I racconti di chi c’era veramente e con orrore ricorda tutto dell’11 settembre 2001: il buio, cosa stava facendo, il primo pensiero, non appena il cervello ha ripreso a funzionare dopo lo shock. Tutti conoscono questa storia, ma pochi possono dire di averla vissuta. Ed ecco quindi grazie alle voci di chi era lì durante l’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle di New York, nuova luce viene data ai fatti da chi ha vissuto quell’orrore, in una calda mattina di iniziata come tutte le altre. La loro vita sarebbe cambiata per sempre, come quella di tutti noi, ma allora ancora non lo sapevamo. Oggi, ricordiamo con dolore le voci di chi non può più raccontare quell’attentato dell’11 Settembre, e quelle di chi invece ripercorre piangendo quella mattina.
L’orrore e lo sgomento di chi quella polvere l’ha respirata, di chi è corso per la strada, naso all’insù, piangendo, tremando, mentre un milione di domande si affollavano in testa. Un urlo che si blocca in gola e che non si può descrivere. La paura, l’incredulità, e capire che no, non è un film. E’ tutto vero. Caso e coincidenza si fondono con l’imprevisto e a volte significano vita o morte, testimonianza o perdita.
La voce di Lucy
La nostra guida turistica a New York, Lucy, ci raccontò nel 2013, che la prima cosa a cui aveva pensato era che stessero bombardando la città. “Tutti hanno cominciato a correre verso i supermercati, saccheggiando tutto quello che trovavano, pensavano di essere sotto assedio, racconta, e anche io mi sono affrettata a prendere quello che potevo, lasciando quel poco che avevo sul banco, cinquanta dollari.” Mentre l’autobus sobbalzava ad ogni semaforo, nell’agosto di dodici anni dopo, il mezzo ci portava più vicino alla Freedom Tower. Dove un tempo c’erano le Torri Gemelle in quello che era il World Trade Center, oggi ci sono due sagome dove l’acqua scorre continua, un inno alla vita e al fluire del tempo.
Ricorda ancora la colonna di fumo, Lucy, un boato e poi le urla. Si trovava a qualche chilometro dalle Torri, non ha capito subito cosa fosse successo, hanno iniziato tutti a correre. Lei ha fatto come gli altri, è scappata senza sapere dove, né perché. Mentre raccontava, un velo umido le copriva gli occhi.
La voce di Martina
Ma ci sono voci su quell’attentato di Settembre a New York che partono anche da vicino a noi. Ricordiamo la testimonianza dell’emiliana Martina Gasperotti che si trovava nella Grande Mela per studiare. Stava per salire sull’ascensore della Torre Nord quando il primo aereo colpì l’edificio. “Ricordo le Torri, una integra, l’altra distrutta. Ecco l’immagine che mi torna alla mente.”
La voce di Stanley
Se Martina deve ad una manciata di minuti il fatto di essere ancora viva, la storia di Stanley Praimnath è ancora più incredibile. Si trovava all’81° piano in una comune mattinata di lavoro alla Banca Fuji. Dopo l’attentato alla Torre Nord, Stanley e altri colleghi corsero al pianterreno dell’edificio, nella convinzione che, vista l’emergenza, dovessero evacuare l’edificio. Una volta arrivati alla reception però, una guardia di sicurezza li convinse a tornare ai loro uffici all’81°. Lì Stanley prese la telefonata di una conoscente, che avendo saputo dell’attacco all’altra Torre, voleva assicurarsi che stesse bene. Mentre le parlava, vide con la coda dell’occhio una macchia farsi sempre più grande e vicina. Si buttò sotto la sua scrivania appena in tempo: il secondo aereo colpì la Torre Sud un paio di livelli sotto quello di Stanley, facendo crollare il soffitto. L’uomo sopravvisse miracolosamente all’impatto.
Corse fuori e con l’aiuto di altri impiegati dei piani superiori riuscì ad arrivare alle scale, bloccate in gran parte dalle macerie. Con grande spirito di iniziativa, Praimnath e un altro impiegato decisero di scendere la scale invece di dirigersi sul tetto come gli altri. Furono fortunati, perché scesero l’unica scala rimasta intatta dopo l’impatto. Arrivarono illesi al piano terra poco prima che l’edificio crollasse, trovando riparo lì vicino. Il crollo si portò via gli ultimi superstiti che avevano cercato riparo sul tetto.
