“Don’t clean up this blood” lasciò scritto qualcuno nella palestra della scuola Diaz, dopo l’assalto da parte delle forse dell’ordine. Il sangue rappreso dei feriti, rimasto sul pavimento, non doveva essere lavato, affinché ciò che accadde la notte tra il 21 e 22 luglio del 2001 a Genova, nel corso del G8, non fosse dimenticato. Quello scempio intollerabile oggi ci appare come qualcosa di lontano irripetibile, appartenente a un tempo in cui era consentito che uomini in divisa abusassero del loro potere. E Invece no. Eravamo già nel pieno della cosiddetta Seconda Repubblica, si era appena entrati nel nuovo millennio e la coalizione da poco insediatasi al governo si faceva chiamare Popolo delle Libertà. Pochi, purtroppo, saranno coloro che verranno puniti ma se molto sappiamo di quanto accadde alla Diaz, lo dobbiamo proprio al fatto che accadde in era moderna, mentre tutto il mondo ci guardava

Quella di sabato 21 luglio 2001 passerà tristemente alla storia come la notte cilena. La notte della macelleria messicana. Secondo Amnesty International è stata la più grave sospensione dei diritti umani nel nostro Paese, a partire dal secondo dopoguerra. Tutto è cominciato a causa del lancio di una bottiglietta. Così ha decretato un giudice, ma non è affatto vero. È solo un pretesto. Una scusa. Un punto qualsiasi dal quale far cominciare una storia che ha avuto inizio molto prima. Verrà alimentato un clima infame, nei mesi che precedono il G8 di Genova. Lo spauracchio erano gli anarchici, i cosiddetti Black Block, la frangia violenta del movimento no global.

Il problema esisteva, ma venne affrontato nel modo sbagliato, militarizzando la città e ponendola in assetto di guerra. Anche la stampa contribuì: i social ancora non esistevano, eppure le fake news andarono al galoppo. Ogni giorno, giornali e telegiornali diffondevano dicerie, sentito dire, vere e proprie falsità che alimentarono i cattivi presagi. Si scrisse, ad esempio, che gli anarchici avrebbero assalito le forze dell’ordine con lanci di frutta contenente lamette. Catapulte armate di letame. Gavettoni di sangue infetto. Che si stesse preparando la contraerea, o ancora che il Ministero dell’Interno avesse acquistato 500 body bag, quelle in cui vediamo chiudere i cadaveri nel film americani. L’ingiustificata violenza e il sangue versato nei giorni del G8, saranno quindi abbondantemente profetizzati, praticamente invocati.

Le immagini dell’omicidio di Carlo Giuliani ad opera del carabiniere Mario Placanica

E la profezia, naturalmente, si autoavvera. Prima con la morte di Carlo Giuliani, ucciso da un colpo di pistola sparato da un carabiniere ausiliario, il ventunenne Mario Placanica, nel tentativo, disse, di difendersi dal lancio di un estintore. Ma i fatti non verranno mai completamente chiariti. E poi con l’assalto alla scuola Armando Diaz. La Diaz è composta da 2 edifici, le scuole Pascoli e Pertini. Questo complesso è sede dal Genoa Social Forum, nato per l’occasione da un’idea di Vittorio Agnoletto, per riunire sotto un solo tetto tutte quelle associazioni che vogliono manifestare pacificamente per le strade di Genova, nei giorni del G8. All’interno della Pascoli c’è il Media Center, fornito di computer messi a disposizione della stampa e da dove trasmette Radio Gap. Mentre all’interno della scuola Pertini è organizzato una specie di dormitorio.

In quelle giornate drammatiche, alla Diaz, per quanto possibile, tutto procede con tranquillità: non ci sono scontri, non ci sono Black Block. Sabato 21 luglio, verso l’ora di cena, una pattuglia di Polizia transita, senza alcun motivo apparente, davanti alla scuola. Il G8 è al termine, vi sono stati diversi scontri, un ragazzo è morto, sarebbe meglio che forze dell’ordine e manifestanti restassero distanti. Daniela Weisbrod, che faceva parte di quella pattuglia, testimonierà a processo come “quella passerella” le fosse sembrata un’ inutile provocazione. Alcuni ragazzi all’esterno delle scuola, infatti, si agitano, gridano, ma nulla accade né all’automezzo, né agli agenti. Viene scagliata anche la famosa bottiglia in vetro, che sorvola il convoglio e si frantuma su un marciapiede. Quando i mezzi rientrano, alcuni agenti riferiscono ai propri superiori di essere stati aggrediti. Di lì a poco si scriverà una delle pagine più sanguinarie della nostra democrazia.

L’assalto delle forze dell’ordine raccontato da Radio Gap, negli ultimi minuti di diretta prima dello sgombero

Mark Covell è un giornalista, ha inviato il suo pezzo in redazione dai computer del Media Center. Sono passate da poco dopo le 22, si trova fuori dalla Diaz per prendere una boccata d’aria, prima di andare a dormire. Ad un tratto sente un suono sordo di scarponi farsi sempre più vicini. Quando si volta, vede una lunga fila di uomini in divisa che si avvicinano a passo di marcia. Istintivamente alza le mani in segno di resa, gridando loro “Press!Press!, ma è tutto inutile: viene travolto da un’orda di 250 agenti. Sarà la prima vittima delle forze del (dis)ordine, quella notte. Colpito a più riprese con calci e manganellate, resterà in coma per diverse ore. Intanto questo plotone composto da agenti della Digos, di Polizia e Carabinieri sfonda il portone e fa irruzione nella scuola. Saranno distrutti i computer, interrotte le le trasmissioni radio e ferite numerose persone.

Tra di loro c’è Lena Zulk, trascinata per i capelli e picchiata su schiena e gambe. Testimonierà di aver udito perfettamente il rumore delle proprie ossa rompersi. C’è anche Melianie Jonash, che giace in un lago di sangue, priva di sconoscenza. E Lorenzo Guadagnucci, giornalista, a cui verrà frattura del braccio destro. Dopo mezz’ora da quella proditoria incursione, da cui scaturiranno 93 arresti e 61 feriti, un numero indefinito di ambulanze comincia a fare la spola con gli ospedali.

L’infuocata conferenza stampa alla questura di Genova del 22 luglio

Ma cosa cercavano i militari? I Black Block, diranno in tribunale. Il guaio per loro è che non troveranno né anarchici, ne armi, né nulla che possa condurre ai fautori della protesta violenta. Trovarono solo studenti, giornalisti, avvocati, psicologi e persino un pensionato. Gente comune che era lì solo per manifestare o per lavorare. I 93 arrestati saranno tutti prosciolti. Intanto prendono forma le menzogne. Mentre in diretta tv tutto il mondo osserva un inconcepibile viavai di barelle dentro e fuori la scuola, Roberto Sgalla, portavoce del capo della Polizia Gianni De Gennaro, prima afferma che quelle persone sono vittime degli scontri di quel pomeriggio, poi annuncia il rinvenimento di 2 bottiglie molotov all’interno dell’edificio.

Non bisognerà neanche aspettare il processo per smascherare queste ed altre bugie. Saranno però solo 13 le condanne in via definitiva, per un totale di 35 anni di reclusione, tra i dirigenti delle forze dell’ordine. Tra questi vi sono Franco Gratteri, capo della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo del Servizio centrale operativo e Giovanni Luperi, capo del Dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde. Nessuno, invece, fra gli autori di quell’indiscriminato pestaggio sarà condannato: solo 9 agenti saranno identificati, ma il procedimento che li riguarda cadrà in prescrizione.