Mentre il dibattito sulla rimozione dei sussidi sul carburante continua a scuotere il paese dei cedri, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, in occasione del decimo giorno del mese di Muharram e della commemorazione dell’Ashura, ha annunciato che nei prossimi giorni arriveranno dall’Iran diversi container di petrolio, sfidando le sanzioni imposte dagli Stati Uniti nel corso dell’amministrazione di Donald Trump. Tema, quello delle sanzioni, che è stato largamente affrontato dal neo presidente iraniano Ebrahim Raisi nel discorso di insediamento dello scorso 5 agosto.
Il tentativo di rafforzare l’asse sciita tra il Partito di Dio e Teheran arriva simbolicamente proprio in coincidenza con la più importante ricorrenza per l’Islam sciita, anche se la volontà di importare petrolio dall’Iran era già stata sbandierata da Nasrallah negli scorsi mesi. Si tratta, in larga parte, di pura propaganda e la soluzione non sembra sostenibile neppure nel medio periodo. Nelle scorse settimane il rischio di escalation con Israele e il lancio di razzi dei miliziani di Hezbollah avevano fatto salire la tensione nei villaggi a sud del Libano, e il tentativo di alcuni cittadini drusi di intercettare i camion usati per trasportare i razzi del Partito di Dio ha evidenziato, per la prima volta, come la retorica anti-israeliana non sia più sufficiente a giustificare il perenne stato di allerta, soprattutto mentre il Paese dei Cedri attraversa una crisi economica senza precedenti.
Nasrallah e il suo movimento sono stati accusati, a più riprese, di utilizzare le escalation con Israele per ricompattare l’opinione pubblica dei cittadini libanesi, largamente favorevole alla retorica anti-sionista, e per rafforzare il sistema clientelare e assistenzialista messo in piedi negli ultimi decenni, attraverso il quale il Partito di Dio ha parzialmente contribuito a sopperire alle mancanze e ai vuoti di potere dello stato libanese.
Da ormai quasi due anni il movimento è sottoposto a dure critiche da parte della popolazione libanese, e gli scontri avvenuti tra i manifestanti della thawra e i sostenitori di Hezbollah già alla fine del 2019 testimoniano come il Partito di Dio si sia trasformato definitivamente in uno dei cardini della conservazione e abbia sacrificato ogni forma di slancio rivoluzionario in nome del proprio consolidamento come attore para-statale e della resistenza al nemico israeliano. L’esplosione del porto di Beirut dello scorso 4 agosto ha poi causato un ulteriore danno d’immagine per Hezbollah, e nonostante le dichiarazioni di Nasrallah volte a bollare le indagini del giudice Tarik Bitar come “politicizzate” è evidente che il momento per il principale partito sciita libanese è particolarmente critico.
Il tentativo di Nasrallah di far arrivare il carburante dall’Iran, oltre a costituire una mossa per certi versi scontata vista la tremenda crisi in corso, può servire a rafforzare la base di consenso tra la popolazione sciita libanese e a restituire vigore alla retorica secondo cui il Partito di Dio rappresenta il difensore e il protettore del popolo libanese nei confronti di sionismo e imperialismo. Una retorica che ha perso di consistenza negli ultimi anni, ma che ha storicamente permesso all’Iran e a suoi alleati regionali di dare vita alll’”asse della resistenza” (muqawama) nei confronti di Israele e degli Stati Uniti che con le loro sanzioni strangolano le economie di Iran e Siria, e, indirettamente, del Libano\\\\\\\\\. In un momento in cui il rischio di escalation con il vicino israeliano non sembra essere del tutto sufficiente a riunire l’opinione pubblica libanese e a eliminare la ruggine degli ultimi mesi, il legame con Teheran in funzione assistenziale può essere, per Hezbollah, una carta da giocare per recuperare credito alla luce della drammatica situazione sociale, politica ed economica del paese dei cedri.
Proprio ieri l’aviazione israeliana ha violato per l’ennesima volta lo spazio aereo libanese prima di compiere dei raid nell’area delle città di Damasco e Homs in Siria, uccidendo quattro miliziani del Partito di Dio. Beirut ha presentato alla Nazioni Unite una denuncia contro Israele per la violazione del proprio spazio aereo, e il capo della missione UNIFIL, l’italiano Stefano Del Col, ha a sua volta fatto notare come l’azione israeliana non rispetti i termini della risoluzione 1701 che aveva messo fine alla guerra del 2006. Negli ultimi anni Israele ha ripetutamente attaccato le postazioni di Hezbollah in Siria, e circa due settimane fa al confine tra Libano e Israele si è verificata la peggiore escalation proprio dalla guerra di 15 anni fa. Da quando, cioè, anche a causa del ritiro delle truppe siriane dal Libano, Hezbollah si è definitivamente guadagnato il ruolo di protettore del popolo libanese nei confronti dell’ingerenza israeliana. Un ruolo che, ora, viene messo in forte discussione dal deterioramento socio-economico del paese dei cedri e da un contesto internazionale in cui la normalizzazione dei rapporti con Israele da parte di molti paesi sta cambiando la geografia regionale.
Com’era già emerso con chiarezza dopo l’uccisione del generale Qassem Soleimani nel gennaio del 2020, i prossimi anni saranno segnati dalla scontro e dalla tensione tra la “resistenza” antimperialista incarnata dall’Iran e dai suoi alleati e la “rivoluzione” per la libertà e i diritti civili di chi protesta e scende in piazza negli stessi paesi. E’ difficile prevedere quale sarà l’esito di questo scontro; quel che è certo è che la presa sulla popolazione di molte forze tradizionali è in netto calo. La stessa scelta di portare Ebrahim Raisi alla presidenza della Repubblica Islamica dell’Iran, a fronte di un’affluenza inferiore al 50%, rappresenta la necessità di compattare le istituzioni intorno ad una figura totalmente allineata con la linea della Guida suprema Khamenei (anche in vista di una prossima successione).
Se l’esito delle elezioni presidenziali iraniane era semplicemente scontato, le votazioni del prossimo anno in Libano saranno un importante banco di prova per la tenuta di Hezbollah. Al di là di clientelismo e settarianismo, il movimento dovrà dimostrare la propria capacità di riposizionarsi in un contesto in cui le priorità della popolazione libanese sono orientate più alla sopravvivenza interna che alla sicurezza regionale. La vera sfida sarà recuperare credibilità in un contesto internazionale in cui la distinzione tra pericolosi terroristi e partner affidabili non è sempre ben delineata.