Rassegnati è la rubrica settimanale che seleziona un fatto degli ultimi giorni per provare a mostrare com’è stato riportato dalla stampa italiana. Tra strategie comunicative ed errori, viene svelato il filtro che copre ogni notizia. Oggi parliamo delle molestie subite da Greta Beccaglia e di come i media hanno scelto di raccontarle.
Dopo la partita Empoli-Fiorentina, la giornalista Greta Beccaglia è stata molestata ripetutamente da alcuni tifosi durante una diretta televisiva per Toscana TV. Il video dell’avvenimento ha fatto presto il giro del web, mostrando i molestatori a volto scoperto, gli sforzi di Beccaglia di continuare a svolgere il proprio lavoro nonostante l’accaduto e lo scarso sostegno del collega nello studio televisivo. L’uomo che l’ha toccata contro il suo consenso, Andrea Serrani, è stato denunciato ed è ora indagato per violenza sessuale.
Il tutto è avvenuto durante una partita organizzata per sensibilizzare sul tema della violenza di genere. La notizia è stata ripresa anche dai quotidiani, che spesso non hanno messo in luce la gravità e il carattere sistemico della violenza di genere.
La Repubblica sceglie di dirottare l’attenzione verso altri temi che, a quanto pare, ritiene più importanti. Ciò è visibile fin dal titolo: «I morti sul lavoro e il molestatore di Empoli: il crimine e l’offesa». Fenomeni diversi e privi di alcun nesso causale sono accostati in un attacco che attira l’attenzione di chi legge.
Nelle prime righe del testo l’autrice dichiara la sua posizione: solidarietà verso la collega Beccaglia, ma lontananza verso il clamore mediatico nato dalla vicenda perché «Tutti ad occuparsi di quel sedere, nessuno di quelle vittime [sul lavoro decedute negli ultimi giorni]».
L’articolo si apre quindi con una lunga riflessione su chi perde la vita sul luogo del lavoro. Tra gli avvenimenti tragici delle ultime settimane vengono citate anche le molestie subite da Beccaglia. La scena, trasmessa in diretta televisiva e poi diffusasi online, viene descritta nei dettagli con un pathos che richiama la pornografia del dolore. Ci si sofferma soprattutto sugli abiti indossati dalla giornalista, che viene definita «una ragazza carina con microfono», non una professionista intenta a svolgere il proprio lavoro. L’azione di Andrea Serrani viene fatta poi risalire alla sua rabbia (non al sessismo), giustificata in quanto legata alla sconfitta della squadra. E la molestia viene così raccontata: «ha sfiorato con la mano sinistra la natica destra della giovane cronista».
Chi ha guardato il video della vicenda si rende conto presto che questa descrizione non corrisponde alla realtà. Anche se fosse stato solo uno sfioramento, però, la sostanza non cambia. È pur sempre avvenuto contro la volontà di Beccaglia e quindi è una molestia. Ed è tale anche se esercitata su quelle che vengono definite le «natiche valorizzate dai jeans quindi non particolarmente occultate», con una scelta comunicativa che tende a scaricare la responsabilità del fatto su chi l’ha subito.
L’articolo in questione ha ben chiaro anche qual è il trattamento solitamente riservato a tali atti: «Bisognerebbe anche ricordare che il tifoso non è solitamente maestro di bon ton, e ne fa anche di molto peggio: e al massimo gli fanno una sgridatina e via». Quindi un gesto che, tutto sommato, sembrerebbe non grave. Nella conclusione si parla addirittura di vittimismo, sminuendo completamente la vicenda in cui Beccaglia si è vista coinvolta.
La Gazzetta dello Sport, invece, inserisce nel titolo unicamente il nome proprio della giornalista, che non viene indicata con il cognome fino al secondo paragrafo. Sicuramente è una nota positiva dare spazio a Beccaglia, alla sua esperienza e, di conseguenza, al punto di vista di chi subisce le molestie. L’articolo si compone unicamente delle dichiarazioni della giornalista, per lo più condivise da lei stessa sui suoi canali social. Ciò che poteva essere accostato a questa testimonianza è un’analisi approfondita del fenomeno.
Una diversa tipologia testimonianze è invece al centro dell’attenzione del Resto del Carlino. La testata, infatti, ha deciso di dedicare molteplici articoli ad Andrea Serrani, il molestatore della vicenda. Un articolo riporta i commenti degli amici dell’uomo, che naturalmente sono positivi e pieni di lodi. Si dà spazio alla sua attività lavorativa, che diventa immagine di una personalità impeccabile e retta. Lo si dipinge come «ironico e amante della bella vita […] un “gigante buono”, ma in alcune circostanze molto focoso ed esuberante tanto da non accorgersi a volte di essere sopra le righe». Un individuo, quindi, che non potrebbe commettere una molestia.
Si dà risalto alla sua individualità per non delineare un fenomeno diffuso, che vede come protagonisti anche gli individui all’apparenza più integerrimi, dediti al lavoro e agli affetti. Chiunque – e soprattutto qualunque uomo – può commettere violenza di genere, perché è un fenomeno silente e pervasivo nella nostra società che non viene apertamente e costantemente condannato. Infatti nella conclusione dell’articolo si legge che Serrani «ha solo ammesso di aver fatto una cavolata che non pensava fosse “così grave” da meritare una denuncia pubblica».
In un altro articolo del Resto del Carlino, invece, la voce riportata è quella di Natascia Bigelli, compagna di Serrani, che prontamente sostiene: «Il mio Andrea è un burlone, non un violentatore». Le sue dichiarazioni riguardano soprattutto la relazione che li unisce e il ruolo paterno del compagno, posto al centro dell’attenzione molte volte nei media dov’è stata ripresa più volte l’espressione «Chiedo scusa, ho una figlia», come se l’attenzione verso le relazioni affettive ponesse al riparo dall’assumere un ruolo attivo nella violenza di genere.
Bigelli «non colpevolizza affatto il suo compagno, né lo accusa per il gesto verso la giornalista televisiva, ma lo protegge». Eppure questa sua difesa non assolve Serrani dalla molestia commessa, che la testata definisce «aver “goliardicamente” toccato il fondoschiena di un’altra donna dopo aver appoggiato le labbra sulla propria mano, come a tirarle un bacio». Anche in questo caso si tratta di una narrazione evidentemente distante dalla realtà dei fatti.
In generale manca la capacità o la volontà di descrivere le molestie subite da Beccaglia come parte di un fenomeno più ampio chiamato cultura dello stupro. Anzi, molte delle strategie comunicative messe in atto mantengono vivi questi comportamenti, scaricando la responsabilità dei fatti sulla giornalista, sul suo modo di vestirsi e sul contesto sportivo in cui si trovava. Una narrazione delle violenze di genere così fatta non è in grado di mettere a fuoco il problema e di portare chi legge a una piena consapevolezza.