*Ci piace
A pochi giorni dall’uscita di “Strappare lungo i bordi” – la serie Netflix dalla penna (e matita) di Michele Rech AKA Zerocalcare – gli animi della critica si sono infiammati per via di una scelta linguistica dell’artista. La disputa si è accesa in particolar modo sull’utilizzo del dialetto romano. Una scelta che ha diviso l’opinione pubblica tra chi difende la caratterizzazione dei personaggi di una serie ambientata nel quartiere di Rebibbia, e chi considera l’idioma “incomprensibile” o volgare.
A questo punto sorgono una serie d’interrogativi sulla coerenza della pur ridotta minoranza di critici linguistici di Zerocalcare. Siamo o non siamo gli stessi che andavano al cinema per vedere l’ultimo Cinepanettone in cui risuonava quasi come una tradizione il “Ma-va-a-mmorì-ammazzato” di Christian De Sica?
Siamo o non siamo gli stessi che sono sopravvissuti anni ricordando Vacanze di Natale ’83 in cui il “politically correct” non esisteva e la scena must era quella in cui sempre De Sica, rivolgendosi alla cameriera di Casa Covelli esclama: “Assuncion, dichiarare il secondo!” oppure “Assuncion, portame na pera così me scioglie er mantecato de mamma!”.
Abbiamo riso e rivisto le scene in loop miliardi di volte e nessuno, nemmeno i più distanti geograficamente, ha mai contestato il romanaccio che in nessuna di queste commedie poteva mancare. Il dialetto di per sé è parte della storia del cinema del nostro paese.
Allora perché questa eccezione?
Nessuno avrebbe avuto il coraggio di dire a Totò di non inserire espressioni napoletane nei suoi film, nessuno avrebbe chiesto ad Alberto Sordi di cambiare il suo accento. In questo caso la situazione cambia, e quella che è comunque espressione di un artista viene contestata come se essa stessa dovesse adeguarsi al pubblico.
Un’insolita rappresentazione di vita
Sì è vero che ad oggi i prodotti cinematografici o seriali arrivano in tutto il mondo e che devono essere di facile interpretazione per tutti, ma che cosa cambia da quelle del passato? Tantissimi punti interrogativi che portano a pensare che forse è anche perché un po’ ce rode che non ci siano scenari perfetti, personaggi positivi fin da subito, paesaggi sognanti. La nuda e cruda realtà non ci piace, così come non ci piace la rappresentazione di una vita in cui ci si auto-percepisce veramente come “difettosi”.
Quella di Zero può essere la vita di una qualsiasi persona all’interno della società in cui viviamo, un popolo di irrisolti, insoddisfatti e inadeguati che non sono parte di un mondo che ci vuole tutti con vite esemplari e da copertina in cui l’insoddisfazione personale non è contemplata, dove non è possibile essere infelici, bisogna rincorrere la palla della felicità a tutti i costi, altrimenti siamo diversi e quindi non andiamo bene.
È davvero tutta una questione di dialetto?
Non datecela a bere, la lingua è un punto di partenza per iniziare a dire che se non parli un linguaggio comprensibile a tutti allora ti sta bene se sei un relegato ad un mondo tutto tuo. Ti sta bene se sei uno che non ha grandi occasioni di svolta durante la tua esistenza, ti sta bene se poi ad un certo punto ti crolla tutto addosso e la vita ti sbatte in faccia che non sei come tutti gli altri che, bene o male qualcosa hanno fatto.
Secco è la rappresentazione di chi è partito con questo spirito fin dall’infanzia: non dà niente e non chiede niente, al massimo un gelato! Sara rincorre il sogno di diventare professoressa e non molla nemmeno quando finisce a servire caffè in un ufficio in cui tutti ignorano la sua presenza, eppure la sua “resilienza”- parola abusata in questi anni, ma che per fortuna non compare nel dizionario romanesco – non solleva la sua condizione di insoddisfatta. Zero sta a metà, non schifa il successo personale però nemmeno “si ammazza” per raggiungere i suoi traguardi.
Ci si è focalizzati sul dialetto, rappresentazione e linguaggio, e pochi hanno colto tutto quello che Zerocalcare ci ha mostrato. Alice, la ragazza di cui si innamora Zero, è vittima dello stesso sistema che nella realtà si è attivato per cercare di fare terra bruciata attorno a questa serie. Alice si ammazza perché perde il lavoro a cui aveva aspirato da sempre e si sente inadatta rispetto al mondo che la circonda. Subisce la sconfitta ed è costretta a tornare nel suo paese di origine ma il peso di essere un fallimento è troppo forte per lei, e quindi basta, la vita non è più così importante se così disseminata di ingiustizie e irriconoscenza.
Ora, sicuramente Michele Rech non avrà bisogno del consenso della “giuria popolare” che si dibatte per far valere le proprie ragioni, eppure ci ha mostrato cosa voglia dire fare le cose in maniera diversa andando letteralmente controcorrente. Ma poi riflettiamo: sono gli stessi che hanno guardato Squid Game in coreano con i sottotitoli e adesso stanno a discutere sul dialetto romano.
La morale in Strappare lungo i bordi, è cruda e crudele. Se proprio volessimo levare il brusio insensato creatosi attorno, potremmo citare un altro “romanaccio” esordendo con:
A lui comunque, se siete riusciti a riconoscere la citazione, avreste applaudito!