Da ormai quasi due anni viviamo nell’incertezza, con la sensazione di essere sempre in bilico fra e rischio e sicurezza, con il timore di una nuova variante pandemica in arrivo da qualche angolo del mondo, vicino o lontano.
In un momento così complesso la nostra salute mentale è messa a dura prova e non sorprende che la seconda ondata di Covid-19 abbia registrato un malessere generalizzato nella popolazione.
Secondo un’indagine condotta in Svizzera dalle associazioni FSP, ASP e SBAP nel 2021 e alla quale hanno partecipato 1700 psicologhe e psicologi, il 60% degli intervistati ha riportato un sostanziale aumento di richieste di intervento. La crescita vertiginosa nei percorsi di psicoterapia intrapresi è stata tale che due terzi degli intervistati hanno dovuto rifiutare le nuove richieste di intervento di trattamento e indirizzato le persone ad altri professionisti.
Per numerosi terapeuti, però, questa corsa verso la terapia non rappresenta esclusivamente una necessità di fronte a un disagio. Si tratterebbe anche di una nuova attenzione che le persone stanno sviluppando nei confronti del proprio benessere e della salute mentale. In fondo curiamo con attenzione altre parti del corpo, come i denti o cerchiamo di mantenere un’alimentazione sana per esempio. Perché non dovremmo prestare attenzione anche al nostro benessere psichico?
In questo panorama può diventare utile per tanti voler sapere come si cerca un terapeuta, cosa aspettarsi durante una seduta e su quali aspetto si focalizzerà l’intervento.
Chi è lo psicoterapeuta?
E’ importante chiarire che non basta laurearsi in psicologia, o in medicina e psichiatria, per diventare terapeuti. Lo psicoterapeuta invece è un medico o uno psicologo, che dopo il corso di laurea, ha seguito per diversi anni una scuola di specializzazione in psicoterapia attraverso la quale viene abilitato a esercitare la professione. Durante gli anni di formazionee al terapeuta vengono forniti insegnamenti teorici e pratci, perio di tirocinio in diverse strutture. Inoltre il terapeuta stesso frequentemente si sottopone in prima persona a un percorso di psicoterapia.
In questo periodo impara ad aiutare pazienti caratterizzati da quadri clinici anche molto diversi tra loro, ma sostanzialmente accomunati da una sensazione di malessere psichico e dalla voglia di un cambiamento.
Esistono numerose scuole di pensiero che corrispondono a differenti approcci terapeutici. La psicoterapia è infatti un universo estremamente vario nel quale diversi specialisti cercano elementi distinti nell’eziopatogenesi (l’analisi delle cause) dei malesseri che esaminano e differiscono anche riguardo le strade intraprese per aiutare i pazienti.
Per citare solo alcune scuole potremmo elencare:
La psicoanalisi, la Psicoterapia Psicodinamica, la Psicoterapia Adleriana, la Psicoterapia Bioenergetica, la Terapia Centrata sul Cliente, l’Analisi Transazionale, la Terapia della Gestalt, la Psicoterapia Sensomotoria, la Psicoterapia Cognitivo Comportamentale, La Psicoterapia sistemico relazionale, la Terapia basata sulla Mindfullness, la Terapia dell’accettazione e dell’impegno.
La presenza di cosí tanti stili e orientamenti puó rendere difficile scegliere il terapeuta piú opportuno. In generale è consigliabile informarsi sulle principali caratteristiche del professionista a cui ci stiamo rivolgendo come il suo orientamento, la sua scuola ed eventuali pubblicazioni.
Dal momento che non basterebbe un manuale (e nemmeno un’intera libreria) per raccontare nel dettaglio le caratteristiche di tutti gli approcci di psicoterapia cercheremo di dare una visione generale rispetto a tre approcci che hanno trovato particolare fortuna e che possono essere considerati tra le pietre miliari di questa disciplina: le teorie psicodinamiche, La psicologia cognitivo comportamentale e la psicoterapia sistemico relazionale.
Terapie psicodinamiche
Le Terapie Psicodinamiche si sono sviluppata a partire dalla psicoanalisi di Sigmund Freud, nata alla fine del XIX secolo.
