Si è da poco concluso il COP26, la ventiseiesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. I principali punti di discussione aperti riguardavano le strategie di mitigazione contro l’avanzare del surriscaldamento globale e delle sue possibili conseguenze. In particolare, i vari paesi riuniti a Glasgow si sono focalizzati sul tentativo di limitare l’aumento delle temperature entro 1,5°C. L’obiettivo sarebbe possibile attraverso una riduzione netta delle emissioni di gas serra, che dovrebbero essere eliminate definitivamente entro il 2050.
Tuttavia, la fine di tale incontro non ha portato sostanziali novità rispetto alle conclusioni raggiunte durante la Conferenza delle Nazioni Unite di Parigi del 2015. La stretta collaborazione richiesta per cambiamenti di questa portata non è stata raggiunta, e conseguentemente, nessuno passo decisivo è riuscito a imporsi veramente. Ciò è dato dal fatto che, per quanto vi sia una ormai comune consapevolezza sulla gravità della questione, ancora non è chiaro su chi debbano ricadere i costi e sacrifici richiesti del progresso.
Un po’ di Storia
Le prime consapevolezze sul cambiamento climatico e la sua causalità antropocentrica cominciarono a emergere nel 1970. Quello che emergeva era la rapidità con cui il fenomeno si stava evolvendo. Il mutamento delle temperature di per sé è un fenomeno comune nella storia del nostro pianeta, dato dalla congurenza di vari fattori. Primo tra essi, la presenza dei gas serra nella nostra atmosfera. Fenomeno non solo normale, ma strettamente necessario. I gas serra infatti permettono la vita sulla Terra, trattenendo il calore irradiato dai raggi solari. Di questa energia, il 70% viene trattenuto nell’atmosfera attraverso il cosiddetto effetto serra. L’energia viene poi redistribuita attraverso cicli di corrente atmosferiche e oceaniche in tutte le parti del globo. Ciò permette di mantenere una temperatura media di 15° C all’interno dell’atmosfera terrestre, contro i – 18° C che sarebbero altrimenti registrati. Ma la costante emissione di gas a effetto serra ha fatto si che la loro concentrazione nell’atmosfera aumentasse. La produzione di anidride carbonica, dall’uso di petrolio e gas naturale, quanto la diffusione di metano da smalitmento di rifuti e estrazione di combustibili fossili, sono tra i principali responsabili del costante aumento delle temperature.
Al giorno d’oggi, la concentrazione atmosferica di tali gas è ben dieci volte superiore alla media: ci troviamo di fronte ad un fenomeno di climate forcing, secondo cui le temperature medie si stanno progressivamente innalzando. L’IPCC, International Panel of Climate Change, ha illustrato come il surriscaldamento del pianeta si evolverà nel vicino futuro. Dove non vi sarà una riduzione netta delle emissioni di gas serra, il riscaldamento globale eccederà di ben 1,5/2°C durante il XXI secolo.
Anche considerano un reale impegno da parte delle potenze mondiali nel ridurre le emissioni nette, il surriscaldamento è irreversibile. Infatti, gli attuali livelli di gas serra si manterranno nell’atmosfera per secoli: l’anidride carbonica, per esempio, ha una durata di vita media che può giungere fino ai 200 anni. Ne derivano una serie di conseguenze, i cui effetti a lungo termine sono ancora non totalmente prevedibili.
Conseguenze del surriscaldamento globale sull’ambiente
Come analizzato da IPBES; Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, il surriscaldamento globale ha portato allo scioglimento dei ghiacciai e all’innalzamento delle acque marine di quasi 20 cm nell’ultimo secolo. Ciò impatta notevolmente sulla concentrazione salina dei mari, apportando gravi danni agli ecosistemi marini, già affaticati da altri fattori quali la pesca intensiva, l’uso delle plastiche e lo sfruttamento dei terreni costieri. Quest’ultime due pratiche in particolare danneggiano notevolmente anche gli ecosistemi terrestri: un 75% della superficie terrestre è ormai stata alterata dalla presenza umana.
Oltre quindi al sopracitato surriscaldamento globale, l’azione umana ha impattato sull’ecosistema della Terra anche in altri modi: dal consumo della plastica alla deforestazione, dallo sfruttamento e inquinamento dei terreni quanto delle acque. Tale sfruttamento delle risorse naturali da parte dell’uomo ha notevolmente influenzato le varie dinamiche ambientali e i biomi a esse connesse, portando ad una rapida perdita della biodiversità.
Secondo gli ultimi dati si stima negli ultimi 50 anni una perdita di specie vertebrate, sia terrestri che marine, del 60%. Stiamo vivendo quella che secondo gli esperti è la sesta estinzione di massa del globo. Se la repentina perdita di specie viventi, o un loro mutamento, è anch’esso parte della storia del nostro pianeta, stavolta sono prettamente fattori antropocentrici a causarla. E ciò perché i cambiamenti indotti dall’uomo creano condizioni troppo rapide affinché le specie biologiche possano adattarvisi in tempia adeguati per la loro sopravvivenza.
