All’interno del Lago Prespa, Europa meridionale, si incontra il punto di confine tra Albania, Grecia e Macedonia. Il lago viene nominato in maniera differente dai tre popoli, non soltanto poiché albanesi, greci e macedoni parlano tre lingue differenti, ma – elemento che da solo mostra la complessità della penisola balcanica – utilizzano anche tre alfabeti diversi: il cirillico, il greco e l’albanese.
Parlare di linguaggio e alfabeti non è un dettaglio. Proprio nelle vicinanze del lago, tra il 2018 e il 2019, venne siglato un accordo (entrato in vigore nei mesi successivi) che ha messo la parola fine a un contenzioso, fra greci e macedoni, esistente dall’inizio degli anni ’90.
Poco prima della pioggia (parafrasando il capolavoro di Mancevski), ovvero nel 1991, la regione di Skopje dichiarò la propria indipendenza dalla Jugoslavia. Proprio come fece a nord la Slovenia, sempre nel medesimo anno.
La nascita della Repubblica di Macedonia
Il nome scelto inizialmente fu Repubblica di Macedonia e fin da subito sorsero i primi grattacapi. La Grecia si oppose a tale scelta (il nome, non l’indipendenza) principalmente per due motivi.
Innanzitutto – ed è un errore comunemente diffuso – l’odierna Macedonia (del Nord) non è la stessa regione indicata come Macedonia dai greci antichi. Tale regione all’interno del confine ellenico esiste tutt’ora e il suo capoluogo è Salonnico, seconda città del paese.
Ma è soprattutto la questione storico-culturale ciò che interessa ai greci. Infatti la prima bandiera utilizzata dopo la dichiarazione d’indipendenza dalla Jugoslavia socialista ritraeva il Sole di Vergina. Non soltanto simbolo della Macedonia greca contemporanea, ma anche – secondo un’interpretazione storica non esente da dubbi – emblema della dinastia di Filippo il Macedone, padre di Alessandro Magno.
Ovviamente la vicenda ricade anche su uno dei più grandi condottieri della storia dell’umanità. Nella piazza principale di Skopje esiste una statua alta 22 metri, chiamata ufficialmente “Eroe a cavallo”.
L’animale è chiaramente Bucefalo, l’eroe che lo sta montando sarebbe anche superfluo nominarlo. Ma forse è meglio così perché, semplicemente, non si può nominare, specialmente dopo l’accordo di Prespa.
La Repubblica cambia ancora nome
Con la firma (poi ratificata dai rispettivi parlamenti) del premier greco Alexis Tsipras e del collega macedone Zoran Zaev, la ex Repubblica di Macedonia ha cambiato definitivamente nome in Macedonia del Nord e ha rinunciato all’appropriazione di simboli e raffigurazioni appartenenti alla tradizione greca antica, quali per esempio il Sole di Vergina e Alessandro Magno.
Ciò che ha ottenuto in cambio è un semplice annullamento di un veto decennale che la Grecia opponeva a un possibile ingresso della Macedonia (da adesso in poi del Nord) nella NATO e nell’Unione Europea.
Al di là delle questioni politiche e diplomatiche, risulta chiaro fin da una primissima disanima storica che, effettivamente, la Macedonia del Nord ha sempre guardato maggiormente a Belgrado, piuttosto che ad Atene.
In seguito alle due guerre balcaniche che, di fatto, hanno anticipato l’attentato di Sarajevo, l’odierna Macedonia del Nord diventò parte della Serbia prendendo il nome di Južna Srbija, ovvero Serbia meridionale.
Divenne Jugoslavia sia quando tale nome indicava il regno di Alessandro I formatosi nel 1929, sia sotto la Repubblica socialista di Tito. Dichiarò la propria indipendenza in maniera pacifica nel 1991, è entrata nella NATO l’anno scorso ed è programmato un suo ingresso nella UE nel 2025.
L’indipendenza che passa (anche) dal campo di calcio
Anche la storia calcistica della Macedonia del Nord è strettamente legata a quella jugoslava. Il più forte calciatore della storia macedone (o alla posizione numero due) è stato Darko Pancev, per noi italiani (e in particolare gli interisti) uno dei principali bidoni della storia della Serie A.
Eppure in patria, quella patria formata dalle sei repubbliche a comporre la Repubblica Popolare Federale di Jugoslavia, è stato un autentico fuoriclasse. Ha militato nella Stella Rossa dal 1988 al 1992, esattamente prima della pioggia.
Ottantaquattro gol in novantadue partite sono un ottimo biglietto da visita, e a ciò è doveroso e necessario aggiungere la Scarpa d’oro vinta nel 1991 e, soprattutto, la Coppa dei Campioni alzata al San Nicola di Bari.
Darko segna il rigore decisivo che permette alla Crvena Zvezda di laurearsi campione d’Europa, mentre in tutta la competizione i gol saranno cinque. A dicembre la squadra di Belgrado vola a Tokyo per la Coppa Intercontinentale. Pancev e i suoi schiantano nettamente i cileni del Colo-Colo e l’attaccante macedone si toglie lo sfizio di segnare il gol del definitivo 3-0.
I calciatori di quella gloriosa Stella Rossa rientrano all’aeroporto di Belgrado con la Coppa tra le mani e vengono accolti da un loro amico, Zeljko Raznatovic, in arte Arkan, capo degli ultras del Marakàna e assoluto protagonista dell’epoca successiva, stagione che nulla ha a che vedere con il mondo del calcio.
L’incredibile cavalcata europea
La rincorsa macedone a EURO 2020/1 parte da lontano e, a onore del vero, bisogna dare a Cesare quel che di Cesare. O meglio, a Ceferin quel che è di Ceferin. La nascita della non indispensabile Nations League e la conseguente complessa riforma del sistema di qualificazione all’Europeo ha permesso a nazioni calcisticamente anonime di lottare per un posto al sole.
A ottobre 2020 si sono giocate le ultime partite di qualificazione, sfide dal non eccellente contenuto tecnico ma da un corposo retrogusto geopolitico. La Georgia ha sconfitto di misura la Bielorussia, mentre la Macedonia del Nord, in un qualcosa di simile a un derby (che sarebbe stato infuocato se ci fossero stati i tifosi sugli spalti) ha eliminato il Kosovo. Il 12 novembre, nel deserto del Boris Paichadze di Tbilisi, è andato in scena lo spareggio tra georgiani e macedoni.
Posto che una parte del merito della qualificazione macedone va dato alle riforme messe in atto dal cosiddetto potere temporale, bisogna rendere merito anche a una sorta di divinità, perlomeno per il calcio macedone. Così al minuto ’56, dopo una lunga discesa del napoletano Elmas, il trentottenne Goran Pandev piazza il tap-in più importante della sua carriera infinita.
Capitano, recordman di presenze (119) e goals (37) con la maglia della Macedonia del Nord, dopo una straordinaria carriera in Italia (oltre 450 presenze e più di 100 gol), decide lo spareggio contro la Georgia e per la prima volta nella storia permette ai macedoni di disputare le fasi finali di una manifestazione calcistica.
A Skopje e dintorni è festa grande, mentre a Tbilisi Goran si inginocchia in mezzo al prato e scoppia in lacrime. Non sarà a cavallo, ma anche la Macedonia (del Nord) può vantare un proprio eroe. Questo sì, figlio legittimo di quella terra. Eroe a cui, prima o poi, qualcuno potrebbe addirittura pensare di erigere una statua.