La pandemia di Covid-19 ha definitivamente posto fine alla fase dell’idillio tra le società occidentali e una globalizzazione troppo spesso narrata in maniera unilaterale, come grande fattore di opportunità, senza considerare gli effetti sistemici sui rapporti tra popoli, nazioni, sistemi economico-sociali e apparati produttivi da essa generata. Il moltiplicarsi di crisi sistemiche (terrorismo, finanza, ambiente e da ultimo la pandemia) ha creato una cassa di risonanza per generare una forte sfiducia nella concezione della globalizzazione. Il sentimento di inquietudine che animava le piazze di Genova vent’anni fa si sfoga oggi nella consapevolezza che di questo processo le élite politiche, culturali ed economiche hanno capito ben poco.

Sulla globalizzazione vi è disparità di opinioni tra esperti e opinionisti come su pochi argomenti contemporanei: una delle principali questioni che la riguardano, ad esempio, è quella sulla data del suo inizio. Serve individuare i caratteri specifici di questa fase storica per definirla in maniera ottimale. La globalizzazione economica, ad esempio, potrebbe essere considerata iniziata già a metà XIX secolo, ad esempio con la conquista britannica dell’India che rese globale l’Impero Britannico e il suo sistema economico, sebbene obiettivamente si fosse in un contesto molto rudimentale rispetto ai giorni nostri.

I volumi di merci scambiati oggigiorno, infatti, sono decisamente più ampi; al tempo stesso, la velocizzazione dei trasporti e l’incremento delle dimensioni della rete logistica di trasporto planetario ha consentito un’accelerazione dei contatti tra i diversi sistemi del pianeta, divenuti relativamente meno costosi. La fabbrica globale risulta un fenomeno squisitamente contemporaneo: un’automobile potrebbe aver visto i suoi paraurti fabbricati in Brasile, il motore in Germania, i parabrezza in Sudafrica alla luce del principio di spacchettamento della produzione sulla base della convenienza economica. Inoltre, il fenomeno del web non ha precedenti nella storia dell’umanità, così come la dimensione dei fenomeni migratori contemporanei. La diffusione della conoscenza delle lingue tra le fasce giovanili della popolazione occidentale, inoltre, è un ulteriore fenomeno privo di precedenti storici.

L’epoca della globalizzazione presenta fenomeni completamente atipici rispetto al passato: dall’industria del turismo di massa ai nuovi flussi migratori, estesisi in quanto a numero di persone coinvolte, dall’espansione dell’influenza dei gruppi multinazionali alla maggiore velocità di espansione di un contagio epidemico, numerosi aspetti della questione vanno presi in considerazione.

La globalizzazione si sta realizzando più velocemente di quanto gli esseri umani ad essa contemporanei stiano avendo percezione mentale: ciò rappresenta un’estremizzazione di un atteggiamento comune in tutte le epoche storiche di cambiamento, in cui la percezione di una transizione è sempre stata colta in maniera non uniforme, dato che sussisteva sempre uno iato tra la produzione di un fenomeno storico e la sua percezione da parte degli esseri umani. La globalizzazione è rappresentata dalla velocità, da una velocizzazione del processo stesso di accelerazione storica, divenuto ancora più turbinoso dopo aver conosciuto significativi progressi negli ultimi secoli. Dopo esser stato percepito per millenni come enorme, il mondo nella prospettiva dell’umanità si è ristretto repentinamente; se in passato cambiamenti epocali impiegavano secoli a prender piede, oggigiorno bastano pochi decenni o addirittura pochi anni. Esempio di quest’ultima peculiarità della modernità è senz’altro l’ascesa delle tecnologie informatiche e dei computer.

L’accelerazione storica, prima caratteristica saliente della globalizzazione, supera dunque la capacità di percezione del cambiamento e delle sue influenze sul modo di vivere delle persone: la tecnologia sembra assurgere sempre di più a mezzo di controllo esterno. Si pensi, ad esempio, al fenomeno dei big data: vi è una progressione geometrica della dimensione di dati immagazzinati nella rete, che ogni anno più o meno raddoppia e viene processata da algoritmi sempre più complessi, e il rapporto tra le persone e il sapere è cambiato.

Secondo dato peculiare è da ritenersi l’insorgere della mondializzazione: ai tempi del colonialismo e dell’imperialismo, numerose regioni della Terra sfuggirono a questi fenomeni, svicolando dal dominio europeo (Impero Ottomano, Etiopia, Cina, Giappone, Thailandia, Afghanistan). La visione eurocentrica della Storia impediva all’Occidente di guardare al passato degli altri popoli con occhi diversi dai propri. Oggigiorno, la globalizzazione è l’incontro tra l’Europa (intesa in senso culturale) e l’Asia. Quest’ultima si pone oggigiorno come un nuovo centro d’influenza planetaria.

(Fonte ISPI)

La maggiore velocità delle dinamiche genera imprevedibilità e sviluppi impensati: lo studio della Storia diviene dunque un presupposto necessario alla comprensione della globalizzazione, dato che consente di ottenere gli strumenti necessari a elaborare una teoria della complessità. Questo dovrebbe portare una necessaria rivalutazione didattica delle materie umanistiche, che nel mondo globalizzato sono sempre più necessarie. Non esiste una cultura politica della globalizzazione, ed è necessario formarla: la mentalità corrente non coglie l’interdipendenza tra fenomeni e relazioni. Si hanno problemi decisamente grandi a prevedere gli effetti combinati, gli effetti ultimi delle decisioni, si ha difficoltà a pensare “in condizioni di ignoranza”. 

Nella storia, le dinamiche hanno sempre subito influenza da parte di processi e progetti. Il progetto è l’ideazione individuale di un soggetto, personale o collettivo, riguardo una determinata azione da compiere. Il processo, invece, determina dalle volontà di più soggettività e dalle interazioni reciproche tra i soggetti. Se il progetto è di parte, il processo è un’interrelazione che deve far i conti con le condizioni ambientali. Il processo di modernizzazione della Russia sovietica, ad esempio, fu assimilabile non al comunismo tout court ma all’incontro tra un progetto basato sull’ideologia comunista, le dinamiche militari e diplomatiche della Russia e le condizioni ambientali del paese

Alla base della globalizzazione si ha il progetto di estensione della modernità a tutto il mondo; per decenni si sono scontrate le due visioni del mondo, quella comunista e quella liberal-capitalistica. L’implosione del progetto sovietico portò a un passaggio della Russia al modello capitalistico e alla fine del bipolarismo; la Cina di Deng Xiaoping conciliò la struttura classica di potere comunista con un modello economico fondato su elementi di capitalismo privato e di Stato. La caduta dell’URSS aprì la strada alla nascita del modello di globalizzazione neoliberista, fondato sulla centralità dell’economia nel mondo politico e della finanza nel mondo economico. La differenza, in termini di discontinuità col passato, è rappresentata dalla artificiosità del sistema finanziario odierno: il progetto di impostare la governance mondiale e il potere in funzione degli assetti del mondo della finanza ne è stato fortemente influenzata. La globalizzazione neoliberista si caratterizzò come progetto “monopolare”, basata sull’egemonia economica, politica, tecnologica, diplomatica e militare americana. Il modello monopolare iniziò a vacillare a partire dal 2007-2008, e oggigiorno è completamente sbiadito, colpito violentemente dai numerosi insuccessi mietuti dalla potenza americana in campo internazionale sotto il profilo militare e diplomatico: il processo ha conosciuto differenze enormi rispetto al progetto elaborato dai primi “globalizzatori”.