Con “Donne Sportive”, The Pitch vuole aprire ed approfondire una finestra che da troppo tempo non viene illuminata. Lo sport femminile per decenni ha dovuto subire discriminazioni immotivate che hanno terribilmente limitato la crescita di questo ambito. Le differenze, come vedremo nei vari racconti, sono sempre state enormi andando a minare i sani valori che lo sport offre da secoli. Nonostante ciò, la figura della donna nel mondo sportivo ha regalato delle storie da brividi che proviamo umilmente a raccontare. Al centro di questa puntata c’è la storia imperfetta di Nadia Comaneci. Dal forte impatto con l’agonismo al tentato suicidio e la fuga dalla sua Romania: in pedana sempre impeccabile, fuori sommersa dalla pressione troppo forte da sorreggere. Nonostante tutto, è diventata un esempio per le nuove leve della ginnastica, anche per il suo impegno nel sociale.
La storia di Nadia inizia in quello che probabilmente è stato il periodo più buio della Romania. Quando la futura ginnasta ha appena 5 anni, sale al potere il “dittatore mascherato” Nicolae Ceaușescu. Staccandosi dall’influenza dell’URSS, la Romania affronta uno dei regimi dittatoriali più duri e allo stesso tempo preso sotto gamba dell’Est Europa. Ma per il momento questo non tocca minimamente la protagonista di oggi.
Quando Ceaușescu diventa presidente, Nadia fa ginnastica già da due anni. Nonostante la tenerissima età, il talento è già ben evidente. Tant’è che ad appena 6 anni viene presa nella scuola di Bela Karolyi. Sarà lui a plasmare in tutto e per tutto Nadia e a regalare al mondo la ginnasta più forte di sempre, con metodi non sempre ortodossi.
Il 10 che ha fatto saltare i computer di Montreal
La svolta, per entrambi, arriva alle Olimpiadi di Montreal del 1976. Dopo qualche risultato deludente in patria, Nadia Comaneci aveva iniziato a inanellare vittorie su vittorie, anche a livello europeo, che l’hanno portata a soli 14 anni ad essere la protagonista delle Olimpiadi. Tra lei e la trave c’era un feeling fuori da ogni concezione umana. Un legame che verrà consolidato dal primo “10” perfetto nella storia della ginnastica artistica. E non sarà un caso isolato: in quell’Olimpiade raggiungerà quel punteggio per ben sette volte.
I computer di gara erano pronti al crash ogni qualvolta scendeva in pedana la ginnasta romena. Infatti quella di Montreal fu una delle prime edizioni in cui si calcolavano i punteggi con quelli che all’epoca erano ritenuti solo degli “aggeggi ingombranti”. I grandi calcolatori dell’epoca erano stati programmati per calcolare fino al 9,99: troppo poco per il talento cristallino di Nadia Comaneci. I record abbattuti dalla ginnasta a Montreal sono un qualcosa di impensabile. E molti resteranno indelebili, come quello dell’atleta più giovane a conquistare un oro a 14 anni, mentre ora l’età minima per partecipare è 16.
Simbolo involontario del regime romeno
Ritornata in patria, venne accolta come un’eroina. Aveva fatto onore alla figura romena nel mondo. Gongola Ceaușescu, che ha trovato in lei la perfetta ambasciatrice del nuovo regime. Nadia era poco più che una ragazzina, anche incosciente di quello che stava succedendo al suo Paese, ma soprattutto alla sua vita. Divenne la pupilla del Presidente, che la obbligherà a intraprendere una relazione con suo fratello Nicu, personaggio a dir poco ambiguo che sottopone Nadia ad abusi fisici e mentali. La relazione finì dopo cinque anni, ma quei segni la ragazza li porterà a vita.
Tornando alla pedana, le sue prestazioni rimarranno di pregevolissima fattura. Prove che le permetteranno di confermare dopo quattro anni l’oro alla sua amata trave, la prima di sempre a riuscirci. La sua fama la porterà a fare un tour negli Stati Uniti nel 1981. Quella spedizione le cambia per sempre la vita.
I suoi allenatori, Bela e Marta Karolyi, si sono resi conto di quello che sta succedendo in Romania e non vogliono far ritorno a casa. Approfittano dell’occasione per rimanere negli States, dove diventeranno i coach della nazionale statunitense di ginnastica artistica. Proveranno a convincere anche Nadia, che era come una figlia per loro: l’hanno vista crescere atleticamente e umanamente, non vogliono lasciarla in pasto al regime. Lei però non si fida dei suoi allenatori, negli anni hanno dimostrato più volte di potergli fare del male; tra ormoni e dieta da carcere la crescita della piccola Nadia è stata certamente condizionata dai Karolyi. Ma forse quella volta avevano ragione.
La caduta dell’atleta e della donna
Da lì la storia cambia drasticamente. Ceaușescu ha paura che possa disertare anche lei, è troppo fondamentale per la sua propaganda (come insegnano i suoi “colleghi” che hanno terrorizzato il mondo intero). Viene monitorata ventiquattro ore su ventiquattro dall’esercito, le viene impedito di uscire dal Paese e rimarrà segregata per anni. Questo è il periodo più buio della sia vita, dove tenterà anche il suicidio bevendo un bicchiere di candeggina. Dopo il ritiro prima di Los Angeles 1984, Nadia trova una nuova forza. Non sulla trave ma nella vita vera, dove è sempre stata un po’ alienata.
La forza ritrovata
Diventa per un breve periodo allenatrice, per poi scappare via per sempre. Dopo venti giorni esatti dalla caduta del muro di Berlino, Nadia cammina per sei ore attraversando il confine con l’Ungheria dove da lì girerà il mondo e si allontanerà il più possibile dalla sua patria. Passa prima per l’Austria, poi per il Canada fino agli Stati Uniti dove, le viene concesso l’asilo politico. Negli States si crea una nuova vita buttandosi nel mondo della moda sportiva. Potrà tornare in Romania solamente dopo la rivoluzione romena, ma i ricordi sono troppi e lei non ci tiene molto a tornare in quel Paese, che tanto le aveva dato ma che l’ha privata di molto di più.
Nel 1999 diventa la prima atleta invitata a parlare alle Nazioni Unite. Il suo è un esempio da seguire per tutti, anche fuori dal mondo della ginnastica. Usata come propaganda del regime dittatoriale, ha dimostrato che lo sport è anche molto di più, sia nel bene che nel male.