“Sembra un film”. L’abbiamo pensato in tanti, storditi davanti all’edizione straordinaria del TG, quando abbiamo visto per la prima volta quelle immagini. Aerei che si schiantano contro grattacieli; esplosioni di cenere e polvere; masse di persone in fuga. Sono tutte immagini da blockbuster estivo. O almeno lo erano, fino all’11 Settembre 2001.
Gli anni ’80 e ’90 ci hanno regalato una vasta filmografia di pellicole allegramente catastrofiste. Apocalissi zombie e meteoriti da fine del mondo, fenomeni naturali assassini e invasioni aliene. Erano un “what if?” innocuo e divertente, un modo per sperimentare l’adrenalina del conflitto standosene seduti comodi in poltrona al cinema. Al sicuro. Perché così ci sentivamo fino al 2001, in quanto ricca civiltà occidentale: sicuri, intoccabili. E quindi anche liberi di esplorare nella fiction scenari di violenza che credevamo impossibili nella vita vera.
Poi è arrivato Ground Zero, la guerra del terrore. La consapevolezza – non solo statunitense, ma globale – che nessuno è davvero al sicuro. Massacri ed esplosioni di finzione hanno smesso di intrattenerci. La distruzione su larga scala non era più un esercizio intellettuale per chiederci come ci saremmo comportati in situazione estreme. Adesso la distruzione era reale, e non sempre le reazioni reali ci erano piaciute.
Cinema e tv accolsero questo sentimento con quella che assomiglia molto alla prima delle 5 fasi del lutto: la negazione. Disastri ed esplosioni furono falciati dagli schermi. La stessa immagine delle Torri Gemelle fu eliminata, a volte ricorrendo alla computer-grafica, da film e serie già completi come Armageddon, Spiderman e Sex & The City. Film in produzione quali Lilo & Stitch e The Bourne Identity furono rimandati o riscritti. Da Friends e I Simpsons scomparvero scene o interi episodi che richiamassero l’11 Settembre alla mente degli spettatori.
Certo, non tutti condivisero queste misure drastiche. Donnie Darko uscì un mese dopo l’attacco, e fu penalizzato per le sue atmosfere cupe. Il regista Spike Lee, con La 25esima ora del 2002, sfidò il tabù inserendo riferimenti all’attentato. Fu una delle poche eccezioni alla convinzione che si dovessero tutelare gli spettatori da un ricordo scioccante, nell’ondata di rinvii e cancellazioni che era un modo per mostrare rispetto alle vittime. O forse, cinicamente, per evitare il flop al botteghino.
Ma non si può rifiutare il pensiero di un evento a lungo. Il mondo, ormai, era cambiato. L’arte e l’intrattenimento riflettevano e alimentavano il cambiamento con storie che, per quanto distanti dall’evento che ha fatto da spartiacque nel nostro tempo, sono inestricabilmente collegate a esso.
Homeland e Zero Dark Thirty, 24 e The Hurt Locker: sono esempi di film e serie tv che senza rappresentare direttamente l’11 Settembre ne raccolgono l’eredità. Un’epoca di paura e diffidenza, orgoglio nazionalista, desiderio di rivalsa e consapevolezza di combattere una guerra sporca. L’attentato vero e proprio rimase materia da documentario, uno su tutti Fahrenheit 9/11, mentre chi tentava di raccontarlo con gli strumenti della narrativa rischiava di finire sommerso dalle critiche. Fu la sorte di World Trade Center, rigettato in modo quasi unanime dalla critica come il peggior film di Oliver Stone. L’attacco finì per diventare un elemento sullo sfondo di pellicole romantiche come Remember Me, o racconti di formazione come Molto forte, incredibilmente vicino.
Col tempo, siamo tornati a goderci le esplosioni, le grandiose scene d’azione, le città rase al suolo. Ma con un altro spirito. L’esempio più lampante è stato La guerra dei mondi di Spielberg. Era la classica storia in cui terrificanti alieni attaccano il pianeta Terra, ma se paragonato ai suoi omologhi pre-2001, come Mars Attacks o Independence Day, la differenza è lampante. Prima, umorismo a tratti demenziale e lieto fine ricco d’azione e patriottismo stemperavano il tema dello straniero invasore, che attacca senza preavviso popolazioni inermi nel cuore della loro patria. Dopo, le atmosfere si fanno cupe, il cinismo prevale sull’idealismo. La minaccia esterna ed improvvisa, anziché unire i protagonisti nella lotta, li divide in una disordinata fuga verso la sopravvivenza. Non c’è riscatto nella violenza, solo dolore e distruzione insensati.
Oggi ci siamo distanziati da tanto pessimismo, ma si nota ancora una certa sensibilità nel genere che più di tutti caratterizza questo periodo, il cine-comic. Le scene di battaglia vengono “ripulite” da eccessi di violenza, non c’è quasi sangue, e si svolgono spesso in luoghi lontani dalle masse di civili. E se proprio deve esserci il grande conflitto con palazzi disintegrati, avrà luogo solo nel terzo atto. Basti pensare a Man of Steel o alla saga degli Avengers, produzioni che poi hanno anche avuto cura – con alterne fortune – di raccontare le conseguenze a lungo termine di tanta devastazione.
Questa prudenza significa forse che il lutto collettivo dell’11 Settembre non ha ancora raggiunto la sua fase finale, l’accettazione? Semmai, è la dimostrazione che si è raggiunta una consapevolezza: non si può tornare indietro. Non c’è una scadenza, come questi vent’anni dall’attentato, oltre la quale tutto torna come prima. Né ci si può aspettare che qualcuno riesca, magicamente, a raccontare ogni sfumatura di quel giorno in un solo prodotto, cinematografico o televisivo che sia. Si è cercato di dimenticare, di escludere, di tagliare via l’11 Settembre dai nostri schermi. Ma ci è arrivato comunque. Goccia a goccia, evidente o nascosto, deliberatamente o meno, diviso in innumerevoli storie diversissime tra loro.
E altre storie ancora potrebbero, finalmente, inquadrare l’attacco al di là delle facili retoriche, del dolore ancora vivo, della paura del cambiamento e della nostalgia di un “prima” idilliaco che non è mai esistito e vive solo nel ricordo di chi nel 2001 aveva abbastanza anni per esserne segnato. Ci saranno nuovi registi e sceneggiatori, nuovi artisti che saranno in grado di guardare a quanto è successo vent’anni fa con una lucidità nuova. Perché quel prima non l’hanno mai conosciuto, se non attraverso vecchie immagini su uno schermo. Sembrava un film.