L’approccio psicoanalitico è probabilmente il tipo più conosciuto, ed anche il piú familiare nell’immaginario collettivo.
Spesso infatti quando si parla di psicoterapia la prima immagine che si affaccia alla mente è quella mente di un terapeuta magari barbuto e munito di sigaro che prende silenziosamente appunti mentre il paziente gli parla senza guardarlo, disteso su un lettino.
Il lavoro pioneristico di Freud ha dato il via allo studio della mente fornendo molti spunti di riflessione fondamentali per lo sviluppo della psicologia clinica moderna. Ma dal lettino di Freud, e dalle sue affascinanti concettualizzazioni è passato molto tempo e sono nate una serie di teorie e impostazioni pratiche che ricadono all’interno dell’approccio psicodinamico (attualmente molto più comuni della psicoanalisi classica) .
Lo scopo delle terapie psicodinamiche è quello di favorire nel paziente la consapevolezza dell’esistenza di alcuni conflitti psicologici (molto spesso inconsci) e di promuovere strategie diverse da quelle che il paziente mette in atto in maniera automatica. I comportamenti disadattivi, secondo questa prospettiva, scaturirebbero dunque come risposte meccaniche e involontarie a delle tensioni che nascono all’interno dell’individuo.
I conflitti interiori nascerebbero nell’infanzia dell’individuo per presentarsi in forma diversa nell’età adulta. Le principali tecniche utilizzate dai terapeuti psicodinamici includono le libere associazioni, l’interpretazione dei sogni, il riconoscimento della resistenza, il transfert, il lavoro attraverso i ricordi dolorosi e le questioni difficili.
Rispetto all’approccio psicoanalitico classico nelle teorie psicodinamiche moderne le sedute tendono ad essere meno frequenti (generalmente con cadenza settimanale o bisettimanale) e ad avere una durata minore.
Psicoterapia cognitivo comportamentale
Alla base di questa prospettiva teorica, nata a partire dagli anni ‘60 grazie alle prime teorizzazioni di Aaron Beck e Albert Ellis, troviamo l’assunto che il disagio psicologico del paziente e il suo perpetuarsi nel tempo si spieghi attraverso l’analisi delle rappresentazioni mentali del paziente (credenze, pensieri automatici, schemi). Non è l’evento traumatico a indurre l’individuo a provare sofferenza, ma l’interpretazione che l’individuo dà dell’evento stesso, un’interpretazione che resiste nonostante le contraddizioni che provengono dall’ambiente. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) si propone, di conseguenza, di aiutare i pazienti ad individuare i pensieri ricorrenti e gli schemi disfunzionali di ragionamento e d’interpretazione della realtà, al fine di sostituirli e/o integrarli con convinzioni più funzionali.
Poiché, come dicevamo, a causare disagio emotivo non è l’evento in sé ma la lettura che dell’esperienza dà il paziente, la terapia consiste nell’inquadrare la mente come un sistema costituito da obiettivi e conoscenze che vengono usate per valutare il mondo, le esperienze, dirigere la nostra condotta e l’attività mentale (Castelfranchi, Mancini e Miceli, 2002).
L’elemento temporale assume grande importanza in questo tipo di approccio: nella maggior parte dei casi l’intervento terapeutico ha una durata tra i quattro e i dodici mesi.
Il terapeuta lavora con il paziente su un piano comportamentale aiutandolo a trovare nuove modalitá di azione nelle situazioni critiche. Per esempio, nel caso delle fobie (paure specifiche verso una particolare situazione) tipicamente il terapeuta aiuta il paziente ad affrontare la situazione temuta per gradi, aiutandolo in questo modo direttamente a controllare la propria reazione e a non fuggire davanti allo stimolo.
Mentre da un punto di vista cognitivo la terapia Aiuta ad individuare i pensieri ricorrenti, gli schemi fissi di ragionamento e di interpretazione della realtà – per esempio “non sono capace”, “fallisco sempre”- che sono concomitanti alle forti e persistenti emozioni problematiche vissute dal paziente. Coadiuva nella correzione, nell’arricchimento, integrandoli con altri pensieri più realistici, o, comunque, più funzionali al proprio benessere.
