“Essere magri è più importante che essere in salute”.
Questo è solo uno dei dieci comandamenti che si possono trovare in un sito pro Ana.
Con la nascita di internet, negli Stati Uniti hanno avuto origine online i cosiddetti siti pro Ana e pro Mia, vere e proprie comunità che incitano ai disturbi alimentari che si sono successivamente diffuse in tutto il mondo. Si tratta di spazi virtuali in cui alcune persone, per la maggior parte adolescenti femmine, si scambiano consigli e informazioni con l’obiettivo di enfatizzare la perdita di peso attraverso comportamenti alimentari restrittivi, quali il digiuno, il vomito e diete ferree.
Mia è la capacità di vomitare. Ana è perfezione e controllo. Dando ai disturbi alimentari nomi propri di persona, non vengono percepiti come patologie. Al contrario, sono normalizzati. Anoressia e bulimia diventano così vere e proprie filosofie da seguire. Annagaia, un’ex frequentatrice di un gruppo pro Mia, dice che il disturbo viene percepito come un “amico”. «Le persone si attaccano talmente tanto ad Ana e Mia che si ha addirittura paura di lasciarle. È così che diventano stili di vita, perché non si vuole più vivere senza. Quando si dice “Ana e Mia sono con me” è perché ci si vuole sentire parte di un gruppo».
Questi gruppi possono essere pubblici o privati. I primi sono facilmente rintracciabili: basta cercare “thin inspiration” su internet oppure “diete veloci ed efficaci” e il gioco è fatto, appariranno numerose immagini che indirizzano a questi blog.
Più complicato invece è trovare e accedere ai siti privati. Questi possono essere account privati sui social oppure gruppi su piattaforme di messaggistica quali WhatsApp, Telegram, Kik e Discord (preferite rispetto alle prime perché meno conosciute in Italia). Particolare è la scelta dei nomi assegnati a questi gruppi, come ad esempio “Festa di compleanno” o “Cena di sabato sera”, per fare in modo che non vengano intercettati e chiusi.
Per accedere alle comunità private bisogna essere invitati oppure aggiunti, previa condivisione del numero di telefono sui siti. Successivamente, bisogna rispondere a una serie di domande: qual è il tuo peso attuale? Qual è il tuo obiettivo? Perché lo fai? Come ci hai trovati? Che cosa sei disposto a fare? Conosci già le regole?
Una volta accettato, l’aspirante membro deve inviare una serie di sue foto nudo o semi nudo e del peso sulla bilancia.
Le regole per rimanere nel gruppo sono semplici. I membri devono rispettare le diete rigide che, in media, permettono un’assunzione massima di 500 calorie al giorno. È severamente vietato prendere peso, pena la rimozione dal gruppo al quale si potrà riaccedere solo dopo aver dimostrato di essere dimagriti. È obbligatorio condividere tutto quello che si mangia e beve. Infine, bisogna sempre essere onesti.
In alcuni casi, i membri ricevono un programma alimentare basato sul conto delle calorie e che ogni settimana include almeno un giorno di digiuno.
All’interno di questi gruppi, in particolare in quelli privati, la gente condivide suggerimenti e tecniche per dimagrire, immagini, frasi motivazionali quali “ricordati che la magrezza non va mai fuori di moda”, e messaggi per incoraggiare i compagni a spingersi sempre oltre e a non mollare mai.
Angela Russo, che oggi porta avanti una campagna di sensibilizzazione contro i disturbi alimentari dopo aver provato sulla sua pelle cosa significa essere ricoverati per anoressia, afferma che sui gruppi non si parla di altro che di cibo. «Ciò che è più preoccupante di questi gruppi è che le persone si insultano continuamente a vicenda. Non ci si congratula per i traguardi raggiunti, si trova sempre un modo per offendersi per l’aspetto fisico. È spaventoso come si incitano l’un l’altro a mangiare sempre meno». Ogni volta che qualcuno dice di aver mangiato un po’ più del dovuto è concepito come inaccettabile e vergognoso. Il “traditore” viene quindi riempito di insulti. Annagaia confessa che si è come acciecati dal disturbo: «non ci si rende conto di essere così dannosi per gli altri».
Ogni comunità è organizzata in maniera gerarchica. Alla base si trovano i membri del gruppo che devono sottostare alle regole. A seguire ci sono le persone che sono viste come un esempio per i traguardi raggiunti e per la perseveranza che li contraddistingue. Infine, al vertice, ci stanno gli “Ana/Mia coach”, coloro che stabiliscono le regole e portano avanti la filosofia di Ana e Mia. Il loro ruolo è quello di guidare le persone nel disturbo, controllandone i progressi.
Il senso di comunità ha un impatto fortissimo sulla mentalità delle persone. Per natura, l’essere umano ha bisogno di sentirsi parte di un gruppo per trovare la propria identità. I membri dei gruppi pro Ana e Mia si ritrovano così in un ambiente in cui si sentono compresi e, quindi, normali. Alcuni di loro stringono veri e propri legami di amicizia, condividono i loro stati d’animo e si fanno forza a vicenda.
Raramente le persone decidono di abbandonare le comunità di loro spontanea volontà. Nella maggior parte dei casi, arrivano a un punto talmente critico che devono essere ricoverati: vengono quindi obbligati a lasciare il gruppo dai parenti e dallo psichiatra. Benedetta, ex membro di un gruppo pro Ana, è una di queste persone. «Quando ho comunicato ai miei compagni che avrei mollato tutto, hanno cominciato a insultarmi con parole pesantissime. Dicevano che stavo tradendo il nostro dio. Mi hanno addirittura detto che non ero degna di essere chiamata “anoressica”. All’epoca non potevo accettare una cosa simile».
A primo impatto sembra che le comunità pro Ana e Mia non abbiano altri interessi oltre alla manipolazione dei membri. Gli admin si sentono confortati dall’idea di poter controllare la vita degli altri, dato che non riescono a farlo con la loro. Ma non è tutto. Molte persone sono state vittime di stalking. In più, in alcuni casi, dietro alla condivisione settimanale di foto dei corpi nudi, o quasi, si cela un mercato pornografico di cui i partecipanti non sono a conoscenza. Addirittura, per garantire la segretezza dei gruppi, gli admin ricattano i membri di diffondere le loro foto.
In Italia il fenomeno è considerato illegale. Tuttavia, è difficile stabilire la natura del crimine dato che i coach stessi soffrono del problema e, per alcuni, non si possono considerare veramente responsabili dei danni che causano. In passato si sono presentate leggi che potessero contrastare il problema, ma senza successo.
Sui social network si offre supporto attraverso dei banner a chiunque faccia questo tipo di ricerche considerate pericolose ma, come affermato da Angela Russo, non è sufficiente: «nonostante questo avviso, si può comunque accedere al materiale. È come se ti dessero la possibilità di essere aiutato o meno, quando invece dovrebbe essere automatico».
Un altro problema è rappresentato dal sistema ospedaliero che, per legge, dovrebbe essere munito di un codice lilla in grado di offrire supporto immediato a chiunque abbia disturbi alimentari. Tuttavia, molti ospedali non sono attrezzati per agire rapidamente.
Negli anni, diversi gruppi sono stati chiusi, ma queste comunità continuano a proliferare come risultato dell’immenso e incontrollato mondo della rete. Recentemente, le preoccupazioni circa questi gruppi sono aumentate: grazie alla didattica a distanza, i bambini sanno come navigare sul web e, data la semplicità con la quale si possono trovare queste comunità, la minaccia che rappresentano aumenta.