A cura di Corrado Montagnoli
Quale fu l’uomo più ricco della storia? Difficile stabilirlo con certezza ma esiste qualcuno che ha più probabilità di tutti di vincere tale titolo. Il suo nome era Musa ed era l’imperatore, o più correttamente il Mansa, del Mali. Pur con le dovute approssimazioni, dovute al tasso d’inflazione nei secoli, pare che il patrimonio di Mansa Musa si aggirasse intorno ai 350 miliardi di euro (il più ricco del 2021, Jeff Bezos, vanta un patrimonio di 152 miliardi di euro).
Tuttavia, questo imperatore non passò alla storia solo per essere un vero Re Mida vivente. Il suo nome è legato anche ad un grandioso pellegrinaggio, che l’Imperatore intraprese fino a la Mecca con un seguito di migliaia di persone, lasciando dietro di sé letteralmente una scia d’oro. Questo viaggio fece scalpore in tutto il mondo e portò l’Impero del Mali all’attenzione di tutti. Come fu possibile che tanta ricchezza si fosse concentrata nelle mani di un solo uomo? Per scoprirlo occorre conoscere la singolare storia del Paese su cui Musa regnò.
Il Mali e i Mandinka
A differenza delle dimensioni dello stato odierno, il Mali fu uno dei più vasti e ricchi imperi della storia, che occupò, tra il XIII e il XVII secolo, buona parte dell’Africa occidentale.
Il gruppo etnico che costituì il nucleo originario dell’Impero furono i Mandinka, conosciuti in italiano anche con il nome di Mandingo. I Mandinka non erano, e non sono, una nazione unica, quanto piuttosto un insieme di popolazioni che condividono una base culturale e linguistica comune. I Mandinka chiamavano la loro terra Manden, nome che venne poi storpiato dalle popolazioni circostanti in Mali. Fu con questa denominazione che le terre comprese tra l’odierno Mali e la Guinea vennero conosciute nel resto del mondo.
La potenza prima del Mali: il Ghana storico
Nei secoli precedenti l’ascesa del Mali, una delle principali potenze dell’Africa occidentale era l’impero Wagadou, conosciuto in Europa con il nome di Ghana. A differenza dello Stato contemporaneo, con cui condivide solo il nome, il Ghana si estendeva nei territori dell’odierno Mali, del Senegal, della Costa d’Avorio e della Mauritania meridionale. L’economia del regno era basata sull’esportazione dell’oro, materiale presente in grande quantità nel sottosuolo occidentale del Paese. Il Ghana entrò in crisi nel X secolo d.C., quando nuove miniere vennero scoperte nei territori del Mali: cadde definitivamente sotto i colpi dei Berberi Almoravidi nel 1076. A partire da questo momento, il Mali, forte dei nuovi filoni minerari d’oro, crebbe da regione periferica del regno fino a divenire in pochi secoli la potenza dominante dell’Africa occidentale.
L’arrivo dell’Islam nell’Africa occidentale
Sia il Wagadou che il Mali ebbero forti rapporti culturali e commerciali con il nord Africa mediterraneo. Fu proprio grazie a questi fitti scambi con il mondo arabo che l’Africa occidentale entrò in contatto con l’Islam. I primi ad abbracciare la nuova religione, sorta a partire dal VI secolo, furono i mercanti e i nobili. Il primo re del Mali che si convertì fu Barmandana nel 1050. Tuttavia, per molti secoli l’Islam rimase circoscritto in poche regioni e in determinate classi sociali agiate. Fu solo durante il regno di Musa che la religione si diffuse in tutti i ceti sociali.
L’ascesa del Mali e Sundjata Keita: il “Principe Leone”
Il Mali fiorì nel XIII secolo, soprattutto grazie alle gesta di Sundjata Keita, il leggendario “Principe Leone” a cui è legata la fondazione dell’Impero maliano. Con le sue brillanti campagne militari, Sundjata ampliò i confini del Mali verso il Senegal e il Gambia, al contempo ponendo sotto controllo le principali rotte commerciali che attraversavano il Sahara. Il Mali divenne padrone del Sahel. Sebbene la sua storia si mescoli spesso al mito e all’epica, sappiamo che fu Sundjata ad unificare i regni Manden. Per questo motivo fu il primo ad essere incoronato Mansa, ovvero “re dei re” o “imperatore”, ruolo che rivestì tra il 1235 e il 1255. Fu anche il capostipite della dinastia Keita, che governò il Paese fino alle porte del XVII secolo.
