Politica e calcio da sempre sono andate a braccetto, ma mai come in questo momento. I club di proprietà di stati interi stanno aumentando a vista d’occhio, ed alla già lunga lista si è aggiunto lo storico Newcastle. La notizia ha scatenato da una parte l’euforia dei tifosi dei Magpies, a tratti troppo invasiva, dall’altra la preoccupazione dei club di Premier League, ma non solo.
Dall’irriverente Ashley al disciplinato PIF
L’arrivo di una nuova proprietà è sempre una situazione ambigua per i tifosi, sai quello che lascia, ma non quello trovi. Anche se i Magpies erano veramente stanchi del loro irriverente patron Mike Ashley, amministratore delegato della Fraser Group Plc. Con l’arrivo di questo presidente, si era posta la parola fine sul periodo d’oro del “Newcastle delle meraviglie” della fine degli Anni ’90 e gli inizi del 2000. Dopo essere stati ai vertici del calcio inglese, in 14 anni arrivano due retrocessioni. La troppa discontinuità e qualche parola di troppo nelle varie conferenze hanno fatto infuriare sempre più la calda tifoseria dei bianco-neri.
Per questo, quando sono iniziate ad uscire le prime notizie del fondo PIF interessato all’acquisizione del club, i tifosi dei Magpies hanno spinto fortemente verso il fondo arabo. Per questo e per il loro fatturato. Il fondo sovrano dell’Arabia Saudita inizialmente si pensava potesse virare sull’Italia, con Inter e Milan come maggiori indiziate. Ma la spinta dei tifosi del Newcastle e l’inguaribile stato di salute del sistema calcistico italiano hanno “obbligato” PIF ad approdare in Inghilterra.
Questo il messaggio che ha fatto scoppiare la festa dalle parti di St. James Park e che ha dato il via all’euforia per le strade di Newcastle Upon Tyne. Goliardia che, secondo i nuovi proprietari, ha passato il segno.
Appropriazione culturale o semplice goliardia?
Mentre sui social impazzavano le foto degli inglesi vestiti con il tipico abbigliamento da arabo, le organizzazioni, evidentemente non a conoscenza dell’umorismo inglese, gridavano all’appropriazione culturale. L’associazione Kick it Out, che opera nel calcio inglese per affrontare il problema del razzismo e della discriminazione, si era schierata pesantemente contro l’esibizione in maschera. Il motivo delle preoccupazioni sarebbe legato alla possibilità che potesse offendere la tradizione culturale delle persone arabe. Polemica che è stata spenta sul nascere, proprio con un comunicato della nuova proprietà.
«Nessuno della nuova proprietà del club è stato in alcun modo offeso dall’abbigliamento dei tifosi, che hanno scelto di festeggiare l’acquisizione in questo modo», recita la nota ufficiale. «È stato anzi riconosciuto come un gesto positivo e di benvenuto nei nostri confronti». Ma sicuramente non significa che non possa risultare sgradevole ad altri. «Tuttavia – prosegue –, rimane la possibilità che vestirsi in questo modo sia culturalmente inappropriato e rischi di offendere alcune persone».
Un messaggio che dice tutto e niente, e che è stato spiegato qualche settimana dopo. «I nuovi proprietari sono stati travolti dall’entusiasmo e dall’accoglienza della comunità locale, dopo l’acquisizione del club due settimane fa. I tifosi che hanno festeggiato indossando abiti culturalmente legati alla tradizione araba, compresi i copricapi, sono stati parte integrante di quell’accoglienza. Coloro che desiderano sostenere il club indossando questi abiti dovrebbero sentirsi liberi di farlo come meglio credono. Siamo inclusivi per tutti». La linea definitiva da seguire quindi sembra sia quest’ultima, per la pazza gioia dei Magpies. Anche se i risultati sportivi non gli danno la possibilità di essere particolarmente euforici.
Molti soldi, poca morale
La speranza è quella di un mercato invernale subito corposo, per evitare la terza retrocessione in 14 anni. E sicuramente la disponibilità economica non manca. D’altronde, i proprietari sono anche a capodi uno degli stati più ricchi del mondo, l’Arabia Saudita. Stando ai dati raccolti, PIF nel 2020 fatturava 500 miliardi, diventando così i proprietari più ricchi del calcio mondiale, entrando a gamba tesa nel panorama degli Stati proprietari di squadre (il Qatar con il PSG e gli Emirati Arabi Uniti con il Manchester City).
La prima trattativa era finita in malo modo per le perplessità mostrate dalla Premier League circa il ruolo di PIF nella pirateria online. Infatti la Football Association era sicura del fatto che fossero gli arabi a rendere disponibili gratuitamente le partite del campionato inglese. Rassicurati dal punto di vista legale, le trattative sono andate avanti. Le proteste, però, non sono mancate anche da parte degli altri 19 club: ad essere incriminato è il poco preavviso dell’acquisizione dato alle squadre e la perdita di forza del marchio “Premier League” con l’entrata di un fondo arabo.
La questione che, però, è purtroppo passata inosservata rispetto alle altre è quella di Mohammad bin Salman Al Sa’ud, principe ereditario d’Arabia e mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi secondo gli Stati Uniti. Non è collegato direttamente la fondo, ma alle spalle c’è proprio lui, e questo giustamente ha sollevato le proteste di varie organizzazioni umanitarie.