Psicoterapia sistemico relazionale
L’ultimo orientamento in questo articolo è quello sistemico relazionale. Secondo questa prospettiva l’elemento fondamentale nell’interpretare e trattare il sintomo del paziente è l’analisi del contesto relazionale, familiare e culturale nel quale si è sviluppato.Il problema quindi non viene ricercato solo nella persona, ma tra le persone. Si parla spesso in questo approccio di “paziente designato”.
Anche la soluzione stessa del problema va ricercata nella relazione, non solamente all’interno del paziente stesso.
Possiamo far risalire le teorie sistemiche alla scuola di Palo Alto che in un albero genealogico di questo approccio risulterebbe l’antenato in comune tra tutte le prospettive sistemiche.
Qui viene sviluppato il concetto dell’omeostasi familiare: l’insorgenza e la persistenza di diversi disturbi può essere spiegata con il fatto che famiglie tendano ad autoregolarsi come un sistema per mantenere uno stato di base. Questo concetto venne usato a lungo termine anche per spiegare la resistenza e le difficoltà incontrate dal terapeuta nell’indurre un cambiamento da parte del paziente.
Le forze omeostatiche quindi sarebbero quelle messe in atto dai sistemi familiari per annullare o depotenziare messaggi di cambiamento e mantenere lo status quo.
Il terapeuta deve quindi porsi come figura dissonante, ma allo stesso tempo trovare dei fattori di affinità partire da degli elementi che vengono accettati dal sistema familiare per indurre al cambiamento.
Il primo prerequisito è che la persona sia li davvero per sua volontà che senta almeno l’esigenza di conoscere la possibilità di un cambiamento. Non sempre, anzi, raramente i pazienti sanno esattamente ciò che desiderano cambiare. Alla base della riuscita di una terapia sistemica vi è però la curiosità rispetto al proprio mondo interiore.
Il compito della terapia sistemica è fornire al paziente gli strumenti per operare nel suo ambiente uno spostamento di prospettiva e rendere così visibili delle nuove possibilità.
La parola sistemico-relazionale è spesso associata al sistema della famiglia ma non significa che si possa lavorare solo in un contesto di terapia famigliare. Anche la terapia sistemica infatti è aperta alla possibilità di recuperare il concetto di soggetto contestuale e lavorare sulla personalità dell’individuo ma inquadra il paziente come esito emergente di una storia sistemica sommersa.
Tutti hanno vinto, tutti hanno diritto a un premio (Lewis Carrol)
Al termine di questa descrizione di tre linee di pensiero e approcci psicoterapeutici è importante introdurre un ulteriore elemento da tenere presente nella scelta di quale percorso di psicoterapia intraprendere: i fattori aspecifici.
Quando parliamo di fattori aspecifici in questo contesto ci riferiamo a tutti quegli elementi che, a prescindere dallo stile e dall’impostazione teorica del terapeuta, sembrano essere particolarmente importanti nel determinare l’esito della terapia stessa.
Elementi quali la credibilità del terapeuta, la sua esperienza ed abilità, le capacità di ascolto, il senso di accettazione trasmesso al paziente, l’empatia, la capacità di focalizzare l’attenzione del paziente sull’esperienza affettiva accomunano la maggior parte delle terapie di successo indipendentemente dall’orientamento del terapeuta.
E’ importante ricordare infine che non esiste un approccio che abbia dimostrato una sostanziale differenza di efficacia rispetto agli altri.
Per descrivere questo interessante risultato viene spesso usata una citazione di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll: “Tutti hanno vinto e tutti hanno diritto a un premio”.
Ognuno di questi approcci può risultare più utile degli altri per una determinata persona in una situazione specifica. Ognuna delle numerose scuole di psicoterapia contribuisce a leggere la realtà del paziente da una prospettiva diversa e le diverse spiegazioni del fenomeno dovrebbero essere interpretate come complementari più che in contrapposizione.