Mansa Musa e l’economia del Mali
Kankan Musa Keita, pronipote del fratello di Sundjata, nacque intorno al 1280. A differenza dell’Europa, in buona parte dell’Africa occidentale, oltre al nome della dinastia di appartenenza, era uso completare il nome includendo il matronimico: dunque, il futuro imperatore era figlio di Kankou. Musa divenne Mansa nel 1312, con una sfarzosa cerimonia di incoronazione, celebrata sulla balconata del palazzo reale di Niani, la capitale dell’Impero, su un grande trono d’ebano, circondato da zanne d’elefante.
Oltre al titolo, Musa ereditò dal padre le incredibili ricchezze del Mali. L’Impero del XIV secolo basava la sua economia sull’esportazione di oro, venduto ai mercanti Berberi in cambio del sale, la vera moneta di scambio nelle terre sub-sahariane. L’oro del Mali, tramite la mediazione araba, arrivava fino alle corti dei re europei. Le miniere auree erano talmente vitali per la salute dell’economia dell’Impero che le esatte posizioni erano segreto di Stato. Il Mansa, per evitare attriti con i lavoratori, non le governava direttamente: la gestione delle miniere era lasciata agli abitanti locali, che godevano di alcune libertà e autonomie speciali.
Grazie al controllo sulle principali rotte carovaniere del Sahel, il Mali aveva il monopolio sui flussi commerciali di avorio, ferro, rame e schiavi, nonché sulle pregiate merci provenienti dall’Asia, che dalle coste somale del Mar Rosso penetravano nel continente fino all’Oceano Atlantico. Ben pochi imperi di quel tempo potevano vantare l’estensione del Mali, che al suo apogeo comprendeva buona parte dei territori di Gambia, Guinea, Guinea-Bissau, Mauritania, Niger e Senegal, oltre che ovviamente quelli dell’odierno stato del Mali.
Alla corte di Mansa Musa: i resoconti di Ibn Baṭṭūṭah
Abbiamo la possibilità di conoscere molti episodi della vita di Musa grazie ai resoconti degli storici musulmani, primo fra tutti Ibn Baṭṭūṭah, grande viaggiatore marocchino che durante la vita visitò tutti i regni islamici esistenti al suo tempo. Ibn Baṭṭūṭah sbarcò in Mali nel 1352: qui conobbe il nipote di Musa, Mansa Sulayman, che ebbe modo di raccontare numerosi dettagli sulla vita alla corte del nonno e sul suo leggendario pellegrinaggio. Buona parte dei resoconti di viaggio di Ibn Baṭṭūṭah sono oggi conservati alla Biblioteca Nazionale di Parigi.
La corte del Mansa era sempre parecchio affollata: l’entourage regale contava decine e decine di persone. Il più importante era il dyeli, che aveva il ruolo di ufficiale di corte e portavoce del re. Il Mansa, infatti, non poteva parlare mai direttamente ai sudditi e doveva dettare i propri ordini a un intermediario. Altro importante compito del dyeli era quello di griot, una funzione che ricorda quella dei rapsodi greci o dei bardi medievali. Il dovere del griot era di raccogliere, custodire e memorizzare le più importanti tradizioni orali, nonché di ricordare al Mansa le regole e gli obblighi regali. Il dyeli era anche maestro cerimoniere alle feste, confidente, consigliere e miglior amico dell’Imperatore. Curiosamente, nonostante l’enorme responsabilità, il dyeli era considerato appartenente ad un ceto sociale molto basso.
Altro uomo molto vicino al Mansa era il capo delle guardie del corpo imperiali, ferocemente fedeli al sovrano. Anche in questo caso, nonostante avessero come responsabilità la sicurezza dell’imperatore, erano tutti schiavi, nati in tale condizione e selezionati per le loro doti fisiche.
Completavano la corte permanente un araldo, un boia e le numerose mogli del Mansa. Il sovrano era infatti sposato con più donne, la prima delle quali, Inari Kunate, era considerata la consorte principale. Fu lei ad accompagnare Musa durante il suo pellegrinaggio a la Mecca.
L’Islam durante il regno di Mansa Musa
Mansa Musa fu un sovrano musulmano molto devoto: durante il suo primo anno di regno dichiarò l’Islam religione ufficiale del Mali. Sebbene non ci fu mai nessun tentativo di imposizione forzata, da questo momento in poi la religione di Maometto si diffuse in tutte le regioni dell’Impero, ad eccezione delle aree dove erano presenti le miniere d’oro. Musa diede avvio alla costruzione di moschee, scuole e istituì il venerdì quale giorno di preghiera.