Uomo e Ambiente
Se quindi l’attività umana ha un tale impatto a livello ambientale, ritengo sia necessario una nuova concezione che guidi il rapporto tra uomo e ambiente. La parole stessa ambiente è composto dal termine latino ambiens, -entis: l’etimologia della parola richiama un percorso circolare, che si configura come un complesso attivo di elementi che si muovono in un contesto comune, influenzandosi reciprocamente. Quel che emerge da questa definizione è che l’uomo è parte dell’ambiente. Egli non ne è al di sopra, ma ne fa parte come tutti gli altri componenti, che siano rocce, piante o animali. Ed è quindi parte anche delle connesse dinamiche.
Quel che però distingue l’azione umane dall’azione degli altri enti naturali è la coscienza sottostante a tali azioni. L’uomo, contraddistinguendosi dal resto delle creature viventi per la razionalità che gli è intrinseca, si fa carico anche dalla volontarietà delle proprie azioni. Ma attraverso il costante progresso della razionalità scientifica e tecnologica l’uomo si è sempre di più relazionato all’ambiente con fare strumentale, senza mai però accompagnare a siffatto utilizzo una riflessione sulla legittimità e i limiti delle proprie pratiche. Siffatta nuova consapevolezza sull’impatto negativo dell’azione dell’uomo sulla natura dovrebbe spingerci ad abbandonare la visione antropocentrica che ha finora guidato il nostro operare. Contro la dicotomia instauratasi nel pensiero occidentale di uomo e natura, è necessario creare una nuova prospettiva di relazione con il mondo, più olistica ed ecocentrica.
Sfruttamento interumano
Affianco alla necessità di cambiare la nostra forma mentis che ha incorniciato il nostro rapporto con la natura secondo una netta gerarchizzazione degli enti, possiamo notare come quella logica di dominio e sfruttamento si attui anche a livello interumano. L’uomo sostiene la propria specie attraverso l’utilizzo di risorse naturali. Qualsiasi cittadino, in maniera più o meno diretta, dipende da tali beni. Ma il consumo di questi ultimi è sempre più in aumento, a causa del notevole aumento demografico del nostro pianeta e dello sviluppo tecnologico. Tale incremento però è avvenuto a discapito delle capacità della natura stessa di produrre tali risorse.
Lo sconsiderato consumo di risorse si affianca alla distribuzione profondamente ineguale delle stesse nella popolazione mondiale, sia a livello di distribuzione geografica che sociale. I costi e i benefici derivanti dalla coproduzione e consumo del contributo naturale sono divisi in maniera differenziata tra paesi e regioni della Terra. Che si tratti della distribuzione di cibo, acqua o risorse energetiche, i benefici sono indirizzati solitamente verso alcune parti del globo a discapito delle altre. A rimetterci di più sono le popolazioni indigene o quelle dei paesi in via di sviluppo. Infatti, la loro quotidianità è maggiormente legata ad un rapporto diretto con l’ambiente circostante e che non possiedono le capacità economiche per mettere in atto strategie di prevenzione e adattamento adeguato.
Responsabilità, collettive e differenziate
I popoli sopracitati sono tra le vittime che la rivoluzione industriale ha creato: i secoli di industrializzazione occidentale non controllata gravano sempre più su quelle nazioni che solo adesso stanno intraprendendo un percorso di industrializzazione. Percorso di sviluppo bloccato proprio dalle grandi potenze, in nome di una crisi climatica proprio da loro causata.
Proprio queste ultime hanno posticipato eccessivamente l’avvio di strategie per fronteggiare l’avanzamento della crisi climatica. In nome dell’imprevedibilità a essa connessa (come sopra accennato) e agli alti costi impliciti nelle strategie di prevenzione e transizione energetica, si è preferita una prospettiva volta all’adattamento presente, anziché una a lungo termine che potesse davvero mitigare la crisi. Al momento però gli effetti del cambiamento climatico non sono più un’incertezza futura: l’impatto negativo delle attività umane sulla Terra è ormai sotto gli occhi e nella coscienza di tutti.
Possiamo quindi prendere consapevolezza di come il nostro rapporto con l’ambiente sia da secoli condizionato da profonde ingiustizie, tanto verso la natura e le sue dinamiche quanto verso l’essere umano stesso. L’urgenza della situazione ci richiede di rimodellare questor apporto, attraverso una riflessione che si faccia carico a pieno della responsabilità della nostra specie nella relazione con l’ambiente. Riflessione che non ponga più l’uomo come semplice fruitore di ciò che lo circonda, ma che lo renda parte integrante, co-partecipe di un sistema complesso e dinamico che non è capace di adattarsi ad altrettanta velocità al progresso umano.
Bigliografia
Adger et al. (2001) Advancing a Political Ecology of Global Environmental Discourse
IPCC (2021): Summary for Policymakers. In: Climate Change 2021: The Physical Science Basis. Contribution of Working Group I to the Sixth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change.
IPBES (2019): Global assessment report on biodiversity and ecosystem services of the Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services.
Gardiner, Stephan M et al. (2010), Climate Ethics: Essential Readings. New York: Oxford Univeristy Press.
Serenella, Iovino (2008): Filosofie dell’Ambiente: Natura, etica e società. Roma: Carrocci Editore.
GLI OBIETTIVI DELLA COP26