti delle donne con disabilità”.