Il momento di intraprendere l’Hajj
Il grande e multietnico Impero del Mali divenne piano piano coeso internamente dalla religione comune e legato culturalmente al mondo arabo nord africano. Da buon islamico osservante, nel 1324 Musa decise che era arrivato il momento di intraprendere l’Hajj, il pellegrinaggio verso la Mecca, che tutti i musulmani sarebbero tenuti a fare almeno una volta nella vita. Tuttavia, la missione di Musa non aveva solo motivazioni religiose: il desiderio del Mansa era anche quello di raccogliere intorno a sé, strada facendo, intellettuali e professionisti arabi, che avrebbero contribuito alla crescita culturale dell’Impero.
Il viaggio sarebbe durato almeno un anno: partendo dal Mali, il Musa avrebbe attraversato il Sahara, raggiunto l’Egitto e da qui proseguito fino alla Penisola Arabica, per un totale di circa 14.000 chilometri. La strada non sarebbe stata affatto sicura: oltre alle difficoltà territoriali e climatiche, la via sarebbe stata costellata dagli assalti dei Beduini e di altre popolazioni nomadi. Un pellegrino povero ci avrebbe messo diversi anni per percorrere un simile tragitto, fermandosi ad ogni tappa per lavorare e garantirsi i fondi necessari per proseguire. Mansa Musa era invece l’uomo più ricco del mondo e l’avrebbe completato nel minor tempo possibile.
L’allestimento della carovana
Fu allestita un’imponente carovana, come non se ne erano mai viste: partirono con lui 60.000 persone, tra cui uomini di corte, funzionari, servi, esperti di logistica, guide, interpreti, schiavi e 8000 soldati pronti a difendere il Mansa dagli eventuali assalti. Oltre alle vivande essenziali necessarie, Musa portò con sé più di 10.000 chili di oro, caricati a dorso di bestie da soma. La carovana del Mansa era sostanzialmente una città ambulante.
Dato il segnale, Mansa Musa salì a bordo di un cavallo nero, gli stendardi rosso-oro del Mali sventolarono e la titanica carovana iniziò a mettersi lentamente in moto.
L’arrivo al Cairo
Dopo otto mesi di viaggio, la carovana arrivò al Cairo, accampandosi non lontano dalle Piramidi. Gli 800 chilometri percorsi nel deserto furono provanti per Musa e il suo seguito. Pur muovendosi solo nelle ore più fresche della giornata e durante la notte, le sabbie del Sahara e il suo clima proibitivo reclamarono la vita di numerosi membri della carovana. Le popolazioni nomadi vennero invece tenute sotto controllo distribuendo grandi quantità d’oro. Mansa Musa rimase al Cairo per 3 mesi prima di continuare il pellegrinaggio. Qui ebbe modo di incontrare il Sultano mamelucco Al-Malik al-Nāṣir. Tuttavia, la visita cordiale rischiò di trasformarsi in un incidente diplomatico.
L’incontro di due sovrani: alla corte di Al-Malik
I re e tutti coloro che avevano modo di visitare la corte del Sultano avevano l’obbligo di inchinarsi dinnanzi al sovrano e baciare la terra. Mansa Musa, che regnava su un territorio molto più vasto di quello mamelucco, si rifiutò in un primo momento di adempiere al rito. A fatica, l’Imperatore maliano fu convinto dai suoi consiglieri a porgere rispetto al sovrano egiziano. Infine, acconsentì ad inchinarsi ma solo per via della natura del titolo Sultano, quale autorità voluta da Allah. Dimostrata la sua fede, il Mansa venne accolto da Al-Malik e i due ebbero modo di conversare da pari, onore riservato a pochi. Durante la permanenza al Cairo, Musa apprese i sistemi legali mamelucchi e iniziò ad apprezzare gli stili artistici arabi.
Una scia d’oro
Nei tre mesi egiziani, la carovana maliana dilapidò incalcolabili ricchezze. Il Mansa distribuiva (anche troppo) generosamente oro a tutti coloro che incontrava, inondando le strade del Cairo del prezioso metallo, al punto che il valore aureo diminuì del 25%. Se ne approfittarono i mercanti locali, che si fecero gioco dell’inesperienza dei viaggiatori maliani, aumentando il prezzo delle merci fino a cinque volte. Il passaggio di Mansa Musa causò un’ondata di inflazione senza precedenti: lo storico al-ʿUmarī, che visitò il Cairo 12 anni dopo, dichiarò che la città si stava ancora riprendendo economicamente con grande fatica.