Ma il caso gioca ancora una volta un ruolo determinante, questa volta nel ricordo di quei primi attimi, quando ancora nessuno stava guardando in su, quando ancora tutto scorreva fluido e nell’usuale traffico di Manhattan.
La voce di Jules e Gédéon
Jules e Gédéon Naudet sono due registi francesi che si trovavano nell’area del World Trade Center per raccogliere materiale da inserire nel loro documentario sui Vigili del Fuoco di New York. In particolare, decisero di seguire un newbie, Tony Benetatos durante una sua uscita con i compagni per una fuga di gas tra Church Street e Lispenard Street. Sono riusciti a riprendere l’esatto momento del primo schianto, chissà come, lassù, nel blu intenso, “tirato a lucido” come disse nel 2019 il Capitano Jay Jonas, dell’unità di soccorso Ladder 6, Dipartimento dei Vigili del Fuoco.
La voce di Donna
Donna Jensen viveva nel Battery Park City, un quartiere vicino al World Trade Center. Ricorda il rumore dei vetri, piccoli scoppi ritmati che continuavano incessantemente, mentre le superfici si scaldavano sempre di più. “Pensavo fossero detriti delle esplosioni, ma guardando meglio vidi che era una persona, racconta, ero molto vicina. Era un ragazzo, con una camicia bianca, cravatta nera, pantaloni neri ed erano neri anche i capelli. Cadeva di testa e guardava nella mia direzione, le braccia alzate. Sembrava sereno. […] Non stava soffrendo, semplicemente planava giù. A quel punto ho dovuto voltarmi.” In tanti concorderanno con lei giorni dopo, sul fatto che i jumper, le vittime che decisero di saltare spinti forse dalle altissime temperature negli uffici, dal fumo, dalla paura, avessero accettato infine il loro destino e si preparassero, nella caduta, a morire.
La voce di Bruno
Infine in tanti ricordano il silenzio. Paradossale a ripensarci, che in un momento di tale distruzione, di perdita e caos, di ribaltamento della realtà, ci fosse silenzio. Bruno Dellinger è uno di questi. Francese di nascita, nel 2001 lavorava a New York dove gestiva la sua attività e scriveva libri. Il suo ufficio era al 47° piano della Torre Nord. Ricorda il cielo diventare nero, i detriti e la polvere ovunque. “Sembrava la guerra, racconta, ma non so ancora perché quel giorno non sono morto.” Il rombo dei reattori, gli impiegati nel panico, il rumore di ferraglia. “Improvvisamente non potevo più respirare, ero morto, o almeno così credevo.” e poi, “L’aria era talmente densa che non si sentiva nessun rumore, dopo. Solo un silenzio mortale.”
Molte testimonianze sono concentrate sul durante, molte altre sul prima. Il dopo è più difficile da portare alla mente, complice lo shock e lo smarrimento provati in quel momento. Il vento caldo sul viso, la polvere, il fuoco, il rumore, i morti, i minuti eterni. Ma soprattutto le voci.
Le altre voci
Ferme e professionali, come quella dell’assistente di volo Betty Ong che dal volo American Airlines 11 riuscì a descrivere la situazione degli ostaggi a bordo, la dinamica del dirottamento e a fornire informazioni dettagliate che furono fondamentali per stabilire l’identità dei dirottatori. Sono voci rotte dal pianto, come quella di Beverly Eckert, moglie di Sean Rooney, vice responsabile della gestione del rischio presso la Aon Corporation, Torre Sud, 98° piano, che riuscì a telefonarle e fino alla fine, dirle che l’amava. Voci del ricordo e della speranza più serena, quelle delle interviste di familiari, amici e Vigili del fuoco e tutti coloro che quel giorno hanno perso e donato qualcosa, raccolte nel progetto Oral Histories promosso dal 9/11 Memorial Museum. Sono le voci della coincidenza, del caso, della fortuna e dell’amore. Raramente della disperazione.
Sono le voci di tutti noi, che vent’anni dopo sono sempre forti e forse, si levano ancora più in alto per non dimenticare mai.
https://www.chronicle.com/article/new-yorks-9-11-an-oral-archive-takes-shape/
https://www.francetvinfo.fr/monde/11-septembre-2001-une-date-a-jamais-marquee-dans-ma-memoire_1817979.html