È notizia di questi giorni la conquista ufficiale della prima capitale provinciale dell’Afghanistan da parte del gruppo islamista dei Talebani: si tratta di Zaranj, capoluogo della provincia del Nimruz, nei pressi del confine con l’Iran. L’avanzata è proseguita a macchia d’olio e al momento sono sette i capoluoghi conquistati. Ciò che più desta scalpore, tuttavia, sono le modalità con cui questi continui successi si susseguono: popolazione impaurita e sfiduciata che non ha altra opzione se non scappare, esercito statale completamente dissestato ed una certa collaborazione da parte delle autorità statali. Tutto ciò è il naturale frutto della decisione americana dell’ottobre 2001 di invadere un Paese che, seppur governato ai tempi da un regime fondamentalista e considerato da molti terrorista, versava in condizioni più o meno normali e pacifiche. Invasione cominciata sotto le peggiori premesse (una guerra mossa dalle emozioni e dalle passioni più profonde di tutto il popolo americano) e proseguita, se possibile, peggio: un regime talebano rovesciato in poche settimane e che si pensava vinto, una riorganizzazione sottoforma di “contro-insorgenza” affrontata dall’establishment strategico americano con operazioni di anti-terrorismo, scarsa coordinazione tra spedizione internazionale e NATO. Risultato? Chiedere a britannici e sovietici: dall’Afghanistan e dal suo territorio vastissimo ed impervio, molto semplicemente, non si esce vittoriosi. Questa la legge della storia.
Il simbolico annuncio del Presidente Biden del ritiro delle truppe entro l’11 settembre, a 20 anni da quel giorno che ha impolverato Manhattan e l’America intera, ha galvanizzato i Talebani che, di pari passo con la loro avanzata, sembrano guadagnare sempre più consensi e fiducia dalla popolazione, ma soprattutto riconoscimenti e lusinghe a livello internazionale. Partendo dallo strumentale supporto iraniano e da quello russo, si passa per un avvenimento fondamentale e molto interessante: la scorsa settimana, a Tianjin, nel nord-est della Cina, si è tenuto un incontro diplomatico “di alto livello” tra funzionari cinesi ed emissari Talebani, i quali ne sono usciti rafforzati: in passato ci erano già stati incontri di questo tipo, ma mai erano stati così pubblicizzati. Ma non solo: addirittura l’India, Paese da sempre nemico a causa della vicinanza tra Taliban e Pakistan, a luglio ha ammesso di aver allacciato, per la prima volta nella storia, contatti con i combattenti islamisti. Altre vicinanze importanti, ma più tradizionali, sono quelle con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. In tutto questo, la voce del Presidente afghano Ashraf Ghani è quanto mai inesistente; e non potrebbe essere altrimenti, diranno i malpensanti: l’accordo per il ritiro delle truppe statunitensi, raggiunto a febbraio 2020 tra americani e talebani, non ha preso mai in minima considerazione le autorità centrali riconosciute internazionalmente, che ne sono rimaste fuori. Quando c’è da salvare la pelle, gli americani, tanto attenti alla retorica moralista negli ultimi 20 anni, non si sono fatte remore nel lasciare le autorità “legittime” con le spalle al muro.
Questa la fotografia ad oggi. Cosa aspettarsi nell’immediato futuro? La capitale Kabul sembra sempre più a portata di mano, futura situazione sempre più probabile dato che dei 400 distretti afghani, più della metà è in mano ai Talebani. E la “comunità internazionale” cosiddetta? Degli Stati Uniti, che hanno inviato un emissario a Doha, abbiamo già detto e l’impressione è che siano ormai ormai concentrati sulla smobilitazione (quasi) totale; dell’inesistente politica estera e capacità di incisione dell’ Unione Europea si è parlato già abbastanza; la NATO, dopo il summit di giugno a Bruxelles, ha emanato la sua nuova, epocale dottrina, che divide di fatto il blocco in due, con i Paesi dell’Europa orientale fronte avanzato in chiave anti-russa e gli occidentali chiamati a contribuire del contenimento cinese nel Mar Cinese orientale e non solo. Dell’Afghanistan neanche l’ombra. C’è voglia di cancellare i ricordi, di far finta di niente, lavarsi le mani. Resta da vedere come si rimescoleranno le carte a livello di potenza nel quadrante medio-orientale, con i Talebani che saranno aperti a qualsiasi tipo di simil-alleanza e sponsor regionali. Ma difficilmente il nuovo regime contribuirà a far emergere un nuovo, incontrastato, egemone in questa zona.