L’arrivo a la Mecca
Finalmente Mansa Musa e la sua carovana arrivarono a la Mecca. Per 12 giorni l’imperatore compì i doveri del pellegrino. Vestito poveramente, senza alcun gioiello o ornamento, visitò la collina di Arafat e completò sette giri intorno alla Ka’ba, all’interno della Grande Moschea. Pregò presso la Maqām Ibrāhīm, bevette le acque della fonte sacra di Zemzem e attraversò sette volte le colline di al-Safa e al-Marwah.
Il Mansa rimase nella Città Santa per 3 mesi, poi si preparò al viaggio di ritorno. La carovana si arricchì di nuovi membri: quattro discendenti di Maometto vennero convinti dall’Imperatore ad accompagnarlo fino in Mali, per benedizione. Oltre a loro, numerosi mercanti egiziani, studiosi del Corano, letterati e architetti si unirono al viaggio di ritorno. Tra questi il celebre Abū Isḥāq al-Sāḥilī, poeta e architetto andaluso di Granada. La carovana si arricchì anche di diverse migliaia di libri. Mansa Musa poteva ora vantare il titolo di Hajji, ovvero colui che aveva completato il pellegrinaggio.
Il rientro in patria: buone notizie sul cammino
Durante il viaggio di ritorno, il Mansa fu raggiunto da buone notizie provenienti dalla patria. Sagmandia, uno dei suoi generali, aveva conquistato Gao, la capitale del Regno del Songhay, oltre che le grandi città di Timbuktu e Djenne. Fu così che l’Imperatore decise di modificare il tragitto: la carovana avrebbe visitato i nuovi territori acquisiti prima di rientrare a Niani. Come il Mali, anche il Regno del Songhay commerciava in oro, rame e sale e occupava un’importante posizione intermediaria nelle rotte commerciali verso i territori algerini. In futuro, la minaccia militare del Songhay sarà la causa dello sgretolamento del Mali, ma al tempo di Musa era solo un piccolo regno, sottomesso al Mansa.
Viaggio a Timbuktu
Visitata Gao, la carovana di diresse verso Timbuktu. Questa visita inaspettata ispirò enormemente Mansa Musa, che decise subito di far edificare nuovi edifici religiosi in entrambe le città. La Grande Moschea di Djinguereber a Timbuktu, venne edificata a partire dal 1325 e completata nel 1327, per mano di al-Sāḥilī.
L’andaluso creò una grandiosa struttura in mattoni di fango e legno, che univa gli stili locali con quelli degli arabi europei, capace di ospitare fino a duemila fedeli e resistente alla stagione delle piogge. Al-Sāḥilī, introducendo alcune tecniche sconosciute in quelle regioni dell’Africa, quale l’uso dell’intonaco, rivoluzionò l’architettura locale.
Parte del complesso di Djinguereber era anche la Madrassa di Sankore (o Università di Sankore), che in pochi anni divenne punto di riferimento culturale del mondo islamico, frequentato da quasi 30.000 studenti e contenente un milione di volumi.
Con la costruzione di un grande palazzo imperiale, sempre opera di al-Sāḥilī, Mansa Musa trasformò Timbuktu, città di passaggio per mercanti, in uno dei poli culturali più vibranti del mondo. Improvvisamente, la città comparve anche sulle carte geografiche genovesi, veneziane e spagnole.
Il rientro a Niani, il successo e l’eredità della missione di Mansa Musa
Con il rientro trionfale della carovana a Niani, nel 1325, giunse in Mali la cultura islamico-mediterranea. L’arte, l’architettura, la letteratura e la scrittura araba si diffusero con grande velocità. Minareti e moschee vennero edificati un po’ ovunque, nel caratteristico stile inaugurato da al-Sāḥilī. La missione di Musa era stata un successo.
Il passaggio della grande carovana fece notizia. In breve tempo tutta Europa venne a conoscenza del Mali, che iniziò anche ad essere nominato sulle carte. La prima rappresentazione europea di Mansa Musa è all’interno di una mappa nel 1339, opera dell’italo-spagnolo Angelino Dulcert. La fama non si limitò alle carte geografiche: alcuni Paesi europei cercarono di stabilire rapporti diplomatici con l’Impero del Mali. Primi tra tutti furono i portoghesi, che aprirono con successo rotte commerciali verso le terre di Mansa Musa. Questi primi rapporti fecero presto sorgere in Portogallo grande interesse per l’esplorazione delle coste africane occidentali e per le sue risorse auree.
Infine, Mansa Musa stabilì prolifici rapporti con il grande sultano e conquistatore marocchino Abū al-Ḥasan. Purtroppo, Musa non riuscì a vedere i frutti del suo sforzo diplomatico. Morì intorno al 1337 per cause ignote, lasciandosi alle spalle un Impero al suo apogeo, tra i più vasti e ricchi della storia umana.